Lettera

Blason   Abbazia San Giuseppe di Clairval

F-21150 Flavigny-sur-Ozerain

Francia


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25 aprile 2006
San Marco, evangelista


Carissimo Amico dell’Abbazia di San Giuseppe,

«Bisogna avere le mani occupate al lavoro e il cuore vicino a Dio», affermava Madre Maria Teresa Scherer. In occasione della beatificazione di questa suora svizzera, il 29 ottobre 1995, Papa Giovanni Paolo II osservava: «Più la sua vita interiore cresceva, e più si curava delle necessità del mondo della sua epoca».

Quarta di sette figli, Caterina Scherer è nata il 31 ottobre 1825 a Meggen, in riva al lago dei Quattro Cantoni (Svizzera), in mezzo ad un maestoso scenario di montagne. Fin dalla più tenera infanzia, le si insegna ad accudire a piccole faccende di casa, ad aiutare in giardino e nei campi, a vivere frugalmente e semplicemente. Il 15 febbraio 1833, suo padre muore, a seguito di una polmonite fulminante. Caterina viene affidata a parenti – due fratelli celibi, di cui uno è il suo padrino – e viene quindi separata dalla madre e dai fratelli e sorelle che tuttavia abitano nello stesso villaggio di Meggen.

Caterina non è una ragazzina modello: «Ero chiacchierona, distratta, indisciplinata, confesserà sinceramente più tardi... Ero irritabile, incline alla collera. Mi piacevano i bei vestiti, provavo soddisfazione ad essere complimentata. Ho spesso risposto male e disubbidito alla domestica». Tuttavia, è intelligente, coscienziosa, dotata di un'ottima memoria, e lo studio non presenta per lei nessuna difficoltà. «Mi piacevano le prediche e quando si presentava l'occasione frequentavo i sacramenti».

A sedici anni va a Lucerna. «Il curato della parrocchia, come pure mia madre, mio fratello e la mia sorella maggiore, scriverà, conoscendo la mia vivacità, la mia vanità e la passione che avevo per la musica, decisero di allontanarmi dal mio padrino e mi affidarono alle Suore ospedaliere di Besançon, a Lucerna, dove mi recai di malavoglia». I suoi inizi all'ospedale sono penosi. Impiegata come aiuto infermiera, si trova senza posa confrontata alla sofferenza e alla morte. Una ridda di domande le si presenta alla mente. Si sente schiacciata dalla rigorosa monotonia degli orari e dal severo regolamento. La ripugnanza e lo strapazzo le provocano una crisi. Ma un giorno, per intervento della grazia divina, la luce subentra nella sua anima: «Cominciai a pregare di più, e mi accostai più spesso ai sacramenti». Si produce in lei un cambiamento radicale: vince la ripugnanza e prova gioia nel dono di sè al servizio dei malati.

Tre anni passati all'ospedale fanno maturare la ragazza. Nel luglio del 1844, compie un pellegrinaggio all'abbazia benedettina di Einsiedeln; ivi riflette seriamente sulla scelta della sua vocazione e, poco dopo, prende la decisione di entrare in un ordine religioso attivo. Ora, un Cappuccino del convento di Altdorf, Padre Teodosio, apostolo dal cuore ardente, sta organizzando una comunità femminile che sembra corrispondere ai desideri di Caterina. «Già prima del 1839, scriverà, avevo concepito l'intento di sostituire l'insegnamento antireligioso con un'educazione cristiana cattolica; di far dare ai poveri, agli indigenti, ai carcerati, attraverso congregazioni religiose adattate alle necessità del paese, un'assistenza basata sui principi della fede e della carità cristiana». Il progetto di Padre Teodosio vuol reagire ad un laicismo virulento insito nei posti direttivi della Confederazione svizzera, che sopprime spietatamente le scuole cattoliche e le comunità religiose.

«Ci si sbaglia...»

La Chiesa ha sempre riconosciuto una laicità sana della società civile, vale a dire la distinzione fra il potere temporale ed il potere spirituale, esercitato ciascuno nel proprio campo. Ma il laicismo, che vuol non tener conto di Dio e della religione all'infuori dell'ambito della vita privata, è un errore grave, contrario alla verità ed al bene dell'uomo e della società. «Ci si sbaglia, scrive Papa Giovanni Paolo II, quando si pensa che il riferimento pubblico alla fede possa attentare alla giusta autonomia dello Stato e delle istituzioni civili, o che ciò possa addirittura incoraggiare atteggiamenti di intolleranza» (Mane nobiscum Domine, 7 ottobre 2004).

Già il 20 ottobre 1939, Papa Pio XII scriveva: «Venerabili fratelli, ci può essere un dovere più grande e più urgente di quello che consiste nell'annunziare le imperscrutabili ricchezze di Cristo (Ef. 3, 8) agli uomini della nostra epoca?... All'inizio della via che conduce all'indigenza spirituale e morale dei tempi attuali, si trovano gli sforzi nefasti di un gran numero di uomini in vista di detronizzare Cristo, l'abbandono della legge della verità, che Egli ha annunciato, la legge dell'amore, che è l'afflato vitale del suo regno. Il riconoscimento dei diritti regali di Cristo ed il ritorno degli individui e della società alla legge della sua verità e del suo amore sono la sola via di salvezza...

«Prima di tutto, è certo che la radice profonda ed ultima dei mali che deploriamo nella società moderna è la negazione ed il rifiuto di una regola di moralità universale, sia nella vita individuale, che nella vita sociale e nelle relazioni internazionali: vale a dire l'ignoranza e la dimenticanza, tanto diffuse ai giorni nostri, della legge naturale stessa, che trova il proprio fondamento in Dio, Creatore onnipotente e Padre di tutti, legislatore supremo e assoluto, onnisciente e giusto vendicatore delle azioni umane. Quando Dio è rinnegato, tutte le basi della moralità vacillano nello stesso tempo...

«Il Santo Vangelo narra che, quando Gesù fu crocifisso, si fece buio su tutta la terra (Matt. 27, 45); simbolo spaventoso di quel che è capitato e capita tuttora nelle menti, dappertutto dove l'incredulità cieca ed orgogliosa di sè ha veramente escluso Cristo dalla vita moderna, specialmente dalla vita pubblica, e, con la fede in Cristo, ha fatto vacillare anche la fede in Dio. I valori morali secondo cui, in altri tempi, si giudicavano le azioni private e pubbliche sono, di conseguenza, caduti in disuso; e la tanto vantata laicizzazione della società, che ha compiuto progressi sempre più rapidi, sottraendo l'uomo, la famiglia e lo Stato all'influenza benefica e rigeneratrice dell'idea di Dio e dell'insegnamento della Chiesa, ha fatto ricomparire, anche in luoghi in cui brillarono per tanti secoli gli splendori della civiltà cristiana, i segni sempre più chiari, sempre più manifesti, sempre più angosciosi di un paganesimo corrotto e corruttore» (Pio XII, Summi Pontificatus). È questo spirito pagano, già all'opera nel XIX secolo, che Padre Teodosio intendeva combattere.

Una risolutezza che prevale

Il 5 ottobre 1844, Caterina incontra Padre Teodosio e decide di entrare a far parte della nuova congregazione la primavera seguente. La sua famiglia giudica imprudente tale decisione, ma davanti alla sua risolutezza, accetta di lasciarla partire. Il 27 giugno 1845, essa va con una compagna a compiere il noviziato a Menzingen, dove Padre Teodosio ha aperto una scuola con tre ragazze che hanno inaugurato la famiglia religiosa, le «Sorelle della Santa Croce», nello spirito del Terz'Ordine di san Francesco, sotto la guida di una Superiora, Madre Maria Bernarda. Caterina assume il nome di suor Maria Teresa. Il periodo di noviziato le permette di rendersi meglio conto dei suoi difetti: «All'epoca, confessa, i miei difetti principali erano la suscettibilità, l'orgoglio e la vanità». Impara a conoscere Dio più profondamente ed a vivere nella sua presenza. Alla fine di ottobre del 1845, le cinque religiose pronunciano i primi voti. Subito dopo, suor Maria Teresa viene mandata a fondare una scuola a Galgenen, assieme ad un'altra Suora. Pedagoga per natura, suor Maria Teresa si forma con efficacia e successo al compito di maestra. Tuttavia, dovendo far lezione ed occuparsi dei lavori casalinghi, mentre impiega il tempo libero allo studio personale, ben presto è fisicamente spossata. «Diventavo scrupolosa, dice, ero oppressa da tormenti interiori e, ritenendomi perduta, non riuscivo a mortificarmi sufficientemente». Si ammala, e deve tornare a Menzingen. Ivi, ritrova una certa pace interiore e supera con successo l'esame statale di abilitazione all'insegnamento. Nel corso degli anni seguenti, le verranno affidate varie altre case; si farà apprezzare ovunque per l'energia, il lavoro coscienzioso e il buonumore.

Memorabile stretta di mano

Il 1° marzo 1852, a richiesta di Padre Teodosio, suor Maria Teresa viene mandata a Coira per assumere la responsabilità di un piccolo ospedale fondato dal Padre. La casa in cui si trova l'ospedale non fa al caso: bisogna dunque far costruire, ma mancano il terreno ed i fondi. «Padre Teodosio si dichiarava pronto, con l'aiuto di Dio, ad intraprendere l'opera, a condizione che gli promettessi aiuto, fiducia e fedeltà, scriverà Madre Maria Teresa. Mi impegnai con una stretta di mano ed egli mi lasciò tutto contento. Due giorni dopo, venne acquistato un terreno e fu immediatamente iniziata la costruzione dell'ospedale della Croce». Tale stretta di mano trascina suor Maria Teresa, chiamata ormai «Madre», su una nuova via di carità, al servizio degli ammalati.

Con un'energia poco comune e un gran talento organizzativo, Madre Maria Teresa si occupa della costruzione del nuovo edificio, fra ostacoli di ogni genere e umiliazioni insopportabili. Per le Suore addette a curare gli ammalati, essa compone una preghiera, che dice fra l'altro: «Signore, fa' che vedano i tuoi fratelli nei poveri e negli ammalati! Che li amino di tutto cuore, che li assistano instancabilmente con gioia, che sopportino con pazienza i loro difetti e le loro lamentele, che rendano bene per male, che, malgrado tutte le difficoltà, rimangano umili, semplici, obbedienti e pure, e che sopportino le sofferenze per amore per Te, mio Dio, e per la salvezza delle loro anime». La povertà del nuovo ospedale è grande e le religiose danno la precedenza ai bisogni degli ammalati; capita, pertanto, che talvolta le Suore patiscano la fame.

Grazie a una bella fioritura di vocazioni, ci si lancia in attività sociali di ogni specie. Dopo l'ospedale, vengono aperti un orfanatrofio, un ospizio per anziani, una scuola di lavori manuali e un convitto per ragazze. Poi si moltiplicano le strutture in altre città. Per far fronte alle enormi spese, Madre Maria Teresa manda Suore a questuare in Svizzera, poi all'estero.

Ma, ben presto, Padre Teodosio si rende conto che le Suore rimaste a Menzingen, sotto la direzione di Madre Maria Bernarda, hanno deciso di separarsi da lui e da quelle che si dedicano ad altre opere di carità; esse vogliono consacrarsi unicamente all'insegnamento. Nella Congregazione, si diffonde un grande scompiglio. Alla fine, viene decisa la separazione, ed ogni Suora ha la libertà assoluta di scegliere fra le due Istituzioni. «La separazione in due istituzioni, scriverà una Suora, non provocò l'ostilità. Le Superiore delle due case e Padre Teodosio si aiutarono e si sostennero reciprocamente, quando la necessità lo richiese. Si riconosce in ciò lo spirito di Padre Teodosio che non si stancava di ripetere: «Purchè si faccia il bene nella Chiesa, che importanza ha chi lo fa? Sia ringraziato Dio»».

Conservare il buonumore

Nel 1855, Padre Teodosio decide di acquistare la collina che domina il villaggio di Ingenbohl, nella Svizzera centrale, per insediarvi la Casa Madre delle Suore. Il 13 ottobre 1857, Madre Maria Teresa viene eletta Superiora generale delle Suore di Carità della Santa Croce di Ingenbohl. Seguono poi anni di attività frenetica, in cui si moltiplicano le fondazioni. Per sostenere l'apostolato delle Suore, Padre Teodosio introduce a Ingenbohl l'adorazione perpetua del Santissimo Sacramento. Madre Maria Teresa attinge all'Eucaristia una vita spirituale semplicissima. Quel che conta ai suoi occhi, è l'amore che dirige l'azione, la fedeltà al dovere del proprio stato, la carità fraterna. «Bisogna pregare con fervore, dice, e abituarsi a condurre un'intensa vita interiore in tutte le circostanze della vita, senza tuttavia assumere una faccia da funerale». Una Suora le chiede consiglio circa il digiuno e la penitenza: «Le Suore non devono digiunare fino a compromettere la loro salute; hanno bisogno di forze per servire il prossimo. Non tengo nel massimo conto il cilicio. Apprezzo di più il dominio di sè, la carità nelle parole e la lotta contro l'amor proprio... Le nostre vere mortificazioni consistono nell'accontentarci di quel che ci vien dato, ad andare dove ci mandano e a conservare il buonumore».

Madre Maria Teresa manifesta una grande bontà di cuore. Sa che un infelice dà più importanza ai riguardi con cui lo si riceve che ai beni materiali che gli sono dati. In un ospizio in cui è appena arrivata, le Suore sono riunite attorno a lei, quando si presenta un mendicante. La Superiora locale si prodiga pazientemente per lui. Le Suore, un po' imbarazzate, si scusano, ma Madre Maria Teresa dice loro: «Così vedo una Suora dei Poveri; il suo amore per essi dovrà essere talmente grande che li servirà per primi e non si periterà di far attendere la Superiora generale. Essa interromperà addirittura la preghiera, se necessario, per soccorrere un povero. Non soltanto lo tratterà da pari a pari, ma si comporterà con lui come una madre con il più infelice dei suoi figli».

Fedeltà eroica

Padre Teodosio è pieno di sollecitudine per la situazione sociale e spirituale degli operai, uomini, donne e bambini, per i quali le Suore hanno creato centri di raccolta. Nel 1860, egli compra una fabbrica di tessuti che impiegava parecchie centinaia di operai a Oberleutensdorf, in Boemia, e che ha fatto fallimento. Madre Maria Teresa ritiene che tale lavoro non convenga alle Suore. Tuttavia, dopo aver riflettuto a lungo, manda in quella fabbrica cinque Suore. Col passar del tempo, appare chiaramente che i timori di Madre Maria Teresa erano fondati. Le Suore non sono fatte per quel lavoro ed il loro coraggio indomabile non può evitare il disastro. Padre Teodosio si sfinisce sulle strade dell'Europa nella ricerca di aiuto. La sua salute non regge: il 15 febbraio 1865, egli esala l'ultimo respiro. L'ora è tragica per Madre Maria Teresa. Si rinvigorisce attraverso la preghiera e la fiducia in Dio, quindi, con una stupefacente padronanza di sè, fa stabilire un bilancio preciso della situazione, che risulta catastrofica. Il 15 settembre, dopo mesi di intime sofferenze morali, decide, per fedeltà al Padre Fondatore e per evitare ai numerosi creditori di subire le conseguenze dei debiti non pagati, di accettare l'eredità passiva di Padre Teodosio. Fino al 1870, assecondata da un comitato di soccorso molto attivo, Madre Maria Teresa usa le proprie forze nel soddisfare i creditori, con una calma che sembra inspiegabile. In tutta la Congregazione, le Suore accettano generosamente di compiere sforzi eroici. «Il Buon Dio, dice loro, ci aiuterà se rimarremo unite fra di noi e se non avremo altro scopo che la sua gloria ed il bene degli uomini. Ma dobbiamo anche lavorare molto». Finalmente, l'instancabile pazienza e l'invincibile fiducia di Madre Maria Teresa vengono a capo dei debiti, e la Congregazione, liberata da quel peso, può avere un notevole sviluppo.

Non appena realizzato l'ammortamento dei debiti, un'altra croce mette alla prova la Superiora. Un nipote di Padre Teodosio, accecato dall'ambizione e dalla cupidigia, fa valere presunti diritti sull'eredità dello zio. Padre Teodosio aveva accordato al nipote, che gli era molto utile, più fiducia di quanta ne meritasse. Ne consegue un processo oneroso, che durerà per tre anni, e che farà crudelmente soffrire Madre Maria Teresa. Sul finire del 1872, la causa si conclude con una sentenza favorevole alle Suore. Tuttavia, in considerazione dei servizi resi a Padre Teodosio, Madre Maria Teresa fa dono al suindicato nipote di una somma adeguata.

Le prove si succedono. Nell'agosto del 1872, per sostituire il successore di Padre Teodosio che ha perso a sua volta la vita, viene nominato ad Ingenbohl un nuovo Superiore, Padre Paolo, Cappuccino. Ma ben presto il Superiore concepisce il disegno di trasformare la Congregazione per renderla più contemplativa e si sforza di convertire al suo punto di vista il vescovo, i suoi propri Superiori cappuccini, le Suore e le novizie. Visita parecchie case delle Suore e getta ovunque lo scompiglio nelle anime. La Madre generale, spesso in viaggio, si rende conto della situazione solo un po' alla volta. Con molti riguardi, essa espone a Padre Paolo il suo disaccordo a proposito dei provvedimenti che egli prende. Poichè si ostina nelle sue intenzioni, Madre Maria Teresa manda al vescovo una lettera di rinuncia all'incarico di Superiora. Il prelato accetta le dimissioni. «Pensiamo al nostro Salvatore ed alle innumerevoli offese che riceve ogni giorno, scrive Madre Maria Teresa ad una delle sue figlie. Non sono trattata meglio, come lei deve sapere. Poco importa, non si possono accontentare tutti. Purchè Dio sia contento di noi!» Tuttavia, vengono inviate al vescovo petizioni provenienti non solo dalle suore, ma anche da sacerdoti e da numerose personalità influenti, in vista di reclamare la conferma nell'incarico di Madre Maria Teresa. Nel luglio del 1873, viene nominato un consigliere ecclesiastico, per esaminare la questione; il rapporto si conclude come segue: «L'idea di Padre Paolo è irrealizzabile dal punto di vista canonico, e piuttosto nefasta dal punto di vista pratico». Informato, il vescovo reintegra Madre Maria Teresa nelle sue funzioni di Superiora generale e trasferisce Padre Paolo.

L'essenziale

Nel 1880, un'altra prova dello stesso genere colpisce Madre Maria Teresa. Alla Casa Madre di Ingenbohl, è stato nominato un giovane cappellano; non avendo che una conoscenza libresca della vita religiosa, egli accusa la Superiora di violare le Costituzioni. Tale accusa malevola la ferisce nel più profondo dell'anima. Tuttavia, tace e parla apertamente di questa spinosa questione soltanto con la sua assistente: «Sono tormentata, è doloroso per me tornare alla Casa Madre, le scrive; che Dio voglia far servire tutto per il nostro bene. L'essenziale è che noi siamo unite e che ci vogliamo bene, che portiamo insieme la croce e la sofferenza». Nel gennaio del 1884, per conformarsi al desiderio formale del vescovo, essa si giustifica per iscritto ed ha causa vinta. In seguito, il cappellano riconoscerà i suoi torti e diventerà un sacerdote indulgente e benevolo.

Per tutta la vita, Madre Maria Teresa dovette sopportare problemi di salute: reumatismi acuti, varici, mal di fegato... Nel corso del 1887, un medico constata un tumore canceroso allo stomaco. Il 1° maggio 1888, riceve gli ultimi sacramenti. I suoi ultimi giorni sono particolarmente dolorosi. La sera del 16 giugno, entra in agonia, poi esala serenamente l'ultimo respiro, dopo aver mormorato: «Cielo... Cielo!»

La Congregazione delle Suore di Carità della Santa Croce contava, alla data della morte della fondatrice, 1658 religiose che lavoravano in parecchi paesi ed erano ripartite in 434 strutture: scuole, orfanatrofi, asili nido, giardini d'infanzia, istituti per sordomuti, per ciechi, convitti per apprendisti e studenti poveri, case per ragazze, ospedali, infermiere a domicilio, manicomi, ospizi per anziani, ecc.

«Maria Teresa rimane per noi un esempio, diceva Papa Giovanni Paolo II in occasione della beatificazione della religiosa. La forza interiore le viene dalla vita spirituale; passa moltissime ore davanti al Santissimo Sacramento». Nell'enciclica Ecclesia de Eucharistia, Giovanni Paolo II afferma: «Qualsiasi avvio alla santità... deve attingere la forza necessaria al mistero eucaristico... Nell'Eucaristia, abbiamo Gesù, abbiamo il suo Sacrificio redentore, abbiamo la sua risurrezione, abbiamo il dono dello Spirito Santo, abbiamo l'adorazione, l'obbedienza e l'amore per il Padre... Sotto le umili specie del pane e del vino, transustanziate nel suo Corpo e nel suo Sangue, Cristo cammina con noi, ed è per noi forza e viatico, e fa di noi, per tutti i nostri fratelli, testimoni di speranza» (17 aprile 2003).

Durante tutto l'anno, dedichiamo tempo ad adorare il Santissimo Sacramento, e lasciamoci infiammare da quel fuoco che Gesù è venuto ad accendere sulla terra (ved. Luca 12, 49) per attirare tutti gli uomini nel Regno dei Cieli!

Dom Antoine Marie osb

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