Lettera

Blason   Abbazia San Giuseppe di Clairval

F-21150 Flavigny-sur-Ozerain

Francia


Scaricare come pdf
[Cette lettre en français]
[This letter in English]
[Dieser Brief auf deutsch]
[Deze brief in het Nederlands]
[Esta carta en español]
[Aquesta carta en català]
12 aprile 2009
Pasqua


Carissimo Amico dell’Abbazia di San Giuseppe,

«Anche oggi esiste il dragone dell'Apocalisse (cfr. Ap 12)« nella forma delle ideologie materialiste che ci †dicono: è assurdo pensare a Dio; è assurdo osservare i comandamenti di Dio« Vale soltanto vivere la vita per sé« Vale solo il consumo, l'egoismo, il divertimento« Anche adesso questo dragone appare invincibile, ma anche adesso resta vero che Dio è più forte del dragone, che l'amore vince e non l'egoismo!» Queste parole, pronunciate da papa Benedetto XVI il 15 agosto scorso, sono illustrate dalla storia di Henri Ghéon, che ci permette di ammirare il progredire della grazia in un'anima retta.

Henri-Léon Vangeon, più noto sotto lo pseudonimo di Henri Ghéon, proviene da una famiglia come ce ne sono state tante in Francia nel XIX secolo: padre non credente, madre cristiana. Ghéon stesso dirà: «Quante coppie di sposi si accontentano di vivere in due universi opposti: l'uno, secondo il Principe dei Cieli, l'altro, secondo il principe di questo mondo». Nato nel 1875 a Bray-sur-Seine, cittadina del Brie, il bambino è, secondo l'uso, allevato cristianamente. Recita le sue preghiere in ginocchio, tra sua madre e sua sorella, e fa la sua prima Comunione con un profondo fervore. Due anni dopo, colpo di scena: «Mia madre si veste per la Messa nella camera di sopra, egli scrive. Io sono al piano di sotto. Leggo. Lei mi chiama e io non le rispondo: «Vieni a prepararti, Henri, siamo già in ritardo!«» Quando mi decido a salire, lei mi dice: «Insomma, salterai la Messa»... Mi sorprendo a risponderle: «Non ci vado... Cosa vuoi, mamma, non credo più!» Così, l'adolescente di 15 anni ha scelto. Eppure suo padre non ha fatto nulla per conquistarlo alle sue idee antireligiose e sua madre rimane segretamente la sua preferita: «La povera donna prese tutto su di sé: il peccato del mio rinnegamento e la preoccupazione per la mia salvezza». Probabilmente, le cause di questo voltafaccia erano numerose: l'emergere delle passioni, il cattivo esempio del capofamiglia... In seguito, Ghéon segnalerà in particolare la noia provata durante le lezioni del bravo cappellano; questi dava della religione un'idea troppo astratta, non in grado di rivaleggiare con l'attrattiva avvincente che sapevano suscitare i professori di lettere o di scienze. La religione ne usciva screditata.

Un'arte che commuove

Diventato adulto, Ghéon si stabilisce come medico nel suo borgo natale: «Avevo appreso questa professione per assicurarmi l'indipendenza; la esercitai otto anni senza passione, ma con lealtà»; questa attività gli lascia il tempo di scrivere. Per lui e i suoi amici, l'Arte rappresenta tutto, e, secondo la sua propria espressione, «raccoglie lo scettro di Dio che non ha più trovato eredi». La bellezza sotto tutte le sue forme – letteratura, musica, pittura... –, ecco la Signora che l'artista deve servire. Henri si è legato in particolare ad André Gide, scrittore privo della fede, dai costumi discutibili. Sarà quest'ultimo tuttavia, senza volerlo, a far vacillare il paganesimo di Ghéon, invitandolo a visitare Firenze sotto la sua guida. Là, Henri scopre Giotto e il Beato Angelico; vede nella loro arte, non solo della bellezza, ma una fede che trasuda dai volti spogli, dai corpi castamente drappeggiati, dagli atteggiamenti, dagli sguardi. Lui, così sensibile – singhiozza di emozione nel chiostro del convento di San Marco – non può non rimanere sconvolto: «A San Marco, dove il Cristo spirava in croce, scrive, e dove la Vergine attendeva l'Angelo in un corridoio nudo e silenzioso..., anche i nostri sensi avevano un'anima. L'arte mi aveva già trasportato, ma mai così in alto».

Di ritorno a Bray, Ghéon vive tra sua madre che ama appassionatamente – suo padre è morto da diversi anni –, sua sorella rimasta vedova molto giovane e le sue due nipoti. Ha quindi una famiglia senza aver fatto la fatica, dice lui, di fondarne una. «Avevo sostituito l'amore con il piacere senza domani, per risparmiarmi il fastidio di un assoggettamento troppo stretto». L'arte di Fra Angelico lo aveva colpito; ecco ora la sofferenza. «Due mesi dopo il mio ritorno dall'Italia, mia madre, davanti a me, mia madre che mi amava più di ogni altro al mondo, la mia compagna da sempre, muore in un incidente... Tengo nelle mie braccia un corpo sfigurato. Pietà filiale: la seppellisco con le mie mani...» Alla Messa del funerale, «fissai sull'Eucaristia innalzata dal prete degli occhi che dicevano: «Tu non esisti! No! Tu non puoi esistere; tu non mi avresti preso quello che amavo... »»

Agosto 1914: scoppia la guerra. Henri Ghéon, troppo debole di salute, è dichiarato inabile al servizio. Ma vuole condividere i pericoli degli uomini della sua età: si arruola come medico nella Croce Rossa. André Gide gli raccomanda: «Poiché vai sul fronte del Belgio, cerca dunque di trovare Dupouey...» Dieci anni prima, l'ufficiale di marina Pierre Dupouey era entrato in relazione con Gide. Nato da una famiglia cattolica, Dupouey aveva rigettato il dogma, «che pesava con un peso insopportabile sul pensiero e la morale» (questa espressione è di Gide). Ma nel 1911, Dupouey sposò Mireille de la Ménardière: il solo esempio di questa giovane cristiana pura e retta fece più di tutti i libri per ricondurlo a Dio. I due sposi condussero una vita ritmata dalla lettura di autori cristiani e dalla pratica dei sacramenti e delle buone opere. Dupouey non aveva cessato di corrispondere con Gide, sperando così di conquistare anche lui a Gesù Cristo.

A chi affidarsi?

Il 25 gennaio 1915, Ghéon può far portare una lettera a Dupouey, nella regione di Nieuport, dove si trovano entrambi in prima linea. Il 27, Dupouey risponde con un biglietto cortese, ma un po' distante. L'indomani, è lì, mentre si prepara un assalto. «Sono sorpreso della sua piccola statura, scriverà Ghéon, ma immediatamente m'incute rispetto». I due uomini scambiano una stretta di mano: «Scendiamo, dice Dupouey, discorreremo meglio in strada». Poi, camminando: «Mi scusi, La conduco molto indietro, ma devo raggiungere i miei soldati che sono lì di riserva... È bella questa preparazione di artiglieria?» Ma i due uomini, già, si separano. Il 31 gennaio, secondo incontro: chiacchierata a ruota libera sull'assalto del giorno prima che si è concluso in un insuccesso. Il medico militare Ghéon ha osservato: «Non ho mai pensato così tanto alla morte – non alla mia»; in Dupouey nessun inganno: disprezzo della morte fisica; parla di arte... «Questa libertà mi colpisce, scriverà Ghéon... vi è qui qualche cosa di misterioso. Già, mi sento di fronte a lui un ragazzino». Il 24 febbraio, Dupouey viene a sorprendere Ghéon nella sua nuova postazione. Ghéon gli racconta la sua vita, Dupouey la sua. Nulla di intimo: delle storie di guerra. Sarà il loro ultimo incontro... Ghéon scriverà: «Senza rendersene conto, Dupouey ha cura di anima, la mia. Tuttavia, non ci sarà tra noi nessun fatto decisivo, nessuna conversazione determinante...» Il vedere la morte lo tormenta; davanti a tanti compagni dilaniati dalle granate: «Signore! esclama; erano degli uomini, e che ne hai fatto? che cosa ne farai? – Se io pregassi, sarebbe per gli altri... Dopo l'entusiasmo della guerra, mi rendo conto ora di tutto il suo orrore. E in questo inferno, a chi affidarsi?» (lettera a Gide, 1°?febbraio).

Alla Messa di Pasqua, circola la notizia che un ufficiale di marina è caduto davanti al nemico. Henri apprende quindici giorni dopo: «La famiglia Dupouey è in lacrime, il capitano è morto, doveva essere il Sabato Santo...» Ghéon s'informa. Il 3 aprile, verso le dieci di sera, il capitano Dupouey faceva il suo giro in prima linea. Mentre esamina la trincea, un proiettile vagante lo colpisce in piena fronte e cade. Morto senza onore né gloria, nel semplice adempimento del suo dovere... «Negli ultimi mesi della sua vita, dice il cappellano, ho assistito, posso dirlo, alla sua trasfigurazione. Saliva ogni giorno più in alto. Più si avvicinava la morte, meno sembrava temerla. Era arrivato a quello stato perfetto d'indifferenza in cui vivere e morire sono tutt'uno. In una parola: «era pronto»... Non pensava che alla Pasqua, alla Risurrezione! Dio non ha potuto resistere al piacere di donargliela tutta intera. Leggete ciò che mi scriveva in questi giorni sua moglie. Facevano un'anima sola nel matrimonio...» Ghéon divora la lettera: «Entrambi avevamo fatto il sacrificio. Quanto al piccolo, non ha più padre, non ha più nulla, lo affido al Padre...» Emergono nella sua anima dei pensieri: «Beati i cuori per i quali la morte è il contrario del nulla e il cui amore va oltre la tomba... Forse che si piange un santo?» Egli medita senza fine su questa morte, su questa lettera. È la breccia attraverso la quale si precipita la grazia... Dupouey morto non può essere morto tutto intero. E se sopravvive, vuol dire che Dio esiste! Eppure, in Ghéon, l'uomo vecchio, quello degli dei malvagi, è ancora in piena vita... Ma Pierre Dupouey ha lasciato sulla terra sua moglie. Lei per prima ringrazierà Ghéon della sua amicizia per suo marito. Sconvolto, egli risponde con una fiducia totale; racconta il tormento della sua anima e la sua sconfinata riconoscenza per colui che gli ha riaperto la porta della Fede. Mireille scrive ancora: «Pierre si era abbandonato a Dio... egli prega per Lei. Là dove dobbiamo arrivare costi quel che costi, il Cuore di Dio La chiama con forti grida, con la voce del Suo tormento interiore...»

Un cuore che fa progressi

Nel settembre 1915, alla vigilia di una grande battaglia, pensando a tante vite che saranno sacrificate, Henri Ghéon, dopo venticinque anni di silenzio, si sorprende a recitare per la prima volta il Padre Nostro. La battaglia si risolve in un disastro; ma la pace interiore che egli prova supera qualsiasi pace. «Porto un cuore che fa progressi, poiché prega e non ne ha vergogna... Io dico: «Liberaci dal male». Riconosco quindi il peccato. Ora, non penso a riformare la mia condotta. «Coloro che chiudono gli occhi per paura di vedere, e le orecchie per paura di sentire, non volendo seguire la parola di Colui che parla nell'anima, costoro saranno maledetti dal Dio onnipotente.» Così parla Angela da Foligno, che mi rivelano delle «meditazioni» lasciate da Dupouey... Sono a una svolta forse decisiva. Il 31 ottobre, un giovane cappellano barbuto ha invitato i soldati a fare la comunione per il giorno dei morti. Comunicarsi? Non voglio assolutamente fare il grande passo... A chi mi chiederà se credo, risponderò: «Credo, ma faccio una cernita. Nella comune Chiesa, mi sono fatto una cappella personale: non vi si conosce né confessione né comunione, né alcuno dei sacramenti che obbligano...» In altre parole, quello che mi pare e piace... L'idea di avvicinarmi a un prete, di inginocchiarmi davanti a lui, la scaccio subito come uno spauracchio. Suvvia! Ho un amico santo in cielo (Dupouey), e lui difende la mia causa davanti a Dio!»

Un interprete scelto da Dio

Un mattino del novembre 1915, viene portato da Parigi a Ghéon il Nuovo Testamento che aveva richiesto. «Il mio messaggero è protestante, e convinto. Quindi è un'edizione protestante che ha acquistato per me... I testi restano i testi, chi si azzarderebbe ad alterarli?... Quando i più stupiti della mia conversione confessano che avrebbero compreso da parte mia un'adesione ponderata al protestantesimo più liberale, esclamano indignati: «Ma Lei, non è più uno spirito libero?» No, amici miei, non sono più libero di me e me ne rallegro in fondo all'anima. Dio mi ha dato un interprete di sua scelta; leggerò Dio con gli occhi di un altro, come lo legge la Chiesa, come lo leggeva Dupouey». Ghéon vedeva giusto: in questa materia, tutto «è sottoposto in ultima istanza al giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino mandato e ministero di conservare e interpretare la parola di Dio» (Vaticano II, Dei Verbum, 12). «Mi accostai al Vangelo nel giorno del più potente bombardamento della nostra fossa... Quando subentra la calma, entro in san Matteo: «Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati.» Dai suoi peccati!... Lo confesso dolorosamente, la figura di Nostro Signore mi era fino ad allora sconosciuta. Non misuravo la profondità del suo amore, della sua povertà, della sua purezza, né soprattutto delle sue sofferenze. Il Dio che amavo era un Dio di gloria e di trionfo, e non un Dio di miseria e di umiltà. E pensare che Egli ha sofferto, e al centuplo, quello che vedo i miei fratelli soffrire attorno a me: uno schiacciato sotto sacchi di terra, quell'altro dilaniato dalle granate e che morirà o resterà mutilato... Un Dio a sofferto tutto questo!» Un po' dopo: «O triste bruma di novembre, fango ghiacciato, combattimenti incerti... La signora Dupouey mi ha proposto le Meditazioni sul Vangelo di Bossuet... Ho risposto a giro di posta. La mia fede diventa avida... e tuttavia, non si decide ad arrendersi. Perché cambiare, Signore? non sono forse vicinissimo a te così? non ho già fatto degli sforzi meritori? di che cosa hai ancora bisogno?» In permesso a Parigi, all'inizio di dicembre, egli racconta a sua sorella estasiata l'itinerario spirituale che ha percorso; lo racconta anche a Gide che gli risponde: «Al punto in cui ti trovi, mi sembri imperdonabile a non esserti ancora messo in regola ».

Di ritorno al fronte, Ghéon è in chiesa, la domenica che precede Natale. Nella sua omelia, il cappellano celebra in anticipo il mistero del Bambino-Dio che viene; invita tutti i soldati a glorificare il Salvatore e a presentarsi alla mensa eucaristica. Questa volta, «non vi fu né discussione, né tentativo di rivolta. Mi venne in mente la frase di Gide... È deciso: mi comunicherò a Natale. Fu questione di un secondo. Niente più timore né timidezza, niente più orgoglio, niente più prevenzioni. Farò la comunione a Natale. Mentre il Padre intona il Credo, con la fronte abbassata, mi preparo...» Due giorni dopo, racconta al Padre tutta la sua storia: ««Se La capisco bene, dice il prete, Lei è venuto a Dio da artista. – È proprio così – Mio caro figliolo, Dio è ragione...», e mi prova che la fede cattolica è imbattibile sul terreno della logica e dell'esperienza dei secoli. «Non lasciamoci fuorviare dal sentimento! Evidentemente è una cosa rispettabile, utile a suo tempo, ma... Bisogna credere con la propria mente». Ma che cosa mi dice? E io che venivo tutto amore! No, no! Non ho bisogno delle sue prove... Non c'è nulla da provarmi: io credo!» Doccia ghiacciata... Ghéon ha fretta di andarsene. Nel profondo, è furioso... Poi riflette: «Saggezza ammirabile di Dio! Egli vuole dei servitori lucidi. Diffida delle false esaltazioni». La fede non è un sentimento; è, dice Giovanni Paolo II, «risposta di obbedienza a Dio« Con la fede, l'uomo dona il suo assenso alla testimonianza divina. Ciò significa che riconosce pienamente e integralmente la verità di quanto rivelato, perché è Dio stesso che se ne fa garante. Questa verità« spinge la ragione ad aprirsi ad essa e ad accoglierne il senso profondo». Questo equivale a dire che «l'obbedienza della fede esige il coinvolgimento dell'intelletto e della volontà » (Fides et ratio, 13).

Vent'anni di meno

«Da quel momento, continua Ghéon, non ho più che una preoccupazione: preparare la mia confessione generale. Bisogna entrare nella cloaca, frugarvi, svuotarla, raschiarla fino in fondo. Orrore! Trovo tutto in me. Non c'è forse un solo comandamento di Dio o della Chiesa al quale io non abbia mancato in un modo o nell'altro, nella mia esistenza senza regola... Arrivo all'appuntamento tremante come un condannato, non al pensiero di quello che sto per fare, ma di quello che, ancora ieri, facevo: «Lei è sempre nella stessa disposizione? – Sì, Padre mio»». Si concorda prima di tutto il giorno della comunione: il 24 dicembre, modestamente, e non il 25, in una chiesetta solitaria. «Caro figliolo, non creda che ricevendo in Lei Nostro Signore, verrà trasportato in una sorta di beatitudine! Nella maggior parte dei casi, la virtù dell'Eucaristia non è percepibile. Non è una ghiottoneria, ma il nutrimento di tutti i giorni». Henri s'inginocchia. A mano a mano che confessa i suoi peccati, sente scaricarsi dal suo cuore, grumo dopo grumo, una feccia spessa e amara: «Con tutto questo veleno tra le sue fibre, come poteva esso battere ancora, battere di gioia come di dolore? Oh delizie indicibili di un cuore che si apre e rinuncia a se stesso! Ho confidato tutto a un uomo, e Dio mi sente: «Va' in pace!»» Quando si rialza, ha vent'anni di meno, vent'anni di peccati. Si sente trasportato da un'esultanza sconosciuta L'indomani all'aurora, delusione: la chiesa scelta si trova piena di cappellani e di soldati. L'allegria di Ghéon è diventata aridità: «Non riuscivo, in quei bisbigli, a fissare la mia mente distratta». Eppure il Padre l'aveva ben messo in guardia: non aveva ascoltato. «Che tortura dirsi: «Dio è disceso nel mio cuore», e non sentirvi che malinconia! Bisogna pregare, pregare. Dio c'è, ma dorme«» Così trascorre la giornata. Ma, la sera, alla lettura delle Meditazioni sull'Eucarestia, volumetto che Mireille Dupouey aveva preparato per suo marito, scende in lui una pace meravigliosa e, «a mezzanotte, Dio celebrava la sua festa in me e mi parlava». Pierre Dupouey era morto la vigilia di Pasqua dello stesso anno 1915: Natale mieteva quello che Pasqua aveva seminato.

La Chiesa ha bisogno dell'arte

Dopo la guerra, Ghéon ritorna a Parigi. Per servire la verità e cooperare alla salvezza eterna delle anime, pubblica un libro che racconta la sua conversione: L'uomo nato dalla guerra. L'esteta convertito si adopera allora a suscitare un'arte popolare cristiana nella linea dei «misteri» del Medioevo. Fonda i «Compagnons de Notre-Dame», una specie di confraternita del teatro amatoriale con finalità nettamente apostoliche. In effetti, «se si è capaci di scorgere nelle molteplici manifestazioni del bello un raggio della Bellezza suprema, allora l'arte diventa una via verso Dio», diceva Giovanni Paolo II agli artisti riuniti a Roma per il Giubileo, il 18?febbraio 2000. Lo stesso Papa aveva scritto nella sua Lettera agli artisti: «Per trasmettere il messaggio affidatole da Cristo, la Chiesa ha bisogno dell'arte« Ora, l'arte ha una capacità tutta sua di cogliere l'uno o l'altro aspetto del messaggio traducendolo in colori, forme, suoni« Cristo stesso ha utilizzato ampiamente le immagini nella sua predicazione, in piena coerenza con la scelta di diventare egli stesso, nell'Incarnazione, icona del Dio invisibile» (4 aprile 1999). Prima e dopo ogni rappresentazione, il programma dei Compagnons de Notre-Dame comprende messa, comunione e preghiera; diversi attori passeranno dalla scena alla vita consacrata. Ghéon, quando occorre attore, costumista, macchinista, è prima di tutto compositore e regista. Propone una «iconografia del Vangelo o della vita dei santi»: vengono così allestite e rappresentate più di sessanta opere teatrali un po' ovunque a Parigi e in tutto il resto della Francia: Le Pauvre sous l'escalier (sant'Alessio), Le Comédien et la Grâce (san Genesio), Le?Mystère de saint Louis (rappresentato alla Sainte Chapelle, a Parigi), Noël sur la place... Nonostante i pronostici, il suo successo raggiunge il Belgio, l'Olanda e la Svizzera; l'Académie Française gli conferisce un premio. Scrive anche delle poesie (Les?Chants de la vie et de la foi), dei romanzi (Les Jeux du Ciel et de l'enfer), delle biografie: Le Curé d'Ars, Sainte Thérèse de l'Enfant-Jésus« Ghéon è un uomo pieno di spirito, dalla verve inesauribile, ma semplice, cordiale, accogliente nei confronti degli altri.

Nel giugno 1944, a Parigi, malato e solo, muore in una clinica, dopo che un padre domenicano gli ha amministrato gli ultimi sacramenti. Viene rivestito del suo abito bianco, perché era terziario domenicano e portava in religione i due nomi del suo più grande amico, Pierre-Dominique. L'esempio di Henri Ghéon conforta i cattolici: la loro fede non è né un «oppio», né un'anticaglia, ma la realtà decisiva e ultima. Quanto ai non credenti, la lunga ricerca di questa anima retta li pone di fronte a una domanda, che forse già si pongono nell'intimo del loro cuore: che la Chiesa cattolica non sia forse la via della salvezza, che dà all'uomo la vera vita e la felicità alla quale egli aspira?

Si legge, nel suo Carnet spirituel, alla data di aprile 1917: «La fede è forse il ricorso dei deboli, dei malati e dei vecchi? No! L'estrema stanchezza e l'estrema sofferenza non portano l'uomo a credere, ma piuttosto a rinunciare. Dio, ripiego dei cuori delusi? L'orribile bestemmia! Dio è forza, salute e gioia. L'atto di fede suppone uno sforzo; l'uomo incredulo che ha pianto tutte le sue lacrime non si cura della vita e dell'eternità, invoca la pace; non quella di cui parla il Vangelo, ma quella dell'anima assente, del corpo annientato. È solo la fede a prestare all'uomo il sublime vigore della speranza, con l'aiuto di Dio!» Per tutti, noi preghiamo Colei che non dubitò mai, la Vergine Maria, Madre della santa Speranza.

Dom Antoine Marie osb

Per pubblicare la lettera dell’Abbazia San Giuseppe di Clairval su una rivista, giornale, ecc., o per inserirla su un sito internet o una home page, è necessaria un’autorizzazione. Questa deve essere richiesta a noi per E-Mail o attraverso https://www.clairval.com.