Lettera

Blason   Abbazia San Giuseppe di Clairval

F-21150 Flavigny-sur-Ozerain

Francia


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30 novembre 2017
festa di sant’Andrea, Apostolo


Carissimo Amico dell’Abbazia di San Giuseppe,

Nel 1894, una giovane carmelitana di Lisieux si offriva volontaria per andare nel Carmelo recentemente fondato a Saigon, in Indocina. Le venne chiesto che cosa contava di fare in quella lontana terra di missione. Lei rispose : « Credete che andrei in missione per fare qualche cosa ? Sono sicura che non vi farei assolutamente nulla. » Santa Teresa del Bambin Gesù voleva dire con questo che non sono i risultati concreti che contano agli occhi di Dio, ma l’amore che mettiamo in ciò che intraprendiamo. La breve vita del beato Mario Borzaga, prete missionario, assassinato all’età di ventotto anni nel Laos, dopo tre anni di un apostolato senza risalto esteriore, è un bell’esempio di fede nella fecondità nascosta dell’amore.

Nato nel 1932 a Trento, ai piedi delle Alpi italiane, entrato in seminario per diventare sacerdote, Mario Borzaga viene colpito, a vent’anni, dalla testimonianza di un missionario. Entra nel noviziato degli Oblati di Maria Immacolata, una congregazione missionaria fondata nel XIX secolo a Marsiglia da sant’Eugenio de Mazenod. Subito prima di fare la sua oblazione perpetua, nel 1956, Mario esprime nel suo diario il “sogno di felicità” che egli fa per la sua vita : « Ho capito la mia vocazione : essere un uomo felice pur nello sforzo di identificarmi col Cristo Crocifisso. Quanto resta ancora di sofferenza, o Signore ? Tu solo lo sai e per me Fiat voluntas tua in qualsiasi istante della mia vita. Se voglio essere come l’Eucaristia un buon Pane per essere mangiato dai fratelli, loro divino nutrimento, devo per forza prima passare attraverso la morte di croce. Prima il sacrificio poi la gioia di distribuirmi ai fratelli di tutto il mondo… Se mi distribuisco senza passare prima e sublimarmi nel Sacrificio, do ai fratelli affamati di Dio me stesso, un cencio d’uomo… ; se accetto la mia morte in unione con quella di Gesù, è proprio Gesù che io riesco a dare con le mie stesse mani ai fratelli. Non è pertanto una rinuncia a me stesso che devo fare, ma il potenziamento di tutto quello che in me può soffrire, essere immolato, sacrificato in favore delle anime che Gesù mi ha dato d’amare » (padre Mario Borzaga, o.m.i., Diario di un uomo felice, 17 novembre 1956).

Scelto per il martirio

Ordinato prete nel 1957, Mario confida al suo diario : « Se Gesù mi ha dato Amore, devo rendergli Amore, se mi ha dato Sangue, gli devo rendere Sangue !… Il Cristo che mi ha scelto è il medesimo che ha dato vita e forza ai martiri e alle vergini : erano uomini come me, impastati di nulla e di debolezza… Anch’io sono stato scelto per il martirio. »

Un gruppo di Oblati missionari verrà inviato nel Laos, e Mario si offre per questa pericolosa missione : si aspetta di trovarvi una popolazione pagana da evangelizzare in un contesto di povertà e di sacrificio. Sa che il paese è in guerra e non ignora che padre Jean-Baptiste Malo, prete delle Missioni Estere di Parigi di stanza nel Laos, è morto di sfinimento nel 1954 sulla strada che doveva condurlo a un campo di concentramento vietnamita.

Nell’enciclica Redemptoris Missio (7 dicembre 1990), san Giovanni Paolo II fa notare un’obiezione che viene spesso fatta alla missione : « A causa dei cambiamenti moderni e del diffondersi di nuove idee teologiche alcuni si chiedono : è ancora attuale la missione tra i non cristiani ? Non è forse sostituita dal dialogo inter-religioso ? Non è un suo obiettivo sufficiente la promozione umana ? Il rispetto della coscienza e della libertà non esclude ogni proposta di conversione ? Non ci si può salvare in qualsiasi religione ? » Il Papa risponde citando san Pietro : Non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati, se non quello di Gesù » (At 4,12). « Questa affermazione, rivolta al sinedrio, prosegue Giovanni Paolo II, ha un valore universale, poiché per tutti – giudei e gentili – la salvezza non può venire che da Gesù Cristo… Cristo è l’unico mediatore tra Dio e gli uomini (cfr. 1 Tm 2,5)… Gli uomini, quindi, non possono entrare in comunione con Dio se non per mezzo di Cristo, sotto l’azione dello Spirito. Questa sua mediazione unica e universale, lungi dall’essere di ostacolo al cammino verso Dio, è la via stabilita da Dio stesso » (RM 4-5).

Mario Borzaga parte per il Laos nell’autunno del 1957. Questo paese dell’Indocina è incuneato tra il Vietnam e la Thailandia. La sua popolazione attuale è di sette milioni di abitanti, in maggioranza buddisti. Regno montagnoso senza accesso al mare, vede arrivare i primi missionari cattolici solo nel 1884. Nel 1893, la Francia estende il suo protettorato sul Laos, ma le autorità francesi, anticlericali, non prestano alcun aiuto alle missioni cattoliche. I missionari sono ridotti a fondare nella massima discrezione dei piccoli centri di evangelizzazione. La maggior parte dei cristiani sono stranieri, soprattutto vietnamiti, e le conversioni di laotiani sono rare ; tuttavia il Vangelo viene ricevuto favorevolmente da alcune tribù di “montanari”, fino ad allora di religione animista. Nel 1940, il Giappone invade l’Indocina e i preti francesi vengono espulsi. Dopo la capitolazione del Giappone, il Pathet Lao, emanazione del Viet Minh (il partito comunista vietnamita), scatena una guerriglia contro il governo reale laotiano. Nel 1954, la Francia abbandona l’Indocina ; divenuto indipendente, il Laos è devastato dalla guerra del Vietnam che si svolge in parte sul suo territorio.

La mia croce

Padre Mario Borzaga si trova presto di fronte a pesanti difficoltà. Nella missione di Kengsadock, deve imparare tutto : prima la lingua laotiana, processo laborioso e requisito indispensabile per qualsiasi comunicazione con coloro che è venuto a evangelizzare. Deve inoltre acquisire le mille conoscenze pratiche che gli permetteranno di sopravvivere e di soccorrere una popolazione indigente : caccia, pesca, costruzione di capanne di legno, meccanica…, tutto questo in un clima caldo e umido e in un contesto di guerra civile. Il giovane missionario scopre, con il tempo, che è « difficile imparare in silenzio da tutti, soprattutto a credere, a soffrire, ad amare ». Dio non gli chiede di compiere le imprese eroiche di cui egli sognava, ma di lavorare nell’oscurità, con pazienza e senza risultati apparenti. Egli conosce anche, come Gesù nell’orto degli Ulivi, la paura della sofferenza e della morte (cfr. Mc 14,33). In un giorno di prova interiore, annota : « La mia croce sono io : io croce a me stesso. La mia croce è la lingua che non riesco a imparare. La mia croce è la mia timidità che mi impedisce di dire una parola con un laoziano. » Egli scrive allora questa preghiera : « Tutto è tuo Signore, anche lo sconforto, l’angoscia, il rimorso, l’oscurità… Ti amo più che una persona degna di essere amata, perché tu sei l’Amore. »

Alla fine del 1958, padre Borzaga, che ha ventisei anni, viene inviato a Kiukatiam, la sua prima postazione missionaria, in un villaggio dell’etnia hmong. Questa comunità cristiana è stata fondata pochi decenni prima. Ben presto, Mario vi si ritrova da solo in mezzo agli indigeni di cui deve occuparsi dal punto di vista sia spirituale che temporale. Celebrare la Messa, insegnare il catechismo, formare catechisti, preparare i catecumeni al Battesimo, confessare, accogliere e curare i malati nel dispensario della missione, visitare i villaggi dei dintorni, questi compiti riempiono la sua vita quotidiana, senza pausa né riposo. Purtroppo, i hmong non parlano il laotiano, ma un’altra lingua sconosciuta al Padre. Mario tuttavia non si scoraggia, ma, ponendo in Dio tutta la sua fiducia, si mette all’opera. Timido, trova la sua sicurezza nella certezza di essere là dove il Signore Gesù lo vuole. Per compensare la sua taciturnità forzata, rende mille servizi e conquista così il cuore dei hmong che, sentendosi amati, lo soprannominano “cuore serio e sincero”. La sua pazienza è a tutta prova, anche nei momenti di scoraggiamento e di tristezza. Molto portato per la musica, il Padre insegna ai suoi fedeli canti religiosi e compone una bella Salve Regina in lingua hmong. Eppure, deve combattere una forte ripugnanza per il cibo laotiano, la mancanza di igiene degli abitanti e il clima debilitante. Scrive nel suo diario : « In ogni modo sorrido, non perché sia sicuro di me stesso, ma perché sono sicuro che Gesù, nella sua battaglia, adopera anche le baionette fruste, le canne arrugginite, i fanti addormentati e perciò ci tengo a fargli sapere che sono tale : purché mi adoperi a qualcosa… Perché non ringraziare infinitamente l’Amore specialissimo di Dio per me che mi ha dato la Fede, che mi ha fatto conoscere la sua Chiesa ? Dio mio, come sei immensamente buono con me !… Cosa ho fatto io per meritare tanto Amore ? »

Una fiaccola nella notte

In due lettere del 1959, il giovane missionario descrive con realismo la situazione della sua missione : « La messe del Signore è molta…, oltre le brughiere e le paludi solcate dai bufali, sulle montagne abitate dai Hmong. Tutto è da cominciare con la Grazia di Dio : …, gli operai sarebbero necessari a centinaia solo nella nostra zona ; siamo solo una mezza dozzina. Voi pregherete perché la nostra santità brilli come la fiaccola nella notte… Il missionario si è fatto… vagabondo per amore di chi vaga disperatamente nelle tenebre, eremita per amore di chi nella fredda solitudine del paganesimo aspetta una mano che apra le porte della Città celeste. »

Papa Giovanni Paolo non esita ad affermare con forza il carattere legittimo e indispensabile della missione : « L’annunzio e la testimonianza di Cristo, quando sono fatti in modo rispettoso delle coscienze, non violano la libertà. La fede esige la libera adesione dell’uomo, ma deve essere proposta, poiché « le moltitudini hanno il diritto di conoscere la ricchezza del mistero di Cristo, nel quale crediamo che tutta l’umanità può trovare, in una pienezza insospettabile, tutto ciò che essa cerca a tentoni su Dio, sull’uomo e sul suo destino, sulla vita e sulla morte, sulla verità… Per questo la chiesa mantiene il suo slancio missionario e vuole, altresì, intensificarlo nel nostro momento storico » (RM 8).

Cantare con il Padre

I giovani allievi catechisti di Mario conservano un ricordo pieno di tenerezza per colui che era per loro un vero padre. Uno di loro scrive : « Padre Mario Borzaga era molto paziente e aveva un buon cuore. Amava tutti. Capiva un po’ la lingua hmong ; sono io che gliel’ho insegnata. » Un altro catechista testimonia : « Ho abitato con il Padre circa un anno. Avevo solo sedici anni, non sapevo costruire una casa. Siamo andati a parlare con il Padre. Per una casa di sei metri per otto, ha calcolato su un pezzo di carta che le lamiere, le travi, ecc. sarebbero costate nove barre d’argento. Ho dato il mio accordo ; poi siamo andati a tagliare dei grandi alberi e li abbiamo portati perché il Padre li segasse. C’era anche un Fratello venuto per aiutare padre Borzaga : hanno segato i pezzi di legno per costruire la mia casa, e l’abbiamo montata. Ogni sera, alla fine del pasto, si andava a imparare a cantare le preghiere con padre Borzaga. Aveva una bella voce forte. » Un testimone afferma : « Era molto gentile, sorridente, bello, molto disponibile. Curava bene i malati e vegliava con attenzione sui suoi allievi catechisti venuti da altre zone per studiare da lui. Abitavamo una casetta situata dietro la sua. Egli ci ha acquistato abiti, lampade tascabili. Era molto paziente, non s’innervosiva e aveva molta volontà. Vegliava bene su di noi. Il responsabile, che era più grande di noi, era spesso invitato alla sua tavola. »

I missionari non si limitano a esercitare un’azione umanitaria : aiutando i contadini a procurarsi il cibo o curandoli, cercano di aprire le loro anime all’amore di Gesù Cristo. Un laotiano scriverà ai genitori di un Oblato assassinato nel 1961 dai guerriglieri, padre Vincent l’Hénoret : « Vostro figlio ci ha insegnato molte cose ; ci ha aiutati a conoscere il buon Dio ; ci ha fatto osservare le virtù ; era sempre disponibile per guarirci. Ci ha fatto evitare dei peccati, ci dava la grazia di Dio. » I missionari combattono l’abitudine ancora viva tra i cristiani di offrire agli spiriti sacrifici di polli per ottenere la guarigione dei loro malati. Preoccupati di preservare la fede dei giovani, proibiscono loro di partecipare alle feste buddiste.

Nel 1959, la Santa Sede chiede ai missionari che lavorano in paesi in cui imperversa la guerra, di rimanere al loro posto, anche a rischio della loro vita. Questa raccomandazione è unanimemente accettata dai sacerdoti presenti in Indocina, che sanno tuttavia di essere esposti al martirio. Domenica 24 aprile 1960 dopo la Messa, Mario si sta dando da fare a curare dei malati al dispensario. Un gruppetto di hmong si presenta e gli chiede di venire nel loro villaggio, che si trova a tre giorni di cammino. Vogliono istruirsi nella religione cristiana ; aspettano anche cure mediche per i loro malati. L’opportunità è da cogliere, in quanto, a causa delle vacanze di Pasqua, si trovano lì altri due missionari Oblati, che potranno vegliare sulla missione. Mario promette a quelle persone di seguirli a partire dal giorno seguente. Il suo piano è quello di visitare diversi villaggi e di effettuare così un bel giro missionario prima che inizi la stagione delle piogge. Invita il catechista Paolo Thoj Xyooj, di diciannove anni, ad accompagnarlo, e promette di tornare dopo una o due settimane. Il lunedì 25 aprile 1960, festa dell’evangelista san Marco, si mettono in cammino, portatori della Buona Novella di Gesù e del suo amore per i poveri e gli ammalati. Si vede partire il Padre, lo zaino sulle spalle, il berretto in testa, vestito completamente di nero come un hmong ; scompare con il suo compagno alla svolta della strada e s’immerge nella boscaglia. I due arrivano al villaggio previsto, Ban Phoua Xua, dove il Padre cura i malati ; poi ripartono promettendo di ritornare qualche mese dopo. Il loro periplo è tanto più pericoloso per il fatto che guerriglieri comunisti si sono infiltrati in quella zona e circolano indisturbati…

Perché avete sparato ?

Il 1° maggio, a Muang Met, un villaggio dell’etnia kmhmu’, una pattuglia del Pathet Lao incontra il Padre e il suo giovane accompagnatore. Accusando Mario di essere un americano, i guerriglieri comunisti gli legano mani e avambracci sulla schiena, e gli parlano con molto durezza. Il catechista Paolo grida : « Non uccidetelo, non è americano, ma italiano, ed è un bravissimo sacerdote, molto gentile con tutti. Fa solo del bene. » Poi dice ai soldati che gli consigliano di fuggire : « Non me ne vado, rimango con lui ; se uccidete lui, uccidete anche me. Dove sarà morto lui, sarò morto io, e dove vivrà lui, vivrò io. » I guerriglieri picchiano selvaggiamente il catechista per zittirlo e decidono di eliminare i due uomini senza testimoni, a una certa distanza dal villaggio. Nel frattempo, Mario rimane calmo e silenzioso, come Gesù davanti ai suoi accusatori. Diversi decenni dopo l’evento, il capo del gruppo racconterà : « Li abbiamo costretti a scavare una fossa. Sono stato io a sparare su di loro. Il hmong è morto sul colpo, ma l’americano, cadendo nella fossa, ha gridato : “Perché avete sparato su di me, il Padre ?” Senza aspettare, li abbiamo coperti con la terra, poi abbiamo perquisito lo zaino dell’americano. Non c’era molto : delle cordicelle con dei grani e due pezzetti di ferro in croce, delle immagini di una donna radiosa, sola o con un bambino, e quelle di un uomo con il cuore fuori… » Rosari, immagini del Sacro Cuore di Gesù e della Vergine Maria, questo era il tesoro del missionario, le sue uniche armi. Quel 1° maggio era una domenica. È probabile che, in quel villaggio non cristiano, Mario avesse celebrato, da solo con il suo catechista, una Messa di primo mattino : fu il suo Viatico.

Un allievo catechista testimonia : « Nell’aprile del 1960, il Padre è andato verso la morte, ed io mi sono occupato della sua casa e ho curato i suoi animali fino a luglio. Allora sono venuti a uccidere tutti i suoi animali, polli, maiali… Hanno preso tutto il suo vino per la Messa, portato via tutti i suoi abiti, rovinato la sua casa. Ho dovuto abbandonare la casa e fuggire nella foresta. Io lo amo e penso sempre molto a lui : aveva un buon cuore ed era molto paziente. Amava tutti, mi amava ed è morto. Ho pianto e mi colano le lacrime. Adesso penso sempre a lui perché è come mio padre. Credo e sono sicuro che egli prega il buon Dio di aiutarmi ogni giorno. Sono certo e ho fiducia che Xyooj e lui sono con il buon Dio ; perché questi due hanno avuto un cammino troppo duro. Xyooj e il Padre sono sicuramente dei santi in Cielo per l’eternità. » Un altro degli ex allievi di padre Borzaga dichiara : « Attesto fermamente che padre Mario è stato ucciso perché si recava in quel villaggio per scacciarne gli spiriti e permettere alle persone di abbracciare il cristianesimo. Ne siamo tutti convinti : è stato ucciso perché era andato ad annunciare la Buona Novella di Gesù e curare i malati. » I leader della guerriglia, formati in Cina e nel Vietnam, volevano arrestare l’avanzare del cristianesimo nel Laos. La loro convinzione era che, una volta partiti o eliminati i missionari, sarebbe stato facile far aderire il popolo all’ideologia marxista-leninista.

La finalità delle missioni cattoliche è la salvezza eterna delle anime, una questione di primaria importanza che si pone a ogni uomo. « La tentazione oggi, scrive san Giovanni Paolo II, è di ridurre il cristianesimo a una sapienza meramente umana, quasi scienza del buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una “graduale secolarizzazione della salvezza”, per cui ci si batte, sì, per l’uomo, ma per un uomo dimezzato, ridotto alla sola dimensione orizzontale. Noi invece, sappiamo che Gesù è venuto a portare la salvezza integrale, che investe tutto l’uomo e tutti gli uomini, aprendoli ai mirabili orizzonti della filiazione divina. Perché la missione ? Perché a noi, come a san Paolo, è stata concessa la grazia di annunziare ai pagani le imperscrutabili ricchezze di Cristo ». (cfr. Ef 3,8 – RM 11)

Credere e amare

La vita di padre Mario Borzaga mostra che la vocazione missionaria vissuta nell’amore è un vero e proprio cammino di santità : « Voglio formarmi una fede e un amore profondo e granitico, non posso altrimenti essere martire : la fede e l’amore sono indispensabili, scriveva. Non c’è più nulla da fare che credere e amare. »

Il 5 giugno 2015, papa Francesco ha firmato il decreto di beatificazione di diciassette martiri morti nel Laos tra il 1954 e il 1970 ; tra questi, dieci francesi, sei indocinesi e un italiano (Mario Borzaga). La cerimonia di beatificazione si è tenuta nel Laos l’11 dicembre 2016. Un relativo ammorbidimento del regime comunista consente ormai ai cinquantamila cattolici di godere di una tolleranza, preservata a costo di una grande discrezione. Oggi, i preti cattolici che operano nel Laos sono in maggioranza laotiani ; hanno raccolto la bella sfida lanciata dai missionari europei venuti in aiuto del loro popolo abbandonato. Tuttavia, secondo una religiosa laotiana, « nel nord del paese, la situazione è particolarmente difficile : ogni manifestazione esteriore della fede è vietata – compresi luoghi di culto, croci, immagini, libri sacri nonché qualsiasi gesto o parola che potrebbero eventualmente essere interpretati come proselitismo » (testimonianza del 2013).

La missione, sottolinea san Giovanni Paolo II, è una questione che riguarda tutti i cristiani : « Gli uomini che attendono Cristo sono ancora in numero immenso… Non possiamo restarcene tranquilli, pensando ai milioni di nostri fratelli e sorelle, anch’essi redenti dal sangue di Cristo, che vivono ignari dell’amore di Dio. Per il singolo credente, come per l’intera chiesa, la causa missionaria deve essere la prima, perché riguarda il destino eterno degli uomini e risponde al disegno misterioso e misericordioso di Dio » (RM 86).

« Il sangue dei martiri è seme di cristiani » (Tertulliano). Chiediamo a Gesù, per intercessione del beato Mario Borzaga e dei suoi compagni, semi caduti nella terra del Laos, di farvi germogliare un’abbondante messe per la vita eterna.

Dom Antoine Marie osb

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