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17 maggio 2000 Mese di Maria |
«Come curate bene questi fiori!»
Già San Benedetto, il Padre dei monaci d'occidente, accordava una grande importanza al lavoro. Nella sua Regola, redatta nel sesto secolo, dichiara l'ozio «nemico dell'anima» e veglia a che i monaci non siano mai inoccupati (cap. 48); prevede preghiere per santificare le attività (cap. 35), e raccomanda di trattare gli utensili ed i beni del monastero con la stessa cura con cui si trattano i vasi sacri dell'altare (cap. 31); desidera infine che i suoi frati si guadagnino la vita con il lavoro, ma sempre con misura e «affinchè Dio sia glorificato in tutte le cose» (capp. 48; 57).
Ai nostri tempi, il Beato Josemaría Escrivá de Balaguer ha contribuito molto a rimettere in luce la «spiritualità del lavoro». Nato il 9 gennaio 1902, a Barbastro in Aragona (Spagna), Josemaría è figlio di un negoziante di tessuti. Avrà quattro sorelle ed un fratello. L'atmosfera domestica è caratterizzata dalla dignità e dalla tradizione, semplice, elegante, allegra e pia.
A Barbastro, Josemaria segue la sua scolarità al collegio dei religiosi di san Giuseppe Calazanz. Le morti successive, nel 1911, 1912 e 1913, delle tre sorelle minori, lasciano in lui una traccia profonda. Nel 1915, un'altra prova si abbatte sulla famiglia: l'impresa commerciale paterna fallisce; bisogna lasciare Barbastro per Logroño. Lì, José Escrivá trova un lavoro in un altro negozio di tessuti. La famiglia si restringe in un piccolo alloggio dai soffitti bassi, caldo d'estate e freddo d'inverno. Ma nulla cambia al modo di vivere, profondamente cristiano, eroicamente gioioso, molto sevizievole nei riguardi dei vicini. Josemaría finisce la scuola media in un istituto di Logroño.
Passi nella neve
Forte della sua esperienza familiare, il Beato Josemaría potrà dire ai coniugi: «Non posso far a meno di benedire l'amore umano del matrimonio, che il Signore mi ha chiesto di rifiutare per me. Ma lo amo presso gli altri, nell'amore dei miei genitori, in quello dei coniugi fra di loro. Dunque, amatevi veramente! E, come vi consiglio sempre: marito e moglie, litigate poco fra di voi! È meglio non scherzare con la felicità... Non litigate mai davanti ai figli; sono attenti a tutto e si formano immediatamente un giudizio. Ho un ricordo meraviglioso di mio padre e di mia madre: non li ho mai visti litigare. Si amavano molto. È evidente che litigavano. Ma non si bisticciavano mai davanti ai figli... Conservate il massimo riserbo davanti ai figli».
Opera di Dio
L'Opus Dei deve molto alla famiglia Escrivá de Balaguer. Vi si ritrova l'ambiente familiare semplice e allegro, in cui la carità è anche affetto, e il gusto per il lavoro fatto bene: distinta e sorridente, la madre di don Josemaría faceva, infatti, tutto alla perfezione. L'importanza dell'educazione al lavoro ricevuta in famiglia, è sottolineata da Papa Giovanni Paolo II nell'Enciclica Laborem exercens, del 14 settembre 1981: «La famiglia è la prima scuola interna di lavoro per tutti gli uomini... Il lavoro e l'ardore al lavoro condizionano tutto il processo di educazione nella famiglia, proprio perchè ciascuno «diventa uomo», fra l'altro, attraverso il lavoro, e che il fatto di diventare uomo esprime appunto lo scopo principale di ogni processo educativo» (nn. 10-11).
Nel 1927, Josemaría si è sistemato a Madrid; sua madre, sua sorella Carmen e suo fratello Santiago ve l'hanno accompagnato. La Signora Escrivá de Balaguer si prodiga senza esitazione per assecondare l'opera che Dio compie attraverso suo figlio. «Senza il suo aiuto, dichiarerà il fondatore dell'Opus Dei, l'opera avrebbe difficilmente avuto successo». A partire dal 1932, la famiglia Escrivá vive al n. 4 della via Martínez Campos. Josemaría sviluppa il suo apostolato soprattutto presso i giovani.
Dio e audacia
Nel corso dei primi mesi della guerra civile spagnola, che scoppia il 18 luglio 1936, don Escrivá de Balaguer resta a Madrid, mettendo a repentaglio la propria vita. Alla fine del 1937, valica a piedi i Pirenei e arriva in Andorra, accompagnato da un gruppetto dei suoi primi discepoli. Poi, si reca a Burgos, nella zona «nazionalista», e torna a Madrid nel 1939, al termine delle ostilità.
Il 9 marzo 1941, il vescovo di Madrid, cui si è costantemente riferito don Josemaría, approva l'Opus Dei come «Pia Unione». Il fondatore ha sempre raccomandato e praticato l'apostolato personale, fatto di amicizia e di fiducia. Tuttavia, lo sviluppo dell'opera porta a «riunioni familiari» cui partecipano talvolta più di 5 000 persone. Per una grazia speciale di Dio, il gran numero di partecipanti non impedisce una reale intimità di ciascuno con il Reverendo Josemaría.
Un medico di Cadice non smetteva di manifestare il suo malumore durante le visite della Cassa Malattia. Un giorno, sente una conferenza di don Escrivá de Balaguer. «A partire da adesso, dice poi a sua moglie, tratterò ogni ammalato come se fossi sua madre». Migliaia di fatti come questo si ripetono dal 2 ottobre 1928.
Il Vangelo del lavoro
Anche Papa Giovanni Paolo II attira l'attenzione dei fedeli sulla partecipazione dell'uomo all'opera di Dio: «Questa verità secondo la quale l'uomo partecipa con il suo lavoro all'opera di Dio stesso, suo Creatore, è stata particolarmente messa in rilievo da Gesù Cristo, quel Gesù di cui molti dei suoi primi ascoltatori a Nazareth erano pieni di stupore e dicevano: «Da dove gli vengono tali cose? E che sapienza è questa che gli è stata data?... Non è il falegname?» (Marco 6, 2-3). Infatti, Gesù proclamava e soprattutto metteva in pratica in primo luogo il «Vangelo» che gli era stato affidato, le parole dell'eterna Sapienza. Si trattava veramente del «Vangelo del lavoro», perchè colui che lo proclamava era lui medesimo un lavoratore, un artigiano come Giuseppe di Nazareth. Anche se non troviamo nelle parole di Cristo l'ordine specifico di lavorare..., la sua vita è comunque eloquente senza equivoci a questo proposito: egli appartiene al «mondo del lavoro»; apprezza e rispetta il lavoro dell'uomo; si può addirittura dire: osserva con amore il lavoro e le sue diverse espressioni, vedendo in ciascuna un modo particolare di manifestare la somiglianza dell'uomo con Dio Creatore e Padre. Non è lui che dice: Mio Padre è il vignaiolo (Giov. 15, 1)?... Nelle parabole sul Regno di Dio, Gesù Cristo si riferisce costantemente al lavoro: quello del pastore, del contadino, del medico, del seminatore, del padrone di casa, del servo, dell'amministratore, del pescatore, del mercante, dell'operaio. Parla anche dei vari lavori femminili. Presenta l'apostolato come il lavoro manuale dei mietitori o dei pescatori. Si riferisce anche al lavoro degli scribi» (Laborem exercens, 26).
Trina di pietra
Ma, dopo il peccato originale, il lavoro non si compie più senza sforzo: «Non chiudiamo gli occhi alla realtà, accontentandoci di una visione ingenua, superficiale delle cose, che ci porterebbe a pensare che la strada che ci attende è facile e che basta, per percorrerla, avere risoluzioni sincere ed un desiderio ardente di servire Dio», diceva don Josemaría. Commentando le parole: Con il sudore della fronte mangerai il pane (Gen. 3, 19), Papa Giovanni Paolo II spiega: «Queste parole si riferiscono alla stanchezza, talvolta pesante, che accompagna, da allora, il lavoro umano... Tale stanchezza è un fatto universalmente noto, perchè universalmente sperimentato. Lo sanno perfettamente coloro che compiono un lavoro fisico in condizioni talvolta eccezionalmente penose... Lo sanno perfettamente anche gli uomini addetti al cantiere del lavoro intellettuale, lo sanno perfettamente gli scienziati, lo sanno perfettamente gli uomini sulle cui spalle pesa la grave responsabilità di decisioni destinate ad avere una vasta risonanza sul piano sociale. Lo sanno perfettamente i medici e le infermiere, che vegliano giorno e notte presso i malati. Lo sanno perfettamente le donne che, senza che talvolta la società e perfino i familiari stessi lo riconoscano sufficientemente, sopportano ogni giorno la fatica e la responsabilità della casa e dell'educazione dei figli. Sì, lo sanno perfettamente tutti i lavoratori e, poichè il lavoro è veramente una vocazione universale, si può anche dire: tutti gli uomini» (Laborem exercens, 9).
Lavoro o preghiera?
L'unione con Gesù portando la propria croce favorisce la trasformazione del lavoro in preghiera. «Siate convinti che non è difficile trasformare il lavoro in preghiera dialogata! spiega il Beato Josemaría. Lo offrite e vi mettete al lavoro, ed ecco che Dio vi ascolta e vi incoraggia. Raggiungiamo il comportamento delle anime contemplative, pur essendo assorti nel nostro compito quotidiano, poichè siamo invasi dalla certezza che Egli ci guarda, mentre ci chiede una nuova vittoria su noi stessi: tal piccolo sacrificio, un sorriso davanti alla persona importuna, lo sforzo per dare la precedenza al lavoro meno piacevole, ma più urgente, la cura dei particolari nell'ordine, la perseveranza nel compimento del dovere, mentre sarebbe così facile lasciarlo da parte, la volontà di non rimandare all'indomani quel che si deve finire il giorno stesso; e tutto ciò per far piacere a Dio, nostro Padre!»
Così, continua don Josemaría, «grazie al tuo lavoro, contribuirai ad estendere il regno di Cristo su tutti i continenti. E sarà una successione di ore di lavoro offerte, una dopo l'altra, per le nazioni lontane che si aprono alla fede, per le nazioni orientali selvaggiamente impedite di professare liberamente le loro credenze, per i paesi di antica tradizione cristiana in cui sembra che la luce del Vangelo si sia oscurata e le anime si dibattano nell'ombra dell'ignoranza».
Ma il lavoro professionale non è il solo mezzo di santificazione. La santità è accessibile pure a coloro che non hanno, o che non hanno più la possibilità di impiegare i loro talenti in una professione (pensione, malattia, disoccupazione, ecc.). «Che si sappiano uniti particolarmente a Cristo sofferente per la salvezza del mondo, dice il Concilio Vaticano II, anche quelli su cui pesano l'infermità, la malattia, le diverse prove... Così, tutti coloro che credono in Cristo andranno santificandosi sempre di più nelle condizioni, i carichi e le circostanze che sono quelli della loro vita e grazie ai quali, se tuttavia ricevono con fede tutte le cose dalle mani del Padre celeste, cooperano al compimento della volontà di Dio» (Lumen gentium, 41).
«Far brillare soltanto Gesù» >
L'8 novembre 1946, don Josemaría si insedia a Roma. Qualche mese più tardi, è nominato Prelato, e viene ormai chiamato «Monsignore». Dopo una vita molto attiva, muore improvvisamente nel suo ufficio, il 26 giugno 1975, e sparisce così «discreto» come ha sempre desiderato essere. Paradossalmente, quel sacerdote che aveva per ideale: «nascondermi e sparire, per far brillare soltanto Gesù», ha esercitato un'influenza di un'ampiezza poco comune, aiutando coloro che volevano crescere nella loro amicizia con Dio a fare di molteplici circostanze della loro vita ordinaria, in famiglia e sul lavoro, altrettante occasioni d'incontro con Cristo. La sua vita, «impregnata di umanismo cristiano e marcata con il sigillo incomparabile della bontà, della dolcezza del cuore, della sofferenza nascosta con cui Dio purifica e santifica coloro che ha scelto» (Giovanni Paolo II), ha avuto un tal irraggiamento apostolico che 69 cardinali, 1228 vescovi e 41 Superiori di Ordini religiosi hanno chiesto la sua beatificazione.
Il 17 maggio 1992, Sua Santità Papa Giovanni Paolo II dichiara beato Monsignor Josemaría Escrivá de Balaguer, sottolineando la sua grande devozione per la Vergine Maria. Per tutta la vita, Josemaría ha venerato anche San Giuseppe, suo patrono di battesimo. Onoriamo anche noi il capo della Sacra Famiglia, con la bella preghiera composta da San Pio X:
«Glorioso San Giuseppe, modello di tutti coloro che sono consacrati al lavoro, ottienimi la grazia di lavorare con spirito di penitenza per l'espiazione dei miei numerosi peccati; di lavorare con coscienza, mettendo il culto del dovere al di sopra delle mie inclinazioni; di lavorare con riconoscenza e con gioia, considerando come un onore il fatto di utilizzare e di sviluppare attraverso il lavoro i doni ricevuti da Dio; di lavorare con ordine, pace, moderazione e pazienza, senza mai indietreggiare davanti alla stanchezza e alle difficoltà; di lavorare soprattutto con purezza di intenzioni e con distacco da me stesso, avendo sempre davanti agli occhi la morte ed i conti che dovrò rendere del tempo perso, dei talenti non utilizzati, del bene omesso e delle vane compiacenze nel successo, tanto funeste per l'opera di Dio. Tutto per Gesù, tutto per Maria, tutto seguendo le tue orme, patriarca Giuseppe! Tale sarà il mio motto, per la vita e per la morte. Così sia».
Beato Josemaría, prega per noi e per tutti coloro che ci sono cari, vivi e defunti.