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23 novembre 2022 san Colombano, abate |
«Dopo le nozze con Giuseppe, Maria si trovò incinta per opera dello Spirito Santo, ricorda papa san Giovanni Paolo II nella sua Lettera apostolica su san Giuseppe… In queste circostanze Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto » (Mt 1,19). Egli non sapeva come comportarsi di fronte alla mirabile maternità di Maria… Mentre dunque stava pensando a queste cose, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse : “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te, Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù” (Mt 1,20-21 » (Redemptoris custos, 15 agosto 1989, nn. 2-3). Questa apparizione dell’angelo Gabriele a san Giuseppe, contemplata su un dipinto esposto in un museo di Tolosa, ha colpito fortemente Émilie de Vialar che, nel 1832, ha dato il nome di “San Giuseppe dell’Apparizione” a una nuova congregazione religiosa.
Sola nella mia stanza…
Anne-Marguerite-Adélaïde-Émilie de Vialar è nata il 12 settembre 1797 a Gaillac, nella diocesi di Albi (dipartimento del Tarn), figlia del barone Jacques-Augustin de Vialar e di Antoinette, nata Portal. Il barone de Vialar, che ha letto Voltaire e aderito alle idee dell’Illuminismo senza però essere antireligioso, è membro del consiglio comunale di Gaillac all’inizio della Rivoluzione. Si sposa nel 1794, sotto il Terrore, e un prete clandestino benedice la coppia. Emilia è una bambina attratta da Dio, ma anche dal mondo e dalla civetteria. A volte mente ai suoi genitori per evitare di essere sgridata. Nel 1810, la signora de Vialar si reca a Parigi con la figlia per trovarle un istituto di istruzione religiosa. Affaticata da un parto recente, vi muore di malattia all’età di trentaquattro anni. Emilia rimane nella capitale, dove studia per due anni presso le suore di Notre Dame e fa la sua prima Comunione. Tornata a Gaillac nel 1813, è una bella ragazza che, fino all’età di diciotto anni, si stordisce nei ricevimenti mondani e trascura i sacramenti. Nel 1815, riceve una grazia singolare : « Un giorno, tutta sola nella mia stanza, fui come rapita in Dio. » Resiste però alla grazia, ma la sua conversione avviene l’anno successivo, in occasione di una missione parrocchiale, quando viene « colta, una sera, da un grande timore dei giudizi di Dio ». Si confessa e fa la comunione : è finita con la vita mondana, le conversazioni superficiali e maldicenti.
Aprendo allora gli occhi, Emilia si rende conto della povertà che la circonda. La città di Gaillac conta circa ottocento persone bisognose, per lo più mendicanti. Questa « lebbra sociale » suscita la sua compassione e sollecita la sua dedizione. Comincia a visitare i malati e a portare loro brodi caldi, vestiti, rimedi, poi finisce per accoglierli a casa sua, con grande malcontento del padre. La giovane si adopera anche per la conversione dei peccatori e per il ritorno dei protestanti al cattolicesimo ; a tal fine, si dedica a molte mortificazioni corporali, ma non riesce a rimanere nel raccoglimento. Il Signore le parla allora interiormente : « Mantieniti alla mia presenza. Io ti richiamerò quando te ne allontanerai » Nella chiesa di Saint Pierre, mentre un giorno si trova in adorazione davanti al tabernacolo, vede imprimersi su quest’ultimo l’immagine di Gesù crocifisso. Emilia si sente chiamata a consacrare interamente la sua vita a Dio e, a dispetto del desiderio del padre, non manifesta alcuna intenzione di sposarsi. Tuttavia, rimane a casa per non lasciarlo, perché, senza di lei, lui abbandonerebbe ogni vita cristiana. Nel 1822, all’età di venticinque anni, pronuncia il voto privato di verginità. Percepisce due attrattive interiori che le indicano una chiamata di Dio : l’assistenza agli ammalati a domicilio e le missioni nei paesi pagani.
Dopo aver ricevuto una ricca eredità dal nonno, Emilia, a cui si uniscono tre compagne, acquista a Gaillac una casa per ospitare la congregazione che vogliono fondare. Lascia allora la casa paterna, ma senza abbandonare il padre, che visita quotidianamente ; quest’ultimo, però, le dimostra solo freddezza. Il giorno di Natale del 1832, nasce l’Istituto San Giuseppe dell’Apparizione, con l’obiettivo di prendersi cura dei poveri e dei malati. Le vocazioni affluiscono : sei mesi dopo, le suore sono già ventisei. Il loro abito è discreto : un vestito nero di lana e un grembiule a pettorina, una cuffia bianca simile ai copricapi delle donne della regione. Non hanno né clausura né grate, il che suscita chiacchiere. Interpellate dalle autorità civili, le nuove suore accettano di aprire scuole gratuite per ragazze. Nel gennaio del 1834, la fondatrice sottopone all’arcivescovo di Albi un primo regolamento, che egli approverà l’anno successivo. La denominazione “San Giuseppe dell’Apparizione” si riferisce soprattutto all’apparizione dell’arcangelo Gabriele a San Giuseppe, ma forse allude anche a un’apparizione di san Giuseppe che la fondatrice avrebbe avuta in un momento di scoraggiamento.
Conquistare la simpatia
Ben presto, arriva una grande chiamata alle suore. Nel 1830, la marina francese aveva preso piede in Algeria, fino ad allora focolaio di pirateria che infestava tutta la parte occidentale del bacino del Mediterraneo. Augustin de Vialar, fratello di Emilia e ufficiale, si era stabilito come colono in Algeria, nella regione ancora poco pacificata di Boufarik, vicino ad Algeri. Il suo principio era : « Non bisogna contenere gli indigeni con la forza delle armi, ma legarli a noi con i benefici della civiltà. » Egli fa istituire a proprie spese un servizio di ambulanza riservato ai beduini malati e chiede alla sorella di venire ad aiutarlo ; nello stesso tempo, il consiglio comunale di Algeri rivolge a Emilia una richiesta ufficiale per l’ospizio di Algeri. mons. de Gualy la incoraggia a partire. La fondatrice s’imbarca con tre suore e arriva il 3 agosto 1835, mentre infuria un’epidemia di colera. Le religiose si dedicano senza risparmio e conquistano subito la simpatia della popolazione musulmana, tanto più che non ricevono alcun sussidio e la congregazione fa affidamento interamente sulla fortuna della Madre. Quest’ultima fonda un collegio a pagamento per ragazze di famiglie benestanti, per finanziare una scuola gratuita il cui successo è immediato.
Nel 1838, madre Emilia, eletta superiora generale a Gaillac, apre molte case in Algeria. Nello stesso anno, il governo francese ottiene da Roma la nomina di don Antoine-Adolphe Dupuch come primo vescovo di Algeri e di tutta l’Algeria. Fin dal suo arrivo, questo prelato mostra, accanto a uno zelo reale, un temperamento confusionario e dominatore. Nel 1840, una fondazione che Emilia realizza a Costantina scatena la sua ostilità, perché egli ha l’intenzione di mettere le suore sotto la sua autorità esclusiva. Pretende di fare egli stesso le nomine e di assicurare la direzione spirituale delle suore. Non apprezza lo spirito romano1 di madre Emilia, né soprattutto il suo rifiuto di riconoscerlo come unico superiore della sua congregazione, che tuttavia si sviluppa in vari luoghi. A partire dal 1839, sottoposte dal vescovo di Algeri a numerose vessazioni e a provvedimenti disciplinari (divieto della celebrazione della Messa nelle cappelle delle suore, rifiuto dei sacramenti), madre Emilia de Vialar e le consorelle si adoperano nel continuare il loro apostolato, sostenute dalla popolazione sia cristiana che musulmana o ebraica, di cui curano i malati ed educano le figlie.
Nel 1840, mons. de Gualy invia Emilia de Vialar a Roma per chiedere al Papa l’approvazione canonica dell’istituto. Nonostante un’accoglienza favorevole di Gregorio XVI, la fondatrice, che rimarrà diciotto mesi nella Città Eterna, otterrà solo un “decreto laudativo”, a causa delle manovre del vescovo di Algeri. Nel 1842, una petizione firmata da centotrentatré notabili musulmani a favore delle suore e il sostegno della Santa Sede non impediscono al governo civile, influenzato da mons. Dupuch, di cacciare le suore di San Giuseppe dall’Algeria. Una sera, mentre servono i pasti agli ammalati, alle diciotto suore dell’ospizio di Algeri viene ingiunto di lasciare immediatamente il posto alle suore di un’altra congregazione. « Perché piangete ? chiede madre Emilia alle sue consorelle. È solo una prova… Nostro Signore ha sofferto molto più di noi ! » Per un capovolgimento della situazione, permesso dalla Provvidenza, quattro anni dopo, il vescovo, sommerso dai debiti contratti per finanziare le sue buone opere e perseguitato dai suoi creditori, verrà alloggiato ad Algeri da Augustin de Vialar. Madre Emilia approverà questo gesto misericordioso del fratello. Tuttavia, una richiesta rivolta da Emilia de Vialar al governo francese, al fine di ottenere un risarcimento per gli ingenti costi di costruzione e di manutenzione sostenuti a sue spese in Algeria, si scontra con l’inerzia amministrativa. La fondatrice sopporta questa rovina temporale con sentimenti di abbandono fiducioso alla divina Provvidenza.
Un cortese rifiuto
Nel frattempo, a Gaillac, madre Emilia è considerata con sospetto dal nuovo arcivescovo di Albi, mons. de Jerphanion, messo in guardia contro di lei da creditori impazienti. Ella si reca a Parigi per ottenere il riconoscimento civile della sua congregazione. Nonostante degli elogi per il lavoro svolto in Algeria, il Guardasigilli le oppone un cortese rifiuto : il governo ritiene che la Francia abbia già abbastanza congregazioni religiose. Tuttavia, dopo alcune fondazioni in Tunisia a partire dal 1840, ne vengono realizzate altre nel 1844, a Roma, a Cipro, e una terza a Malta nell’anno successivo. Lì abbondano le vocazioni e vengono aperte delle scuole. In seguito ha luogo una fondazione in Grecia. I viaggi incessanti che deve fare nuocciono alla salute della fondatrice e la costringono a riposare.
Nel 1846, il barone de Vialar fa una morte edificante, assistito dalla figlia, dopo aver ricevuto con devozione gli ultimi sacramenti. Ma a Gaillac il clero, divenuto ostile a madre Emilia, le rifiuta la santa Comunione, che lei va a ricevere in una diocesi vicina. Tuttavia, i gesuiti di Tolosa le forniscono un aiuto spirituale tanto più apprezzato per il fatto che il suo istituto conta molte novizie. La gestione dei beni temporali della congregazione è allora nelle mani di un uomo d’affari senza scrupoli, il signor Molis, che riesce a eludere la vigilanza di Emilia. Ben presto rovinata dalle malversazioni di quest’ultimo, la Madre si rende anche conto che la superiora di Gaillac, suor Pauline, infastidita dal fatto di non ricevere i fondi che ritiene necessari, si ribella contro di lei. Essendo stata respinta presso il tribunale civile la sua istanza contro il truffatore, la fondatrice si vede costretta a saldare tutti i debiti contratti. Attinge all’eredità ricevuta dal padre e offre a Dio la prova di questa perdita materiale. Il contenzioso si concluderà solo nel 1851, con una sentenza definitiva basata su un falso architettato da Molis, che completerà la rovina di Émilie de Vialar e della sua famiglia. « Ho ricevuto una grande lezione, scrive lei al suo padre spirituale ; è quella di capire che i vantaggi temporali non devono essere desiderati oltre misura e che bisogna riposarsi con tranquillità sul Signore per i nostri interessi quali che siano… La pace è sempre nel mio spirito anche quando il cuore è oppresso. Com’è buono Dio per coloro che desiderano amarlo ! Questo Venerdì Santo, sono stato sopraffatta dall’effusione del suo amore. »
L’alba di un bellissimo giorno
In occasione di un viaggio a Roma, madre Emilia riceve un’ottima accoglienza dal nuovo Papa, Pio IX, che le promette una rapida approvazione della sua congregazione. L’ostilità del clero di Gaillac e l’indifferenza dell’arcivescovo di Albi la costringono tuttavia a prendere in considerazione l’insediamento del noviziato della sua congregazione in un’altra diocesi. Nel 1847, Emilia e le sue consorelle si stabiliscono a Tolosa. Provata dalla perdita di diverse suore morte di malattia, dalle preoccupazioni finanziarie e dalla meschinità di alcune sue consorelle, la superiora accusa stanchezza e le sue condizioni di salute ne soffrono. Ma, forte della sua fede, legge negli eventi segni di speranza : « Ciò che mi consola in tutti i miei dolori è che Dio permette tutto ciò che mi è di ostacolo solo per un bene più grande e che Egli ha alcune vedute particolari per i nostri interessi… Nel mezzo di queste croci, e con ogni probabilità per loro mezzo, la nostra casa è all’alba di un bellissimo giorno. » Consolata dalle fondazioni realizzate in Terra Santa, madre Emilia richiama la superiora del convento di Gerusalemme e le affida l’insegnamento della lingua araba alle giovani vocazioni destinate al Vicino Oriente. Nello stesso anno, visita il Libano e vi fonda una scuola per sostenere la missione dei gesuiti di Zahlé. Poi, su richiesta di una congregazione italiana di sacerdoti, invia in Birmania sei giovani religiose di lingua inglese. Madre Emilia sa che, nonostante le difficoltà, le sue suore sono pronte a portare lontano, in paesi pagani, la buona novella dell’Incarnazione del Figlio di Dio. Credono nella protezione di san Giuseppe che « sa rendere possibili le cose più impossibili » (san Francesco di Sales). Questa fondazione lontana è finanziata dall’Opera della Propagazione della Fede, fondata a Lione dalla venerabile Pauline Jaricot. Nella pericolosa traversata su carro dell’istmo di Suez (allora il canale non esisteva), le suore vengono scortate da guide poco sicure. Ma in ogni momento difficile incontrano un buon vecchio che le soccorre e le rassicura dicendo : « Sono io, figlie mie, non temete nulla, ci sono io ! » Quest’uomo scompare dopo averle guidate a Suez fino alla nave. Le suore lo identificheranno senza esitare con san Giuseppe, loro celeste protettore.
« Il patrocinio di san Giuseppe, scriveva papa san Giovanni Paolo II, deve essere invocato ed è necessario tuttora alla Chiesa non soltanto a difesa contro gli insorgenti pericoli, ma anche e soprattutto a conforto del suo rinnovato impegno di evangelizzazione nel mondo e di rievangelizzazione in quei paesi e nazioni dove… la religione e la vita cristiana erano un tempo quanto mai fiorenti e che sono ora messi a dura prova. Per portare il primo annuncio di Cristo o per riportarlo laddove esso è trascurato o dimenticato, la Chiesa ha bisogno di una speciale virtù dall’alto (cfr. Lc 24,49 ; At 1,8), donazione certo dello Spirito del Signore non disgiunta dall’intercessione e dall’esempio dei suoi santi. Oltre che nella sicura protezione, la Chiesa confida anche nell’insigne esempio di Giuseppe, un esempio che supera i singoli stati di vita e si propone all’intera comunità cristiana, quali che siano in essa la condizione e i compiti di ciascun fedele » (ibid, nn. 29-30).
Consigli e sostegno di un santo
Nel 1852, ha luogo una fondazione a Trebisonda, in Turchia. Le Suore di San Giuseppe sono ormai presenti in tutto l’Impero Ottomano, dal Nord Africa fino al Mar Nero. La casa madre della congregazione non può, tuttavia, rimanere a Tolosa e il vescovo di Marsiglia, sant’Eugenio de Mazenod, fondatore degli Oblati di Maria Immacolata, la accoglie, prodigando alla fondatrice consigli e sostegno ; approva la congregazione nel 1853. L’approvazione romana arriverà solo dopo la morte di Emilia, nel 1865. Le costituzioni della congregazione precisano : « Le Suore di San Giuseppe dell’Apparizione si dedicano all’educazione delle ragazze della classe agiata in cambio di una piccola retribuzione, che servirà a consentire loro di curare gratuitamente i malati poveri della loro parrocchia e di dedicarsi a tutte le opere caritative a cui il vescovo diocesano vorrà impiegarle. »
Vent’anni dopo la fondazione, madre Emilia de Vialar, sazia di prove materiali e spirituali, vede la sua opera crescere in modo insperato : nel 1856, essa conterà, infatti, quarantadue case di cui una in Australia. Tuttavia, la fondatrice è costretta, per placare i suoi creditori, a vendere la propria casa di famiglia, poi la casa di Gaillac, che era stata il primo monastero delle Suore di San Giuseppe. Al termine di anni di dolorosissimi tormenti interiori, la fondatrice constata ora : « La divina Provvidenza ha sospeso le sue prove. La mia età la obbliga a mitigare le croci che, nel suo amore per me, il Signore si degnava di assegnarmi. » In mezzo ai mille affari di questo mondo, Emilia ha trovato la pace dell’anima nel dono di sé : « Piacere al Signore, rendergli gloria, non è questo il bene per eccellenza ? » La fondatrice ha però il dolore di assistere alla morte prematura di molte consorelle, vittime delle malattie tropicali. Si adopera tuttavia a sostenere le superiori locali, informandole, ad esempio, delle cure da prestare alle persone malate di malaria, senza però togliere loro l’iniziativa propria di cui hanno bisogno : viene lasciato loro un grande margine di manovra per adattare gli usi delle loro case alla situazione dei diversi paesi.
« Avemmo del pane ! »
Nel 1854, un nuovo vescovo di Algeri, mons. Pavy, si reca a Marsiglia per incontrare la fondatrice e chiederle alcune suore per la sua diocesi ; Madre Emilia acconsente, desiderosa di compiere questa “vendetta” cristiana : dopo essere stata scacciata, ritornare in Algeria senza evocare il passato… Nell’ottobre del 1855, madre Emilia riceve il decreto di approvazione legale del suo istituto, indispensabile in regime di concordato ; la congregazione potrà ormai possedere in tutta legalità beni materiali. La fondatrice, però, non rimpiange le difficoltà economiche che hanno radicato le Suore di San Giuseppe nella povertà della Sacra Famiglia di Betlemme : « Se non fossi diventata povera, non avrei potuto fondare la congregazione… Tutto deve essere segnato dal sigillo della Croce. Non si comprende la felicità che c’è nell’essere poveri per amore di Gesù… Dio ci aiuta sempre » (Lettera del 1855). Ella dà l’esempio alle sue consorelle, fino al punto di spogliarsi anche dei suoi stessi vestiti. Se si aspetta molto dallo spirito di sacrificio delle sue figlie, madre Emilia non manca di umanità. Scrive a una consorella di salute fragile : « Vi esorto, se volete che i bagni di mare vi siano favorevoli, a farne subito il più possibile, perché rafforzeranno la vostra salute. » Ma la sua gioia è pregare a lungo e, se le viene chiesto : « Che cosa fate ? », risponde : « Che cosa faccio, mia cara ! Contemplo l’Amore del Signore ! » Qualche giorno prima della sua morte, la superiora riceve a Marsiglia un povero che chiede da mangiare. Gli dà il poco di pane avanzato quel giorno. Alla suora cuciniera che protesta, risponde : « Sss ! Zitta, mia cara, calmatevi, quest’uomo ha fame e bisogna che mangi. San Giuseppe verrà in nostro aiuto. » La suora testimonierà : « Non so per che via e con quale mezzo, ma quel che è certo è che avemmo del pane per cena. »
Il 24 agosto 1856, la fondatrice muore improvvisamente, all’età di cinquantotto anni, di un’ernia strozzata, conseguenza di un incidente accadutole in gioventù mentre trasportava un grosso sacco di farina per i poveri. È stata canonizzata il 24 giugno 1951 da papa Pio XII ; la sua festa si celebra il 24 agosto. Nel 2017, la sua congregazione contava 829 religiose in 144 case e 24 paesi. Le suore affrontano situazioni spesso difficili e pericolose, vivendo di quelle parole dell’angelo Gabriele a san Giuseppe : « Non temere ! »
Sant’Emilia aveva per motto : « Rivelare l’immenso amore di Dio per l’umanità e collaborare alla missione per la quale Gesù è venuto sulla terra. » Questa missione, spiega il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, è « riconciliare noi peccatori con Dio, farci conoscere il suo amore infinito, essere il nostro modello di santità ; farci partecipi della natura divina » (n. 85). Affinché anche noi possiamo realizzare questo bel programma, in quest’anno consacrato da papa Francesco a san Giuseppe, che lo Sposo di Maria « diventi per tutti un singolare maestro nel servire la missione salvifica di Cristo, compito che nella Chiesa spetta a ciascuno e a tutti : agli sposi ed ai genitori, a coloro che vivono del lavoro delle proprie mani o di ogni altro lavoro, alle persone chiamate alla vita contemplativa come a quelle chiamate all’apostolato ! » (Redemptoris custos, n. 32).