Lettera

Blason   Abbazia San Giuseppe di Clairval

F-21150 Flavigny-sur-Ozerain

Francia


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29 settembre 2005
ss. Arcangeli Michele, Gabriele, Raffaele


Carissimo Amico dell’Abbazia di San Giuseppe,

«Viva Cristo Re!» Queste furono le ultime parole di un giovane spagnolo ventiduenne, morto per la fede il 29 settembre 1936, durante la guerra civile. Papa Giovanni Paolo II dirà di lui: «Conscio della gravità del momento, il giovane Francisco Castelló y Alleu non volle nascondersi, ma offrire la propria giovinezza in sacrificio, per amor di Dio e per i suoi fratelli» (Omelia per la beatificazione di 233 martiri spagnoli, l'11 marzo 2001).

Il 19 aprile 1914, nasce, vicino ad Alicante, in Spagna, il terzo figlio di una famiglia modesta; all'atto del Battesimo, egli riceve il nome di Francisco. Alcune settimane più tardi, suo padre è stroncato dalla malattia. Sua madre decide di sistemarsi a Lerida, nel nord della penisola. Francisco è appassionato, impetuoso ed anche testardo. Ma la madre apre la giovane intelligenza del ragazzo ai misteri della fede. A partire dalla prima Comunione, Francisco prende l'abitudine di comunicarsi tutte le domeniche e talvolta anche durante la settimana; vi attinge la forza di lottare contro un grande amor proprio e di domare il suo carattere difficile. Verso l'età di tredici anni, mentre è alunno presso i Maristi, attraversa un periodo di crisi spirituale, che passa inosservata agli occhi di molti. Il suo direttore spirituale annoterà: «Smise di accostarsi ai sacramenti, ma mai di assistere alla Messa domenicale».

Un grande beneficio in pochi giorni

Nel 1929, il Signore chiama improvvisamente a Sè la madre di Francisco. Nel loro smarrimento, l'adolescente e le sue due sorelle si consacrano alla Santa Vergine. Francisco ha appena sedici anni quando ottiene la maturità con menzione «ottimo», il 14 aprile 1930. Nel novembre dello stesso anno, scrive: «Ho approfittato di qualche giorno di vacanza per fare, sotto la direzione di Padre Galán, S.J., gli Esercizi spirituali di sant'Ignazio. Non mi è sfuggita nessuna idea, e neppure una sola parola. Furono giorni di grande gioia spirituale e rendo grazie a Gesù per le consolazioni accordatemi e per la conversione salutare che ha prodotto nella mia anima». Si affida alla guida di Padre Galán, che fa di lui un apostolo e gli insegna che si «conquistano le anime soltanto attraverso il sacrificio e la preghiera».

Infiammato di zelo apostolico, Francisco si dà da fare per propagare l'Opera degli Esercizi spirituali Parrocchiali, creata da un giovane Gesuita, Padre Francesco di Paola Vallet. Iniziata a Cervera (Lerida) nel 1923, l'opera ha già cambiato notevolmente il clima religioso della Catalogna: gli uomini, cui essa si rivolge, tornano alla pratica religiosa. Tale rinascita è un frutto degli Esercizi spirituali di sant'Ignazio di Loyola, che Padre Vallet ha avuto l'idea di sintetizzare in cinque giorni (invece di trenta), per metterli alla portata del maggior numero possibile di laici. Rigenerati dai cinque giorni di ritiro spirituale, i cristiani sono invitati ad assecondare il Parroco nell'ambito delle opere parrocchiali. «Manrese», rivista dei Padri Gesuiti spagnoli, pubblicava nel numero del giugno 1927: «Il grande frutto che si ricava visibilmente dagli Esercizi spirituali del nostro santo Padre Ignazio, e l'entusiasmo sollevato in tutta la Catalogna, sono in gran parte dovuti al fatto che Padre Vallet ha saputo interpretare il pensiero di sant'Ignazio relativamente al modo pratico di organizzare gli Esercizi. Il Santo stesso, all'inizio del suo libro, segnala varie forme di adattamento».

Ora, se è vero che «da sè sola, la ben nota meditazione sul fine dell'uomo (proposta da sant'Ignazio all'inizio degli Esercizi) basta per risanare totalmente la Città» (Leone XIII), si capisce che i partecipanti al ritiro spirituale, consci del disegno di Dio sull'uomo e sul mondo, nettamente opposti al peccato ed a tutte le ingiustizie, pronti a seguire Cristo fino alla Croce, esercitino, nel quadro delle loro responsabilità socioprofessionali, un'inflenza benefica. Tale era d'altronde lo scopo esplicito di Padre Vallet: gettare le basi in vista di ricondurre totalmente la società alla fede cristiana, ed influire così sulla soluzione dei problemi sociali ed economici.

A Lerida, numerosi giovani aderiscono, fin dal 1931, alla nuova «Federazione dei Giovani Cristiani della Catalogna», creata sulla scia dei ritiri spirituali. L'Azione Cattolica e la nuova «Federazione» operano insieme per la formazione dottrinale dei giovani, il cui compito è quello di riportare a Cristo tutta la società, attraverso la famiglia, il lavoro, la cultura, il tempo libero, ecc. Francisco si dedica senza restrizioni all'opera, ed organizza ritiri, i cui frutti non tarderanno a manifestarsi: il numero di giovani cristiani impegnati nella provincia di Lerida passa, in tre anni, da 140 a 645!

Francisco consegue la laurea in scienze, indirizzo chimica, il 6 febbraio 1934. «Io che l'ho frequentato spesso, testimonia uno dei suoi amici, non l'ho mai visto dimostrarsi brusco. Al contrario, pur rimanendo aperto ed espansivo, sapeva dimostrarsi dolce e gentile». Un altro scriverà: «Ha condiviso con gli amici la vita agitata dell'Università; si è unito a compagni forse impantanati nella lussuria e nel materialismo... Dove si trovava lui, c'era anche la gioia. Dinamico e intraprendente, amava tutto quel che era bello. Ha esercitato una grande influenza sul cuore di tutti i suoi amici». Francisco viene assunto in qualità di ingegnere in una ditta di concimi chimici a Lerida. Tutte le sere, dà gratuitamente lezioni a operai della ditta e agli abitanti di un quartiere diseredato di Lerida, focolaio di anticlericalismo.

Un'opera troppo trascurata

All'inizio del 1936, il clima politico si degrada. Il 16 febbraio, giornata elettorale, Francisco rimane a casa (non ha l'età voluta per votare). Alla sorella, che si stupisce della sua inattività, mentre molti altri si agitano, risponde: «Sono già tre anni che coloro che lottano oggi per mantenere l'ordine hanno trascurato di promuovere le opere che avrebbero potuto elevare le menti verso la religione ed il ripristino delle usanze cristiane. Lasciamoli agitarsi. Domani sarà la mia volta: passerò di casa in casa per ottenere, una per una, iscrizioni agli Esercizi spirituali (di sant'Ignazio)». E aggiunge, convinto: «Se l'opera degli Esercizi spirituali non fosse stata tanto trascurata, la politica, oggi, presenterebbe un tutt'altro volto!» Infatti, gli Esercizi spirituali sono, secondo Papa Pio XI, «uno strumento prezioso di rinnovo individuale e sociale» e formano «veri apostoli per tutti i generi di vita... preoccupati di operare alla diffusione del Regno di Cristo» (Enciclica Quadragesimo anno, 1931).

Un uragano di una violenza rara si scatena sulla Spagna. A partire dal 14 aprile 1931, il governo ha cessato di essere una monarchia cattolica per diventare una repubblica. La Chiesa, pur avendo riconosiuto la legittimità del nuovo governo, si è vista a poco a poco posta sotto un regime di persecuzione legislativa. Nel febbraio del 1936, il «Fronte Popolare» assume il potere e l'anticlericalismo si fa minaccioso. Durante l'estate, l'assassinio di sacerdoti, seminaristi, monaci, suore e laici, diventa cosa banale. Più tardi, l'episcopato spagnolo denuncerà tale persecuzione come la più violenta della storia della Spagna.

Nel maggio 1936, in occasione della festa di Maria Ausiliatrice, Francisco si fidanza con María Pelegri, giovane la cui devozione è all'unisono della sua. La loro relazione rimane casta: «Non abbiamo mai avuto nulla da confessare in questo campo», affermerà María. La virtù della castità era stata gelosamente mantenuta nel cuore di Francisco da sua madre, e le sorelle dichiareranno: «Per quanto concerne la purezza, era, a giusta ragione, intransigente... Non esitava a protestare ad alta voce, anche in un autobus o in una sala d'aspetto. Ci consigliava, in particolare nel vestire, mostrandoci che potevamo essere occasione di peccato».

Il 1° luglio seguente, Francisco, chiamato alle armi, è assegnato alla fortezza di Lerida. Nella serata del giorno seguente, questa diventa preda di un «Comitato militare» marxista. Nella notte fra il 20 ed il 21 luglio, Francisco è brutalmente svegliato dal nuovo comandante della fortezza, che lo accusa di essere «fascista». L'etichetta «fascista» è un semplice pretesto: i rivoluzionari non vogliono martiri (testimoni della Fede), ma semplicemente accusati che passino per antipatrioti e nemici della libertà. Dopo esser stato colpito a scudisciate, il giovane viene rinchiuso con una ventina di prigionieri in un'antica cappella: nessuna apertura, tranne uno spiraglio minuscolo, nessun impianto igienico. Uno dei prigionieri dichiarerà: «Perfino i più vigorosi si scoraggiavano. Francisco era sempre di buonumore: si era affidato totalmente a Dio. Aveva immaginato una specie di rivista umoristica per aiutarci ad ammazzare il tempo. La sera, ci faceva una breve conversazione sul senso della vita cristiana». La sua preoccupazione costante era quella di non sconvolgere la pace della sua famiglia; le brevi letterine che riesce ad inviare esprimono tutte la stessa idea: «Sto benissimo; non mi manca nulla; non preoccupatevi affatto per me».

Farò loro sempre il più gran bene possibile

Francisco chiede agli ex collaboratori della sua ditta una testimonianza in suo favore. Paralizzati dal timore, essi dichiarano che non val la pena di preoccuparsi per la sorte di uno «sciagurato», vale a dire di un cattolico praticante... Profondamente ferito dalla loro reazione, risponde: «Se essi mi considerano un nemico, io non li considero affatto tali, e farò loro sempre il più gran bene possibile... Che Dio li illumini tutti e li apra alla luce della verità!» Uno dei suoi cugini, militante del «Partito operaio marxista» e membro del «Comitato di Salute Pubblica», gli suggerisce di firmare un documento in cui nasconderebbe la sua fede e rinuncerebbe al suo impegno nei movimenti cattolici, facendo valere la sua mancanza di maturità. Tale comportamento, afferma, ha già fatto ottenere ad altri la libertà senza processo... «Se sei venuto perchè faccia un passo indietro, gli risponde fermamente Francisco, perdi il tuo tempo». Ma il cugino torna parecchie volte e si fa più insistente. «Il prigioniero rifiutò di botto, dichiarerà un testimone, affermando con ancor maggior fermezza di esser disposto a morire per la sua fede».

Il sabato 12 settembre, festa del Santo Nome di Maria, il giovane soldato di Cristo viene trasferito nella prigione provinciale. Va di cella in cella, in cerca di prigionieri scoraggiati, crea un coro ed incoraggia la distrazione: giochi di scacchi, dama, ecc. Non può più sopportare che i miliziani, per derisione, obblighino i sacerdoti a compiere i lavori più ributtanti, e si incarica personalmente della pulizia delle latrine e dei depositi di immondizie. «Introdusse nella nostra cella, dirà un amico, la recita del rosario, con canti eucaristici e l'inno della Federazione dei Giovani Cristiani. Insistette presso parecchi prigionieri perchè si confessassero a Padre V., prigioniero come noi». Il 23 settembre, dopo un severo interrogatorio, Francisco fa la seguente confidenza: «Noi saremo sempre condannati «fascisti»... Rinunciamo anche alla gloria del martirio agli occhi del mondo; perchè, essendo il nostro sacrificio gradito a Dio, null'altro conta!»

Il martedì 29 settembre 1936 è una mattinata d'addio, di incoraggiamento alla fiducia ed alla serenità... Francisco fa una fervida confessione generale (confessione di tutti i peccati della sua vita) a Padre V. «Si vedeva il frutto della sua intimità con il Signore, racconta un compagno di prigionia. Partendo, ci fece un segno di addio con la mano, con il sorriso sulle labbra... La sera, rinchiusi nelle nostre celle, abbiamo recitato il rosario quotidiano per coloro che ci avevano lasciati». Condotto al municipio, l'accusato Castelló sale i gradini deciso, a testa alta. La sala, diventata sede del Tribunale Popolare di Lerida, è piena zeppa.

Sono cattolico!

Il Presidente si rivolge a Francisco: «Cosa rispondi ai documenti che ti accusano di essere «fascista»? – Non sono «fascista». Non ho mai militato in un partito politico. – Abbiamo prove. A casa tua e nell'ufficio della ditta in cui lavori, sono stati trovati libri che dimostrano i tuoi contatti con due paesi fascisti. – A casa mia e nei laboratori della ditta, non avete potuto trovare altro che libri di studio. Siccome sono chimico, studiavo l'italiano ed il tedesco che sono lingue utili in chimica. Non avevo altra ambizione se non quella di perfezionarmi nel mio mestiere. – Insomma, finiamola. Sei cattolico? – Sì, senz'altro. Sono cattolico!» Il nostro eroe pronuncia queste parole con voce chiara e serena. Il suo coraggio e la sua onestà provocano un movimento indescrittibile nella vasta sala. Parecchi gridano: «Innocente... libertà... perdono!»

Il pubblico ministero chiede la pena di morte. Francisco ascolta, con gli occhi brillanti di gioia, come se gli fosse stata annunciata la gloria del cielo. Avendogli il Presidente dato la parola perchè si difendesse, risponde: «Se il fatto di essere cattolico è un delitto, accetto molto volentieri di essere un delinquente, poichè la più grande felicità che uno possa trovare in questa vita è quella di morire per Cristo. E se avessi mille vite, le darei tutte per Lui, senza un attimo di esitazione. La ringrazio dunque di offrirmi la possibilità di assicurarmi l'eterna salvezza». La sentenza non tarderà!

I condannati della giornata vengono condotti fino ad un lugubre sotterraneo che funge da prigione municipale. Entrandovi, Francisco lancia un vigoroso e vibrante: «Coraggio, fratelli!», poi intona l'Inno della Perseveranza dell'Opera degli Esercizi spirituali parrocchiali. «Tutti gridavano la loro rabbia e disperazione, riferisce un condannato a morte che sarà graziato prima dell'esecuzione; Francisco solo rimaneva calmo. Ci diceva: «Andiamo, ragazzi... quel che ciascuno di noi deve fare, è prepararsi e raccomandare l'anima a Dio... Dobbiamo ancora congedarci dalla famiglia». Si tolse allora di tasca una matita ed un foglio di carta, si sedette su una panca di pietra e cominciò a scrivere».

Sii fiera!

La prima lettera è indirizzata alle sorelle ed alla zia: «Carissime, mi è stata or ora annunciata la condanna a morte, e non sono mai stato tranquillo quanto adesso. Sono certo che questa notte sarò in Cielo con i miei genitori... La divina Provvidenza mi ha voluto scegliere quale vittima degli errori e dei peccati che abbiamo commessi. Vado volentieri verso la morte. Mai come ora avrò altrettante possibilità di assicurarmi la Salvezza... Offro a Dio le sofferenze di questo momento». Dopo aver scritto qualche riga per il suo padre spirituale, si rivolge alla fidanzata: «Cara Mariona, le nostre vite erano unite e Dio le ha volute separare. Gli offro, con la massima sincerità possibile, l'amore che ho per te, amore intenso, puro e sincero. La tua disgrazia mi fa male, ma non la mia. Sii fiera: due fratelli e il fidanzato!». Infatti, due fratelli della ragazza erano stati vittime della rivoluzione alcune settimane prima.

La sera del 29 settembre, i sei condannati vengono portati via in camion. Francisco intona il Credo che tutti riprendono in coro. Ad un miliziano che lo schiaffeggia per farlo star zitto, risponde: «Ti perdono, perchè non sai quello che fai». I condannati continuano a cantare: «Il terzo giorno, risuscitò... Credo nella Santa Chiesa Cattolica... Credo nella vita eterna!» Scendono dal camion davanti al cimitero. Lì vicino c'è un gruppo di curiosi fra i quali Francisco, sorridente e commosso, riconosce un amico di sua sorella Teresa. Si scambiano un espressivo sguardo di «addio». In fondo ad un viale, un cancello dà accesso ad un piccolo spazio chiuso, teatro delle esecuzioni, dove oggi si trovano un altare ed una croce di pietra... Di fronte al plotone, Francisco grida: «Un attimo, per favore! Perdono a tutti voi; e vi do appuntamento nell'eternità!» Con le mani giunte, gli occhi rivolti al cielo ed una preghiera sulle labbra sta davanti ai carnefici. Una voce ordina: «Fuoco!» Francisco lancia un ultimo grido: «VIVA CRISTO RE!» e le detonazioni echeggiano. Poco dopo, l'amico della sorella scende nella fossa e si china: il giovane cuore continua a battere. Il capo, inclinato sulla destra, riposa sul suolo; gli occhi sono semiaperti ed il viso esprime una dolcezza angelica.

L'ultima professione di fede del giovane martire si faceva portavoce delle parole di Papa Pio XI, che ha istituito la festa liturgica di Cristo Re, per rimediare al gran male sociale dei tempi moderni: «Dio e Gesù Cristo sono stati esclusi dalla legislazione e dagli affari pubblici» (Enciclica Quas primas, 1925). Alcuni anni dopo, scoppierà la seconda guerra mondiale. Pio XII ne discernerà le cause profonde negli sforzi tendenti a sottrarre la vita pubblica all'influenza e all'autorità di Cristo: «Il riconoscimento dei diritti regali di Cristo ed il ritorno degli individui e della società alla legge della di Lui verità e del di Lui amore sono l'unica via di salvezza» (Enciclica Summi pontificatus, 1939). Infatti, ogni istituzione si ispira ad una visione dell'uomo e del suo destino, da cui deriva i propri criteri di giudizio, la propria gerarchia dei valori, la propria linea di condotta. Ciò è particolarmente vero per lo Stato: a tale livello, una visione errata dell'uomo porta con sè gravi conseguenze in tutti i campi della vita sociale. Ora, «solo la Religione divinamente rivelata ha chiaramente riconosciuto in Dio, Creatore e Redentore, l'origine e il destino dell'uomo. La Chiesa invita i poteri politici a riferire i loro giudizi e le loro decisioni a tale ispirazione della Verità su Dio e sull'uomo» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2244).

La Chiesa ha insegnato da sempre la distinzione fra l'ordine spirituale e quello temporale; essa riconosce una laicità sana, vale a dire una reale autonomia dello Stato nel proprio ordine. Tuttavia, lo Stato rimane tenuto a rispettare la legge morale naturale, che concerne tutti i singoli uomini, qualsiasi siano le loro credenze religiose. «La legge naturale, insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, altro non è che la luce dell'intelligenza infusa in noi da Dio; grazie ad essa, conosciamo ciò che si deve compiere e ciò che si deve evitare (per raggiungere il proprio fine, la beatitudine promessa)... Nei suoi precetti principali essa è esposta nel Decalogo... Essa procura il fondamento necessario alla legge civile» (CCC, 1950-1959). Come san Tommaso d'Aquino, Papa Giovanni Paolo II afferma: «Ogni singola legge portata dagli uomini non ha ragione di legge che in quanto scaturisce dalla legge naturale. Se devia in qualche punto dalla legge naturale, non è allora più una legge, ma una corruzione della legge... è piuttosto una violenza» (Enciclica Evangelium Vitæ, n. 72).

Una relazione ineluttabile

Iscritta nella nostra natura, la legge naturale può esser percepita da tutti gli uomini, anche non cristiani. Ma tale legge non può imporsi durevolmente se non se ne riconosce il fondamento in Dio, Creatore onnipotente, infinitamente buono e Padre di tutti, giusto giudice e rimuneratore delle azioni umane. «Non si deve dimenticarlo, scrive Giovanni Paolo II: la negazione di Dio e dei suoi Comandamenti ha portato, nel secolo scorso, alla tirannide degli idoli: una razza, una classe, lo Stato, la nazione, il partito... » (Lettera del 16 dicembre 2000, in occasione del 12° centenario dell'incoronazione di Carlo Magno). Pertanto, «da questa relazione ineluttabile fra Dio e la Città dipende l'avvenire delle società» (Discorso al Corpo diplomatico, 11 gennaio 1999). Ma c'è di più, là dove la Religione rivelata in Cristo non è riconosciuta come vera, la legge naturale si oscura progressivamente nelle mentalità. «Non c'è rispetto della legge morale senza vera religione: è una verità dimostrata, è un fatto storico» (San Pio X, Lettera sul Solco).

Ai giorni nostri, si può constatare, con Papa Giovanni Paolo II, presso numerosi uomini politici, il «rifiuto di attribuire a Dio ed alla fede cristiana il posto che spetta loro nel pubblico dominio» (Lettera al Cardinale Schönborn, 10 giugno 2003). La Nuova Evangelizzazione è dunque una necessità urgente per la stessa vita pubblica, che, secondo il piano divino, deve favorire il bene delle persone e la loro eterna salvezza. Preghiamo il Beato Francisco Castelló di intercedere presso Cristo, Re delle nazioni, affinchè parlamentari e uomini di governo si ispirino alla sua legge di verità e d'amore.

Dom Antoine Marie osb

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