Lettera

Blason   Abbazia San Giuseppe di Clairval

F-21150 Flavigny-sur-Ozerain

Francia


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5 settembre 2018
santa Teresa di Calcutta


Carissimo Amico dell’Abbazia di San Giuseppe,

«Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni i volto (Is 25, 8). Queste parole del profeta Isaia, diceva papa Benedetto XVI, in occasione della canonizzazione di santa Alfonsa dell’Immacolata Concezione, contengono la promessa che ha sostenuto la Suora nel corso di una vita di estrema sofferenza fisica e spirituale. Questa donna eccezionale, che oggi è offerta al popolo dell’India come sua prima santa, era convinta che la sua croce fosse proprio lo strumento per raggiungere il banchetto celeste approntato per lei dal Padre. Accettando l’invito alla festa nuziale, e adornandosi con il vestito della grazia di Dio attraverso la preghiera e la penitenza, ha conformato la propria vita a quella di Cristo e ora partecipa con gioia al banchetto di grasse vivande e di vini eccellenti (cfr. Is 25, 6) » (12 ottobre 2008).

Anna Muttathupadathu è nata il 19 agosto 1910 a Kudamaloor, nella provincia del Kerala, nel sud ovest dell’India. La sua famiglia appartiene al patriarcato cattolico dei fedeli di rito siro-malabarese, la cui origine risale all’Apostolo san Tommaso. La bambina è la quinta di una famiglia di vecchio ceppo cristiano, povera ma molto rispettabile. Suo padre è medico ; pratica una forma di medicina tradizionale indiana non idolatrica. Anna ha solo tre mesi quando perde la madre. Affidata a una zia che s’incarica della sua educazione e a un prozio prete, vive con i nonni. Le viene dato il soprannome familiare di Annakutti. L’assenza della madre la segna profondamente, così come i gravi dissidi che turbano la vita della famiglia. La nonna l’accompagna spesso a Messa, anche nei giorni feriali, e le insegna i rudimenti della fede.

Il Concilio Vaticano II sottolinea per il nostro tempo l’importanza dell’educazione data nell’ambiente familiare : « I genitori, poiché han trasmesso la vita ai figli, hanno l’obbligo gravissimo di educare la prole : vanno pertanto considerati come i primi e i principali educatori di essa. Questa loro funzione educativa è tanto importante che, se manca, può difficilmente essere supplita. Tocca infatti ai genitori creare in seno alla famiglia quell’atmosfera vivificata dall’amore e dalla pietà verso Dio e verso gli uomini che favorisce l’educazione completa dei figli in senso personale e sociale. La famiglia è dunque la prima scuola di virtù sociali, di cui appunto han bisogno tutte le società. Soprattutto nella famiglia cristiana, arricchita della grazia e delle esigenze del matrimonio sacramento, i figli fin dalla più tenera età devono imparare a percepire il senso di Dio e a venerarlo, e ad amare il prossimo, conformemente alla fede che han ricevuto nel battesimo ; lì anche fanno la prima esperienza di una sana società umana e della Chiesa ; sempre attraverso la famiglia, infine, vengono pian piano introdotti nella comunità degli uomini e nel popolo di Dio. Perciò i genitori si rendano esattamente conto della grande importanza che la famiglia autenticamente cristiana ha per la vita e lo sviluppo dello stesso popolo di Dio » (Gravissimum educationis, n° 3).

Una via regale

Impressionata fin dalla giovinezza dalla vita di santa Teresa di Lisieux, che era, come lei, orfana di madre, Annakutti prende la risoluzione di diventare santa anche lei, con la preghiera e la penitenza. Il suo cammino verso la santità sarà « la via della croce, la via della malattia e della sofferenza » (san Giovanni Paolo II). Considererà questo cammino come una via regale per conformarsi a Cristo. Per avanzare su questa strada, è aiutata dalla sua devozione per padre Chavara, un sacerdote che ha operato nel Kerala durante il secolo precedente.

Nato il 10 febbraio 1805, Kuriakose Elias Chavara divenne prete della Chiesa siro-malabarese e religioso carmelitano ; è all’origine della congregazione dei Carmelitani di Maria Immacolata e di quella delle Suore della Madre del Carmelo. Nominato vicario generale della Chiesa siro-malabarese nel 1861, si rivelò grande promotore dell’unità della Chiesa e si dedicò al rinnovamento spirituale della comunità cristiana siro-malabarese. Uomo di preghiera, si distinse per il suo amore per Gesù nel Santissimo Sacramento e per la sua speciale devozione a Maria, Vergine Immacolata. Rese la sua anima a Dio nel 1871 (cfr. Lettera dell’Abbazia del 28 ottobre 1999). È stato canonizzato nel 2014.

Il cristianesimo si è insediato molto presto in India, specialmente nel sud ovest (attuale Stato del Kerala). La Chiesa di Malabar fu posta abbastanza agli inizi sotto la giurisdizione del patriarcato di Antiochia, di cui adottò il rito siriaco orientale e gli usi. Ma nel XVII secolo, passò sotto la diretta giurisdizione della Chiesa romana, di cui adottò alcune usanze. Una parte dei cristiani rifiutarono questo cambiamento e si posero allora sotto la dipendenza della Chiesa ortodossa siriaca (non unita a Roma). La Chiesa cattolica siro-malabarese è il ramo che rimase sotto la giurisdizione romana.

Particolarmente felice

Fin dalla sua giovinezza, Annakutti guida le preghiere quotidiane della famiglia, nella stanza che in ogni casa siro-malabarese del Kerala è consacrata a questo scopo. L’11 novembre 1917, all’età di sette anni, in conformità con le direttive di papa san Pio X, fa la sua prima Comunione. Spesso in seguito, ripeterà alle sue amiche : « Sapete perché oggi sono così particolarmente contenta ? Perché ho ricevuto Gesù nel mio cuore ! » A partire da quel giorno, la sua consapevolezza di appartenere interamente a Dio diventa molto forte. Diversi anni dopo, nel 1943, in una lettera al suo padre spirituale, scriverà : « Già dall’età di sette anni, non ero più mia. Ero totalmente donata al mio divino Sposo. Lei, Reverendo, lo sa bene. » Annakutti ha dieci anni quando passa sotto la diretta tutela della zia Annama, nei confronti della quale si mostra molto obbediente. Tre anni dopo, sua zia decide di darla in sposa, secondo l’usanza delle Indie ; la ragazza è bella e, anche se non ha dote, i pretendenti non mancano. Annakutti rifiuta con tutte le sue forze le proposte di matrimonio. Come ultima risorsa, decide, con più coraggio che saggezza, di bruciarsi un piede, pensando che nessuno vorrà sposarla se il suo corpo è sfigurato. In realtà, l’ustione è grave e lei potrà dire : « Oh ! come ho sofferto ! Ho offerto tutto per la mia grande intenzione (di appartenere tutta a Dio) ! » Ci vorranno diversi anni perché scompaiano i postumi, nonché il fastidio che prova ormai per camminare. Tuttavia questa lesione non scoraggia i pretendenti. Dopo un secondo tentativo infruttuoso, la zia rinuncia alla sua idea di matrimonio ; proibisce però alla ragazza di frequentare il parlatorio delle vicine carmelitane, e la ritira dalla loro scuola per iscriverla a un altro istituto. Con le sue compagne, Annakutti si mostra amichevole, semplice e modesta ; approfitta della simpatia che hanno per lei per condurle a sentire omelie e pie conferenze. Le aiuta anche volentieri nei loro studi, senza perdere di vista la sua vocazione, perché rimane molto determinata a donarsi a Dio. Durante la visita a una famiglia amica, qualcuno fa notare che sarebbe una buona moglie per uno dei ragazzi ; da quel momento, lei decide di non mettere mai più piede in quella casa.

Nonostante la sua obbedienza, Annakutti si attira talvolta l’ira della zia Annama. Molto praticante, questa va ogni giorno a Messa, ma si mostra severa nei confronti di tutti. Prova tuttavia per Annakuti un affetto particolare, che si manifesta con la sua insistenza nel farle indossare bei vestiti e gioielli per andare a scuola ; la ragazza ne soffre tanto più per il fatto che le sue amiche la prendono in giro per questo. Per quanto può, s’immerge in un’intensa comunione con il Signore e fa, con discrezione, molti sacrifici : aiuta, per esempio, i servi della casa in cucina e nei lavori domestici, arrivando talvolta fino a dar loro una parte del proprio cibo, ma senza dir nulla alla zia. In seguito riconoscerà che la severità e le molteplici esigenze di quest’ultima l’avevano preparata ai sacrifici richiesti dalla vita nel noviziato.

Annotazione importante

«V

orrei aggiungere ancora una piccola annotazione non del tutto irrilevante per le vicende di ogni giorno, scriveva papa Benedetto XVI nell’enciclica Spe salvi. Faceva parte di una forma di devozione, oggi forse meno praticata, ma non molto tempo fa ancora assai diffusa, il pensiero di poter “offrire” le piccole fatiche del quotidiano, che ci colpiscono sempre di nuovo come punzecchiature più o meno fastidiose, conferendo così ad esse un senso. In questa devozione c’erano senz’altro cose esagerate e forse anche malsane, ma bisogna domandarsi se non vi era contenuto in qualche modo qualcosa di essenziale che potrebbe essere di aiuto. Che cosa vuol dire “offrire” ? Queste persone erano convinte di poter inserire nel grande com-patire di Cristo le loro piccole fatiche, che entravano così a far parte in qualche modo del tesoro di compassione di cui il genere umano ha bisogno. In questa maniera anche le piccole seccature del quotidiano potrebbero acquistare un senso e contribuire all’economia del bene, dell’amore tra gli uomini. Forse dovremmo davvero chiederci se una tale cosa non potrebbe ridiventare una prospettiva sensata anche per noi » (30 novembre 2007, n° 40).

Il giorno di Pentecoste del 1927, consigliata da uno zio prete, cappellano della comunità, Annakutti entra presso le Clarisse di Bharananganam ; ha diciassette anni. Questo monastero appartiene a un ramo del grande ordine di san Francesco fondato nel Kerala nel XIX secolo e conta allora ventitré case (nel 2008, se ne conteranno settecentoquaranta, la maggior parte delle quali stabilite in India). Le suore si occupano di orfani e di malati. Secondo l’usanza della congregazione, la giovane aspirante segue due anni di formazione, come studentessa e poi come postulante. Si adatta senza alcuna difficoltà alla disciplina della casa, che le sembra più morbida del rigore della zia. Il 2 agosto 1928, quando diventa postulante, prende il nome del santo del giorno, sant’Alfonso de’ Liguori ; sarà chiamata da allora in poi suor Alfonsa dell’Immacolata Concezione. Tuttavia, deve ancora resistere all’ultimo tentativo della zia, del padre e persino, per un certo periodo, della sua maestra delle novizie, di farla sposare. In questa tempesta, la giovane suora dà prova di una grande fermezza. « Oh ! La vocazione che ho ricevuta ! dirà. Un dono di Dio !… Dio conosce la sofferenza della mia anima in quei giorni. Ha allontanato le difficoltà e mi ha costituita nella vita religiosa. »

L’Ordine più povero

Nel 1929, suor Alfonsa viene inviata con un’altra postulante in un convento di Adoratrici del Santissimo Sacramento per un complemento di formazione. Affascinate dai suoi talenti, le Adoratrici cercano di tenerla presso di loro. Suor Alfonsa risponde con un amabile sorriso che la sua vocazione è per l’Ordine più povero, quello di santa Chiara. L’anno seguente, riceve l’abito delle Clarisse, ma la sua ammissione al noviziato viene ritardata. Infatti, madre Ursula, la superiora, si è lasciata impressionare da critiche mosse contro suor Alfonsa da alcune suore gelose delle sue doti naturali e soprannaturali. Inoltre, teme che la sua salute, apparentemente fragile, non sopporti i rigori della Regola. Il vescovo della diocesi interviene personalmente per sondare le disposizioni della postulante. Durante questo periodo, suor Alfonsa deve affrontare, in effetti, gravi problemi di salute. Tuttavia, si sforza di condurre una vita religiosa fervente, e osserva : « Non agirò né parlerò secondo le mie inclinazioni… Farò in modo di non respingere mai nessuno. Parlerò sempre con dolcezza agli altri. Controllerò rigorosamente i miei occhi. Chiederò perdono al Signore per ogni piccola mancanza e mi riconcilierò con Lui facendo penitenza. Di qualsiasi genere saranno le mie sofferenze, non mi lamenterò, e se subirò un’umiliazione, mi rifugerò nel Sacro Cuore di Gesù. »

Le costituzioni delle Suore clarisse richiedono da ogni postulante, per l’ammissione al noviziato, una dote di 800 rupie. Le famiglie delle altre sette postulanti hanno la possibilità di versare questa somma ; ma il padre di suor Alfonsa non ne ha i mezzi. Vendendo dell’oro ereditato da sua madre, può offrire appena appena 500 rupie giuste. Un dono generoso della famiglia di madre Ursula e un prestito concesso da un prete, che non accetterà mai di essere rimborsato, completano l’importo della dote. Il 12 agosto 1935, suor Alfonsa diventa finalmente novizia e, un anno dopo, pronuncia i suoi voti : « Di’ a nostro padre », scrive alla sorella, che sto bene e in pace. Il Signore mi ha dato la grazia di diventare una vera religiosa. Mi ha dato la grazia speciale di soffrire con Gesù. Questo è il dono più prezioso che il mio divino Sposo poteva farmi. Quindi devi rallegrarti con me. »

« La fede cristiana, insegna papa Benedetto XVI, ci ha mostrato che… Dio – la Verità e l’Amore in persona – ha voluto soffrire per noi e con noi… L’uomo ha per Dio un valore così grande da essersi Egli stesso fatto uomo per poter com-patire con l’uomo, in modo molto reale, in carne e sangue, come ci viene dimostrato nel racconto della Passione di Gesù. Da lì in ogni sofferenza umana è entrato uno che condivide la sofferenza e la sopportazione ; da lì si diffonde in ogni sofferenza la con-solatio, la consolazione dell’amore partecipe di Dio e così sorge la stella della speranza » (Enciclica Spe salvi, n. 39).

Un sorriso permanente

Ammalatasi gravemente, suor Alfonsa fa una novena a padre Chavara e si ristabilisce subito ; un’altra volta, guarisce dopo un’apparizione di questo Padre, poi di santa Teresa. Quando la sua salute glielo permette, suor Alfonsa insegna nella scuola gestita dalla sua congregazione ; possiede un’arte particolare per farsi amare dagli allievi e portarli verso il Signore. La sua bella calligrafia fa sì che venga impegnata come segretaria per redigere le lettere ufficiali. Il suo contegno e il suo atteggiamento manifestano una straordinaria serenità ; conserva il suo sorriso anche nella sofferenza e coglie le occasioni per fare molti sacrifici. Nel 1939, una grave polmonite la lascia indebolita ; due anni dopo, in occasione di un’altra malattia, riceve l’Estrema Unzione.

N‌el luglio del 1945, una gastroenterite, complicata da disturbi epatici, le causa, misteriosamente ogni venerdì, violente convulsioni e vomiti. Un giorno, chiede alla sua superiora il permesso di implorare dal Signore la grazia che i suoi dolori e malesseri dal giorno siano trasferiti alla notte, e spiega : « Se soffro di notte, rimango sola e non disturbo nessuno. Invece, se soffro durante il giorno, le consorelle se ne accorgono e fanno del loro meglio per alleviare le mie sofferenze ; disturbo. » Nonostante tutti i suoi patimenti, mantiene costantemente un candido sorriso sulle labbra, è lieta come una bambina. « Rese continuamente grazie a Dio, dirà papa Giovanni Paolo II, per la gioia e il privilegio della propria vocazione religiosa, per la grazia dei voti di castità, povertà e obbedienza… Giunse ad amare la sofferenza perché amava il Cristo sofferente. Imparò ad amare la croce attraverso il proprio amore per il Signore crocifisso » (Omelia per la beatificazione, 8 febbraio 1986). Suor Alfonsa spiega un giorno : « I chicchi di grano macinati al mulino diventano farina. E con questa farina si fanno le ostie per la Santa Eucaristia. I grappoli d’uva pigiati nel torchio danno il succo d’uva che diventerà vino. Allo stesso modo la sofferenza ci schiaccia e così diventiamo migliori. » Alle sofferenze fisiche si aggiungono quelle causate dall’incomprensione, dalla gelosia e dai falsi giudizi nei suoi confronti ; ma lei si sforza di raddoppiare di carità verso le persone che sono tentate di farle del male, e dichiara : « Anche se sono accusata senza alcuna colpa da parte mia, mi accontenterò di dire : “Mi dispiace. Scusatemi”. » In una lettera del febbraio 1946, poco prima della sua morte, scrive : « Mi sono data completamente a Gesù. Faccia di me come vuole. Il mio unico desiderio in questo mondo è soffrire per amore di Dio e rallegrarmi nel farlo. »

Di fronte all’evidenza della fine prossima di suor Alfonsa, ormai costretta a letto, il suo direttore spirituale suggerisce alla Madre superiora di farle mettere per iscritto le sue “esperienze spirituali”. Madre Ursula trasmette la richiesta ; ma, con sua grande sorpresa, la malata non risponde immediatamente, come se dovesse prendere una decisione importante, poi scoppia in lacrime : « È assolutamente necessario che io scriva su di me ? Non c’è niente nella mia vita che valga la pena di essere ricordato. Tuttavia è vero che ho scritto per me stessa dei piccoli appunti spirituali ; sono lì nell’armadio : vi chiedo di distruggerli. » E, di fronte al rifiuto di madre Ursula, prosegue : « Madre, per amor di Dio, nessuno deve sapere nulla di me… Sono una persona molto stupida, un lombrico. Ma se è la volontà di Dio, troverà un modo. Guardate che cosa fece nel caso di Maria Egiziaca. »

Santa Maria Egiziaca era una celebre prostituta di Alessandria, ai tempi dei Padri del deserto (V secolo). Si convertì e visse in penitenza per quarantasette anni nel deserto, senza che nessuno lo sapesse. Alla fine fu scoperta dall’abate di una comunità di quella zona che, per rimediare alla sua indigenza, le regalò il suo mantello. Il Giovedì Santo, le portò la Comunione. L’anno seguente, ritornò per rinnovare questo gesto, ma la trovò morta. La fece seppellire. In seguito, spontaneamente, alcuni cristiani si recarono sulla sua tomba che divenne un luogo di pellegrinaggio al quale si veniva addirittura dall’Europa.

Cedendo alle istanze di suor Alfonsa, la superiora strappa gli appunti e la malata ritrova la pace. Ma, secondo la sua previsione, la sua fama di santità si diffonderà dopo la sua morte, come un fuoco di sterpaglia. Si potrà ricostruire la sua vita e conoscere la sua spiritualità grazie alle testimonianze delle persone che l’hanno frequentata e alle lettere di suo pugno che ci sono pervenute.

Non li si sente

Suor Alfonsa gradualmente si consuma. Parla spesso della sua prossima morte, con tranquillità e a volte in termini molto poetici : « Gli uccellini salgono in cielo con una tale leggerezza che non li si sente battere le ali. Farò lo stesso quando il Signore e Maestro mi chiamerà a Lui. » Il 27 luglio 1946, annuncia : « Domani ci sarà una grande battaglia. » Si credette che alludesse a una nuova crisi di dolore, perché spesso sentiva arrivare queste crisi e chiedeva prima alle consorelle di pregare per lei. Ma in seguito, ci si renderà conto che non aveva mai usato la parola “battaglia” in tali circostanze. L’indomani, una domenica, sentendosi meglio, si veste e si reca in cappella per l’ufficio. Ma, colta da una nausea improvvisa, si ritira nella sua cella. I suoi dolori diventano intensi. Mormorando « Gesù, Maria, Giuseppe », sembra perdere conoscenza poi spira. Forse recitava allora nel suo cuore, un’ultima volta, la preghiera da lei stessa composta : « O Gesù, nascondimi nella sacra ferita del tuo Cuore. Liberami dal desiderio disordinato di voler essere amata e stimata. Salvami dalla miserabile ricerca dell’amore e della fama. Rendimi abbastanza umile da diventare uno zero completo, una piccola scintilla del fuoco di quell’amore che infiamma il tuo Sacro Cuore. Concedimi la grazia di dimenticare completamente me e le altre creature. » Aveva trentasei anni.

In occasione del funerale, una Suora che soffriva di forti e persistenti dolori alla schiena, si offrì, nonostante questo, di portare la bara dal convento alla chiesa parrocchiale : durante la processione, fu istantaneamente e completamente guarita. Suor Alfonsa dell’Immacolata Concezione è stata beatificata da san Giovanni Paolo II, durante il suo viaggio apostolico nel Kerala, nel 1986, e canonizzata nel 2008 da Benedetto XVI a San Pietro a Roma.

« Scrisse, osservava Benedetto XVI in occasione della canonizzazione : “Considero un giorno senza dolore un giorno perso.” Che possiamo imitarla nel portare le nostre croci per poterci unire a lei in paradiso ! »

Dom Antoine Marie osb

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