Lettera

Blason   Abbazia San Giuseppe di Clairval

F-21150 Flavigny-sur-Ozerain

Francia


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29 agosto 2007
Martirio di S. Giovanni Battista


Carissimo Amico dell’Abbazia di San Giuseppe,

In una celebre poesia composta prima della sua conversione alla fede cattolica, John Henry Newman si rivolgeva a Dio così: «Sii la mia Guida, Luce soave, in mezzo all'oscurità che mi circonda, sii la mia Guida! La notte è profonda, e sono lontano da casa, sii la mia Guida! Custodisci i miei passi; non chiedo di vedere lontano; mi basta un solo passo. Non sono sempre stato così, non ho sempre pregato perché Tu mi guidassi; amavo scegliere e vedere la mia strada, ma ora, sii la mia Guida!«» Le anime di buona volontà nate al di fuori della vera Chiesa devono talvolta acconsentire a pesanti sacrifici per seguire la voce della loro coscienza e arrivare alla piena verità. Tale fu il caso di Mons. Alfredo Allen Curtis.

Nato il 4 luglio 1831 nel Maryland (Stati Uniti), Alfredo riceve il battesimo poco tempo dopo la sua nascita dalle mani di un pastore metodista, anche se i suoi genitori sono episcopaliani, cioè membri di una confessione protestante americana nata dall'anglicanesimo. Da ragazzo, egli si dedica con costanza agli studi e impara a memoria interi drammi di Shakespeare; arriva anche ad acquisire la padronanza del latino e del greco. La sua passione per lo studio non gli impedisce di partecipare con fervore agli uffici religiosi. Di temperamento ardente e un po' impulsivo, egli è anche molto affettuoso e chiede sempre perdono per primo.

Quando Alfredo ha 17 anni, suo padre muore, lasciando a sua moglie sei figli a carico. Il fratello maggiore parte per far fortuna nel Far West; Alfredo mette a profitto i suoi talenti per provvedere al sostentamento della madre e delle sorelle. Per quattro anni, svolge l'incarico di assistente universitario, ma riceve in seguito l'ispirazione di dedicarsi al servizio delle anime. Sostiene allora un esame davanti a una commissione di pastori episcopaliani, e viene ordinato diacono e poi prete in questa confessione. Desideroso di consacrarsi senza ostacoli al ministero, rinuncia al matrimonio.

Nel 1862, Alfredo viene nominato rettore della Mount Calvary Episcopal Church a Baltimora, che egli servirà instancabilmente per nove anni. Pieno di zelo per le anime, si dedica assiduamente alla preghiera, al digiuno e allo studio della Sacra Scrittura. Per imparare l'ebraico, si reca presso un rabbino, e acquisisce così una conoscenza più profonda della Parola di Dio. S'interessa anche molto ai Padri della Chiesa e s'impregna della loro dottrina, che esprime ai suoi occhi la fede della Chiesa. Questo pastore protestante, che si sente vicino al cattolicesimo, porta la tonaca, recita il Breviario romano e prega la Vergine Maria. Arriva fino al punto di interrogarsi sulla verità della sua propria confessione. Ora, un giorno, si presentano alla sua chiesa due visitatori; chiedono se si tratta di una chiesa cattolica, e se lui è prete. Egli risponde con audacia: «Sì», ma preso dai rimorsi, va da loro e spiega: «Pensavo di essere prete, ma non lo sono; troverete la chiesa cattolica tre vie più avanti». Sembra così dubitare della validità della sua ordinazione sacerdotale, che effettivamente è difettosa nella Chiesa episcopaliana. Tuttavia, i pastori episcopaliani, come quelli anglicani, pensano di essere veramente preti e di poter consacrare l'Eucaristia. Il pastore Curtis nutre in effetti una grandissima devozione nei confronti di questo sacramento. Formato alla scuola dei Padri della Chiesa, egli prende alla lettera le parole di Cristo: «Questo è il mio Corpo« Questo è il mio Sangue«» Per lui, Gesù, il Maestro e la Guida che si sente chiamato a predicare e a difendere, è veramente presente sotto le specie consacrate.

Dov'è la Chiesa di Cristo?

Come molti dei suoi correligionari, egli si considera come facente parte della grande Tradizione cristiana che sarebbe costituita dalla Chiesa di Roma, dalla Chiesa ortodossa e dalla Chiesa anglicana. Ai nostri giorni, teorie simili sono diffuse tra molti Cristiani. Alcuni sostengono che l'insieme delle Chiese e comunità ecclesiali, nonostante le loro differenze di dottrina, formerebbe l'unica Chiesa di Cristo. La Santa Sede, al fine di illuminare i fedeli, ha precisato: «[I] cattolici sono tenuti a professare di appartenere, per misericordioso dono di Dio, alla Chiesa fondata da Cristo e guidata dai successori di Pietro e degli altri apostoli, presso i quali permane, intatta e viva, l'originaria tradizione apostolica, che è patrimonio perenne di verità e di santità della medesima Chiesa. Non possono, quindi, i fedeli immaginarsi la Chiesa di Cristo come la somma – differenziata ed in qualche modo unitaria insieme – delle Chiese e comunità ecclesiali; né hanno la facoltà di pensare che la Chiesa di Cristo oggi non esista più in alcun luogo e che, perciò, debba esser soltanto oggetto di ricerca da parte di tutte le Chiese e comunità.» (Dichiarazione Mysterium Ecclesiæ, 24 giugno 1973).

Nel 1871, si verifica un evento che segna una svolta decisiva nella vita del pastore Curtis. Il suo superiore, il vescovo episcopaliano del Maryland, pubblica una lettera pastorale sulla Santa Eucaristia, nella quale afferma che se il Cristo è presente in questo sacramento, non è allo scopo di essere adorato, ma solo per diventare il nutrimento delle nostre anime. Di conseguenza, egli vieta al suo gregge di rendere un culto a questo sacramento come alla persona di Cristo. Curtis, toccato nella sua fede, reagisce vivamente e si dimette dal suo incarico pastorale. In una lettera indirizzata al suo vescovo, in data 8 novembre 1871, si può leggere questa bella professione di fede: «Se non è vero che il Cristo, Uomo e Dio, sia Lui stesso in primo luogo offerto per i viventi e i defunti nella Santa Eucaristia, e che Egli vi sia presente con tutta la sua persona vivente nelle mie mani, al fine di esservi adorato e di ricevere l'omaggio eterno di tutto quello che io sono e di tutto ciò che io possiedo, allora non c'è verità per me, o almeno verità che mi interessi« Tutto il mio insegnamento dipende da questo fatto, che il Signore è realmente presente nell'Eucaristia, sotto la forma del pane e del vino, come Egli era presente un tempo nella stalla, sotto la forma di un bambino«» Qualche giorno più tardi, egli esplicita ulteriormente il suo pensiero: «Non posso assolutamente concepire come il Cristo possa esser ricevuto senza essere adorato. Dire che Egli è presente ma non deve essere adorato è, per me, un modo di dire che Egli non è presente affatto».

Adorare Colui che riceviamo

Questa convinzione del pastore Curtis s'identifica con la fede della Chiesa cattolica. Tuttavia, nel periodo che ha seguito il concilio Vaticano II, si è manifestata una tendenza a trascurare il culto di adorazione nei confronti dell'Eucaristia. Per ravvivare la nostra fede nel Santissimo Sacramento, Giovanni Paolo II ha pubblicato nel 2004 Ecclesia de Eucharistia e ha istituito un anno consacrato in modo particolare a questo sacramento. Al termine di questo anno, il Papa Benedetto XVI faceva la riflessione seguente: «È commovente per me vedere come dappertutto nella Chiesa si stia risvegliando la gioia dell'adorazione eucaristica e si manifestino i suoi frutti. Nel periodo della riforma liturgica spesso la Messa considerata come Cena eucaristica e l'adorazione del Ss.mo Sacramento erano viste come in contrasto tra loro: il pane eucaristico non ci sarebbe stato dato per essere contemplato, ma per essere mangiato, secondo un'obiezione allora diffusa. Nell'esperienza di preghiera della Chiesa si è ormai manifestata la mancanza di senso di una tale contrapposizione. Già Agostino aveva detto: «. nemo autem illam carnem manducat, nisi prius adoraverit; . peccemus non adorando - Nessuno mangia questa carne senza prima adorarla; . peccheremmo se non la adorassimo» (cfr Enarr. in Ps 98,9 CCL XXXIX 1385). Di fatto, non è che nell'Eucaristia riceviamo semplicemente una qualche cosa. Essa è l'incontro e l'unificazione di persone; la persona, però, che ci viene incontro e desidera unirsi a noi è il Figlio di Dio. Una tale unificazione può soltanto realizzarsi secondo le modalità dell'adorazione. Ricevere l'Eucaristia significa adorare Colui che riceviamo. Proprio così e soltanto così diventiamo una cosa sola con Lui» (Discorso alla Curia romana, 22 dicembre 2005).

Come tanti altri che, per essere fedeli alla voce della loro coscienza, hanno rinunciato a una situazione vantaggiosa e alla fama, il pastore Curtis si getta allora nell'ignoto. Rinunciando al suo ufficio e a una retribuzione assicurata, ignora ciò che avverrà di lui. «Avevo la sensazione di essere sul punto di gettarmi in un baratro profondo, senza sapere dove sarei caduto», confiderà a un amico. Dio, nella sua misericordia, permette questo tipo di esperienza al fine di purificare l'anima dei suoi amici, di mettere alla prova il loro amore, e di condurli a una maggiore perfezione. Egli non abbandona mai coloro che gli sono fedeli. A poco a poco, si fa luce nello spirito del pastore Curis. Ormai, egli è quasi certo che l'unica via stia nell'entrare nella Chiesa romana. Per riguardo per la confessione di cui è stato pastore, non vuole fare questo passo decisivo nel suo paese. All'inizio del marzo 1872, s'imbarca a destinazione dell'Inghilterra e si reca a Oxford. Egli va a far visita a diverse personalità anglicane con l'intenzione di assicurarsi che non è nell'illusione; le loro risposte non lo soddisfano. Chiede allora un'udienza da Newman, la cui conversione risale a quasi trent'anni prima. Il futuro Cardinale lo ascolta con bontà, racconta un po' il suo proprio percorso, poi gli consegna due libri dicendo: «Legga questo, se vuole; ma preghi, preghi; nulla La aiuterà come una preghiera umile; e venga a trovarmi quando vuole, sono a Sua disposizione».

La sicurezza della verità

A una persona di cui egli è da tempo il direttore spirituale Curtis scrive queste righe che rivelano le angosce della sua anima di fronte alla decisione da prendere: «È una sofferenza rimanere nel dubbio riguardo alle cose dell'importanza più elevata e duratura. Tuttavia, ci si deve accontentare dell'incertezza finché non si arrivi alla piena certezza attraverso mezzi onesti». Grazie però al soccorso della preghiera e della grazia, egli finisce con il raggiungere questa certezza: «Se la Chiesa cattolica romana non è la verità, allora non c'è un Dio», scrive a un amico. In un'altra lettera, datata 20 aprile 1872, racconta: «Giovedì scorso, sono stato accolto nella Chiesa. Ho fatto prima di tutto la mia confessione a uno dei Padri, poi mi sono recato nella cappella e sono stato battezzato sotto condizione, in ginocchio davanti all'altare; in seguito alcuni versetti, preghiere e il Miserere; dopo di che ho fatto la mia professione di fede« Venerdì ho fatto la mia Comunione« Sì, questa sensazione di sicurezza quando si è trovata la verità« È una dura lotta mettere a morte totalmente la volontà propria, ma quando la si è vinta, e si è veramente e finalmente sottomessi, allora sopraggiunge una calma così grande e così piena di gioia, una tale certezza, una fede così incredibilmente beata, che non ci si riconosce più«».

Fino alla fine dei suoi giorni, Curtis soffrirà dell'incomprensione dei suoi di fronte alla sua conversione. Della sua famiglia, solo un fratello entrerà come lui a far parte della vera Chiesa di Cristo. In seguito, profondamente toccato dalla morte dei suoi genitori che non sono entrati nella Chiesa, si lascerà consolare da un prete che lo assicurerà della totale sincerità di sua madre. Il Cardinale Newman che, anche lui, aveva sperimentato questo tipo di prova, scriveva: «Non si può far sì che gli altri la pensino come si vorrebbe, anche coloro che ci sono più vicini e più cari».

Curtis, dopo essere stato accolto nella Chiesa, s'interroga sul suo avvenire. La sua sete di dono assoluto lo spingerebbe a consacrarsi a Dio nell'ordine dei Certosini, ma Newman, intuendo il bene che quest'uomo avrebbe potuto realizzare, lo incoraggia a ritornare in patria e a mettersi al servizio dell'arcivescovo di Baltimora. Curtis vi si reca quindi ed entra in seminario per completare le sue conoscenze in vista del sacerdozio. Più anziano di età della maggior parte dei seminaristi, suscita tuttavia l'ammirazione di tutti per la sua mitezza, la sua umiltà, il suo zelo per la disciplina comune e la mortificazione. Il 19 dicembre 1874, riceve l'ordinazione sacerdotale.

Non sono più io, è Cristo

Nominato segretario dell'arcivescovo, il reverendo Curtis dedica molto tempo al ministero delle anime, soprattutto nel sacramento della Penitenza. Un grande spirito di fede nonché doni umani al di fuori del comune attirano molti penitenti al suo confessionale. Molto disponibile, si fa tutto a tutti e s'ispira all'ideale vissuto da S. Paolo: Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me (Ga 2,20). Le sue omelie, veri e propri gioielli di spiritualità, attirano le folle. È molto apprezzato come padre spirituale. Tracciando una regola di vita a un padre di famiglia, egli prevede un tempo per esaminare ogni giorno i libri dei bambini; questo compito gli sembra un dovere sacro per i genitori e gli educatori. Infine, il reverendo Curtis è amico dei malati e delle persone anziane, a cui fa spesso visita, nonostante i suoi numerosi impegni. Il suo cuore paterno ha anche un debole per i bambini. «Non so che cosa ne sarebbe del mondo, dice un giorno, se non vi fossero vecchi e bambini». Questa attenzione delicata per tutti rivela una grande carità nata da una profonda unione con Cristo nell'Eucaristia: «L'unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona. Io non posso avere Cristo solo per me; posso appartenergli soltanto in unione con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi. La comunione mi tira fuori di me stesso verso di Lui, e così anche verso l'unità con tutti i cristiani. Diventiamo «un solo corpo», fusi insieme in un'unica esistenza. Amore per Dio e amore per il prossimo sono ora veramente uniti: il Dio incarnato ci attrae tutti a sé» (Enciclica Deus caritas est, 25 dicembre 2005, n° 14).

Nel 1883, il reverendo Curtis ha il privilegio di accompagnare il suo arcivescovo a Roma, e nel 1886, viene nominato vescovo di Wilmington, sede suffraganea di Baltimora. L'umiltà che lo caratterizza lo incoraggia a schermirsi: «M'importa poco il numero di persone che sono al di sopra di me, purché io non abbia nessuno al di sotto». Ma i suoi sforzi per sfuggire al fardello falliscono. Riceve la consacrazione episcopale il 14 novembre 1886. Diventato vescovo, si fa prossimo del suo popolo e dei suoi preti. Non teme le fatiche e si dedica senza risparmio alle anime affidate alle sue cure. Pieno di zelo per gli orfani e i prigionieri, egli ha una stima elevata per la povertà, e non teme di essere considerato come un povero. Il suo incarico gli appare come l'amministrazione del servitore del Vangelo a cui il Padrone, partendo per un paese lontano, affida la custodia dei suoi beni. Egli stesso esorta i fedeli a dimorare in una vigilanza permanente, perché il Signore ci lascia nell'ignoranza del giorno del suo ritorno: «Nostro Signore ci nasconde, nella sua misericordia, il momento della sua venuta, perché se le persone sapessero gli anni che hanno da vivere, trascorrerebbero forse la maggior parte del tempo in piaceri mondani, e non si preparerebbero alla morte se non nel momento in cui essa si avvicina; perderebbero così la ricompensa che avrebbe potuto essere la loro se si fossero sempre tenuti pronti per la sua venuta in qualsiasi momento».

La prova suprema della santità

Il 23 luglio 1896, si viene a sapere che Mons. Curtis si è dimesso dal suo incarico. Poco tempo prima, aveva detto alle monache della Visitazione di Wilmington: «Per me, la prova suprema della santità è non essere semplicemente nulla per Dio; essere riconosciuto come nulla, essere trattato dagli altri come nulla, essere messo da parte come inutile, e rallegrarsi che altri siano qualche cosa, mentre non si è nulla». Questo desiderio dell'umiltà rivela un amore di Cristo paragonabile a quello di san Benedetto, che scrive nella sua Regola: «Ecco il sesto grado dell'umiltà: il monaco si contenta di ogni cosa misera e grossolana; nei riguardi di tutti i compiti che gli vengono assegnati, egli si considera come un operaio incapace e indegno di riuscirvi, dicendo con il Profeta: Sono ridotto a nulla e nulla so; eccomi dinanzi a te come una bestia da soma, ma sono sempre con te» (cap. 7).

La notizia di queste dimissioni è una prova per il clero e i fedeli di Wilmington. Un giornale regionale commenta così l'evento: «Questo desiderio dell'umile ecclesiastico del Delaware non troverebbe il suo parallelo se non nel caso di un generale che chiedessero di essere ridotto al rango di semplice soldato, per poter meglio servire la sua patria».

Profondamente amato dai tutti i suoi diocesani, Mons. Curtis continua a celebrare Messe, a fare omelie e a prestare diversi servizi ai poveri, anche dopo la consacrazione del suo successore. Mantiene anche l'incarico di confessore delle monache della Visitazione. Gli ultimi dieci anni della sua vita trascorrono a Baltimora nella residenza del Cardinale Gibbons, che lo nomina Vicario Generale. Lunghe ore delle sue giornate e delle sue notti sono trascorse davanti al Santissimo Sacramento. «È bello intrattenersi con Lui e, chinati sul suo petto come il discepolo prediletto (cfr Gv 13,25), essere toccati dall'amore infinito del suo cuore», scrive il Papa Giovanni Paolo II. «Se il cristianesimo deve distinguersi, nel nostro tempo, soprattutto per l'«arte della preghiera», come non sentire un rinnovato bisogno di trattenersi a lungo, in spirituale conversazione, in adorazione silenziosa, in atteggiamento di amore, davanti a Cristo presente nel Santissimo Sacramento? Quante volte, miei cari fratelli e sorelle, ho fatto questa esperienza, e ne ho tratto forza, consolazione, sostegno! Di questa pratica ripetutamente lodata e raccomandata dal Magistero, numerosi Santi ci danno l'esempio. In modo particolare, si distinse in ciò sant'Alfonso Maria de' Liguori, che scriveva: «Fra tutte le devozioni, questa di adorare Gesù sacramentato è la prima dopo i sacramenti, la più cara a Dio e la più utile a noi»» (Enciclica Ecclesia de Eucharistia, 25).

Secondo il suo desiderio di lavorare fino alla fine nella vigna del Signore, Mons. Curtis assiste il Cardinale in alcune visite pastorali per l'amministrazione della Cresima. In occasione di una cerimonia, egli si rivolge così ai cresimandi: «Lo Spirito santo viene per essere il più vero e il migliore degli amici, un Amico che non viene mai a mancare« Tutti gli altri amici non lo sarebbero che di nome se messi a confronto con questo Amico divino che viene a voi oggi« Pensate a questo, e coltivate gelosamente un amore e un'amicizia assolutamente essenziali alla salvezza della vostra anima. Questo Amico divino non vi lascerà mai, se voi non lo scacciate con il peccato. Che Dio faccia sì che questo non vi accada mai; ma, avendo avuto la fortuna di diventare i templi dello Spirito santo di Dio, considerate un valore e custodite il soccorso dell'Amico divino attraverso la fedeltà e la perseveranza nella grazia di Dio».

Questi Santi ancora sconosciuti

Nel 1908, Mons. Curtis è colpito da un cancro allo stomaco. Non potendo più nutrirsi, è ridotto ben presto agli estremi. Il 3 luglio, primo venerdì del mese, celebra la sua ultima Messa con il fervore che si può immaginare in lui che aveva confidato qualche anno prima: «Noi dobbiamo poter dire dopo ogni Messa: questa è la miglior Messa che io abbia mai celebrata. Per le anime, mi sono offerto a Dio, più di quanto io non abbia mai fatto prima, con maggior amore e zelo per la conversione delle anime. Gli ho sacrificato ancor di più la mia volontà propria». Il sabato 11 luglio, dopo molte sofferenze, il servitore di Dio si addormenta in pace nel Signore, «come un bambino che trova il riposo del seno materno così a lungo desiderato», secondo la testimonianza di una persona presente.

Possiamo sperare che Alfredo Maria Curtis figuri nel numero di quei Santi, ancora sconosciuti, di cui lui stesso parlava eloquentemente in un'omelia per la festa dei Santi: «Onoriamo tutti i Santi, ma specialmente quella schiera innumerevole dei Santi sconosciuti. I Santi canonizzati, che sono poco numerosi rispetto agli altri, sono stati capaci di praticare la virtù in modo eroico, al di là di quello noi possiamo arrivare a fare. Ma noi considereremo la vasta schiera dei Santi sconosciuti che non hanno fatto storia, che hanno condotto la stessa vita ordinaria che conduciamo noi, che hanno fatto cose ordinarie in un modo straordinariamente buono, che hanno lavorato, pazientato, sofferto; che hanno creduto, sperato, amato e si sono pentiti; questi, noi possiamo imitarli».

A imitazione di questo grande convertito e di quest'uomo veramente apostolico, riceviamo dal Signore Gesù stesso il dono della sua persona e della sua opera di salvezza nella Santa Eucaristia; Egli ci mostra in essa un amore che non conosce misura: «L'Eucaristia è un tesoro inestimabile: non solo il celebrarla, ma anche il sostare davanti ad essa fuori della Messa consente di attingere alla sorgente stessa della grazia» (Giovanni Paolo II, Enciclica Ecclesia de Eucharistia, 25)

Dom Antoine Marie osb

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