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31 Maio 2006 Visitazione della B.V. Maria |
Maurizio Tornay è nato il 31 agosto 1910, settimo di una famiglia di otto figli, nella frazione di La Rosière, abbarbicata a 1200 metri di altitudine sul fianco scosceso di una montagna, nel Vallese (Svizzera). Fin dal primo anno di scuola, si rivelano le sue qualità eccezionali, ma anche i suoi difetti e imperfezioni. Gentile, zelante, di un'intelligenza vivace, si dimostra tuttavia dominatore, testardo, talvolta addirittura aggressivo. Dopo la scuola, i figli Tornay aiutano i genitori nella stalla, sui pascoli, nell'orto: la vita è dura in montagna. Un affetto profondo unisce tutti i membri della famiglia. In essa, si sperimenta la confortante verità descritta da sant'Agostino: «Dove c'è amore, non c'è dolore, e se c'è dolore, esso è amato». Ancora giovane, Maurizio si sforza di correggere i propri difetti, e ci riesce, almeno in parte. Anna attribuisce il successo all'Eucaristia: «Dopo la prima Comunione, Maurizio divenne gentile». Il ragazzo ha preso dal suo patrono, san Maurizio, che ha pagato a caro prerzzo la sua fedeltà a Cristo: è stato martirizzato con tutta una legione di soldati romani a Agaunum, non lontano da La Rosière. A quindici anni, Maurizio entra nel collegio dell'Abbazia di San Maurizio, costruita sulla tomba del martire; vi rimarrà per sei anni come convittore. Si fa ben presto notare per lo zelo nello studio e per la devozione, che però è ben lungi dall'essere affettata: gli piace ridere e pratica in sommo grado la virtù dell'eutrapelia, vale a dire l'arte di infiorare le relazioni umane con tratti umoristici e una sana giovialità. Nei momenti di libertà, gli capita di trascinare i compagni nella cappella per una breve meditazione: legge loro brani di san Francesco di Sales o una pagina della Storia di un'anima di santa Teresa di Gesù Bambino.
Saremmo abbastanza folli per cacciarlo?
Oggigiorno, tuttavia, una mentalità ampiamente diffusa tende a negare o a ridurre la realtà del peccato mortale. Si afferma che atti particolari, anche gravemente contrari alla legge di Dio, non separerebbero l'uomo da Dio, purchè il soggetto abbia un'intenzione globale (detta «opzione fondamentale») di orientare la propria vita verso Dio. Contro tale mentalità, Papa Giovanni Paolo II ha scritto, nell'Enciclica Veritatis Splendor, in data 6 agosto 1993: «Si dovrà evitare di ridurre il peccato mortale all'atto che esprime una «opzione fondamentale» contro Dio, secondo l'espressione corrente attualmente, intendendo con questo un disprezzo formale ed esplicito di Dio e del prossimo, oppure un rifiuto implicito e incosciente dell'amore. In realtà, vi è peccato mortale anche quando l'uomo sceglie, consciamente e volontariamente, per una qualunque ragione, qualcosa di gravemente disordinato. Infatti, una tale scelta include per se stessa un disprezzo della Legge divina, un rifiuto dell'amore di Dio per l'umanità e per tutta la creazione: l'uomo si allontana da Dio e perde la carità. L'orientamento fondamentale può dunque essere radicalmente modificato attraverso atti particolari» (n. 70). È il caso, per esempio, della bestemmia, dell'idolatria, dell'irreligione, dell'eresia, dello scisma, dello spergiuro, dell'aborto, della contraccezione, dell'adulterio, della fornicazione, dell'omosessualità, della masturbazione, ecc.
«Qualcosa di più grandioso»
Meno di due mesi dopo esser stato ammesso al noviziato, Maurizio scrive alla famiglia: «Non sono mai stato tanto libero. Faccio quel che voglio, posso fare tutto quel che voglio, perchè la volontà di Dio mi viene espressa in ogni istante, e voglio fare solo questa volontà». Alla sorella Anna, scrive: «Dobbiamo affrettarci, vero, Anna? Dobbiamo sbrigarci: alla nostra età, altri erano santi. Perchè, se lo stelo fiorisce troppo a lungo, il frutto non può maturare prima del freddo e della morte. E molti sono quelli che implorano, tanti peccatori, tanti pagani ci chiamano; vogliamo risponder loro, vero? La nostra salute, la nostra carne, sono per loro, vero? Te lo ripeto, dobbiamo affrettarci. Più avanzo nella vita e più sono convinto che il sacrificio, il dono (di sè), danno senso, sono i soli a dar un senso ai giorni che trascorriamo...». Maurizio è ossessionato dall'idea che ci sono anime che contano su di noi per essere salvate, e arde dal desiderio di andar a portar loro il Vangelo, di partire nei paesi lontani per guadagnarle a Cristo. Alcuni decenni dopo, Papa Giovanni Paolo II sottolineerà: «Il numero di coloro che ignorano Cristo e non fanno parte della Chiesa aumenta continuamente, ed è addirittura quasi raddoppiato dalla fine del Concilio (Vaticano II) a questa parte. Nei riguardi di questo immenso numero di uomini che il Padre ama e per i quali ha inviato suo Figlio, è evidente l'urgenza della missione» (Enciclica Redemptoris Missio, 7 dicembre 1990, n. 3). «La ragione di tale attività missionaria scaturisce dalla volontà di Dio, che vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti (1 Tim. 2, 4-5); e in nessun altro c'è salvezza (Atti 4, 12). Bisogna dunque che tutti si convertano a Cristo, conosciuto attraverso la predicazione della Chiesa, e che siano anch'essi incorporati dal battesimo nella Chiesa, che è il suo Corpo. Poichè Cristo medesimo, insegnando in termini formali la necessità della fede e del battesimo (ved. Marco 16, 16; Giov. 3, 5), ha confermato in pari tempo la necessità della Chiesa in cui gli uomini entrano attraverso il battesimo come attraverso una porta» (Concilio Vaticano II, decreto Ad Gentes, n. 7).
Il merito delle sofferenze di una giornata
L'8 settembre 1935, il giovane canonico pronuncia i voti solenni di povertà, castità e obbedienza. Monsignor Bourgeois decide allora di rafforzare il gruppo dei pionieri nello Yünnan; il canonico Tornay, guarito, partirà con i confratelli, i canonici Lattion e Rouiller. Si preparano tutti e tre per parecchi mesi ad alleviare la miseria umana attraverso corsi pratici di aggiornamento presso un medico ed un dentista. Qaundo viene fissato il giorno della partenza, Maurizio confida al fratello Luigi: «Ho ricevuto nettamente nell'anima la seguente intuizione: perchè il mio ministero sia fecondo, devo applicarmi con tutto l'ardore dell'anima, per il più puro amore di Dio, senza nessun desiderio di veder notata la mia opera. Voglio estenuarmi al servizio di Dio. Non tornerò più».
Dopo circa un mese e mezzo di viaggio, i tre canonici arrivano alla missione di Weisi (m. 2350), nelle Marche tibetane. Il canonico Tornay scrive: «E adesso, ho fatto quasi il giro del mondo: ho visto ed ho sentito che ovunque la gente è infelice, che la vera infelicità consiste nel dimenticare Dio, che a parte servire Dio, veramente, nient'altro ha valore, niente, niente, niente». Senza por tempo in mezzo, riprende lo studio: da un lato, la teologia, sotto la guida del canonico Lattion, dall'altro, la lingua cinese, con un vecchio professore protestante, che ha una certa simpatia per il cattolicesimo. Ansioso di evangelizzare i pagani nella loro lingua e nel rispetto della loro cultura, fa rapidi progressi in cinese. Ma, per quanto il suo programma di studio sia sovraccarico, il canonico si dà con zelo agli esercizi di devozione: adorazione, orazione, Messa, recita dell'Ufficio divino. È così che la sua anima trova la forza di portare la croce del missionario. A quell'epoca, scrive ai genitori: «Quel che voi dissodate, vi lascerà un giorno; quel che amate, passerà un giorno ad altri. No, certo, bisogna amare la terra; ma non bisogna amarla che per quel tanto che essa ci conduce a Dio, che per quel tanto che essa ci dice quanto Dio sia bello e misericordioso. Il resto non vale niente, perchè il resto passerà. Sì, tutto il resto passerà. Ma il mio affetto per voi non passerà, perchè, in Cielo, ci ameremo per sempre».
Una gioia temperata
Nel settembre del 1939, scoppia la guerra mondiale. La Cina è invasa dal Giappone, e le Marche tibetane sono occupate militarmente, il che provoca carestia, sommosse popolari, saccheggi. Padre Tornay è confrontato al problema dell'alimentazione dei partecipanti alla «probazione», specie di preparazione al seminario minore fondato dai canonici e affidato a lui. Arriva al punto di farsi mendicante per nutrire i suoi ragazzi, ma deve lui stesso, talvolta, passare giorni e giorni senz'altro nutrimento che radici di felci. «Portare la croce, scrive all'epoca, ho capito un po' il senso di queste parole». Ma la miseria generale, lungi dallo scoraggiarlo, non fa che infiammare il suo desiderio di far del bene intorno a sè: «Più i tempi sono difficili, più è urgente occuparsi delle anime». La guerra non è ancora finita, nel marzo del 1945, quando Padre Tornay viene nominato curato di Yerkalo (2650 metri di altitudine), nel sud-est del Tibet. Accettare la nomina significa avviarsi su una strada che presenta tutte le probabilità di sfociare nel martirio. Infatti, parecchi sacerdoti vi hanno trovato la morte a causa dell'intolleranza religiosa delle autorità locali. Alla notizia della nomina, il missionario cerca rifugio nella preghiera. Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu! (Matt. 26, 39).
Due eserciti alle prese
«Ero appena giunto a Yerkalo, scriverà nel suo diario Padre Tornay, e già si parlava sottovoce di mettere il missionario alla porta. Durante le danze dei lama di Karmda, si proclama, davanti al cielo e alla terra, che il missionario dovrà ben presto andarsene, pena i peggiori castighi che un essere umano possa temere, che i Cristiani dovranno apostatare e tutti i loro figli rivestire la toga dei lama; perchè «non deve esserci che una sola religione nel paese dai mille dei»». Malgrado il pericolo e le difficoltà dell'apostolato, Padre Tornay vuol rimanere sul posto. Come il santo Curato d'Ars, che aveva detto: «Lasciate una parrocchia senza sacerdote per vent'anni, e vi si adoreranno gli animali», egli si rende conto che il popolo ha bisogno dei missionari per conoscere la legge di Dio e rimanervi fedele grazie ai sacramenti della Chiesa. Le minacce di Gun-Akhio non lo distolgono dal suo dovere: «Sono stato mandato a Yerkalo dal mio vescovo, e vi rimarrò finchè egli vorrà che mi ci trattenga, scrive Padre Tornay ad un confratello. Se si vuole allontanarmi, c'è un solo mezzo per i lama: legarmi sul dorso di un mulo e spronare la bestia; non cederò che di fronte alla violenza». L'ordine di non cedere che di fronte alla violenza gli è stato dato dal vescovo. Anche quando i lama gli gridano apertamente: «Partirai! Partirai! Ti ammazzeremo! Ti butteremo nel Mekong!», Tornay rimane imperterrito.
Il 26 gennaio 1946, la mattina, una quarantina di lama invade la residenza del missionario, la saccheggia, la distrugge e, sotto la minaccia di 12 fucili, trascina Padre Tornay in esilio a Pamè, nello Yünnan cinese. Comincia allora un anno che sarà il più duro di tutta la sua vita missionaria. Nel villaggio, infatti, c'è una sola famiglia cristiana; il vecchio tibetano che lo ospita è un ubriacone; i lama continuano a minacciarlo di morte, se non interrompe la corrispondenza con i fedeli di Yerkalo. Prega molto, visita gli abitanti, cura i malati.
All'inizio del maggio 1946, Padre Tornay riceve una lettera dal Governatore di Chamdo, suprema autorità civile dell'est tibetano. Egli gli promette la sua protezione e lo invita a tornare a Yerkalo. Il 6 maggio, Padre Tornay si mette in viaggio, ma, quando sta per varcare il confine di Yerkalo, viene arrestato da Gun-Akhion: «Alt! Vietato andare oltre». Con la morte nel cuore, Padre Tornay torna indietro in piena notte. Senza scoraggiarsi, si propone di recarsi a Lhasa, capitale del Tibet (34 giorni di cammino), per ottenere dal Dalai-Lama, capo religioso e politico supremo del paese, la libertà religiosa dei Cristiani di Yerkalo. È stato incoraggiato a compiere questo passo dai rappresentanti della Santa Sede e dai governi svizzero e francese.
L'arrivo nella vera patria
Ancora collegiale, Maurizio Tornay aveva scritto: «La morte è il giorno più felice della nostra vita. Bisogna rallegrarsene più di tutto, perchè è l'arrivo nella nostra vera patria». Dopo aver camminato sulle tracce del Buon Pastore che dà la vita per le sue pecorelle, il Beato è entrato nella vita eterna. Che ci ottenga di partecipare al suo amore appassionato per Cristo e di andare fino in fondo alle esigenze del suo amore per noi!