Lettera

Blason   Abbazia San Giuseppe di Clairval

F-21150 Flavigny-sur-Ozerain

Francia


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23 marzo 2022
san Turibio di Mongrovejo, Vescovo


Carissimo Amico dell’Abbazia di San Giuseppe,

«Il mandato di evangelizzare tutti gli uomini costituisce la missione essenziale della Chiesa », scriveva papa san Giovanni Paolo II ». La grande epopea missionaria di cui il continente africano è stato teatro durante gli ultimi due secoli è una storia che non dobbiamo dimenticare. « La splendida crescita e le realizzazioni della Chiesa in Africa sono dovute in gran parte all’eroica e disinteressata dedizione di generazioni di missionari. Ciò è da tutti riconosciuto. La terra benedetta dell’Africa è, in effetti, disseminata di tombe di valorosi araldi del Vangelo… Ci ammonisce la Sacra Scrittura : Ricordatevi dei vostri predecessori, che vi hanno annunciato la parola di Dio e, considerando la fine della loro vita, imitate la loro fede (Eb. 13,7) » (Esortazione Ecclesia in Africa, 14 settembre 1995 nn. 55, 35, 37).

Padre François Libermann è uno di questi evangelizzatori dell’Africa. Nato a Saverne, in Alsazia, l’11 aprile 1802, Jacob Libermann è il quinto dei nove figli del rabbino della città, Lazare Libermann. Circonciso poco dopo, viene educato nella più stretta ortodossia ebraica. Delicato e fragile, molto sensibile, persino timoroso, docile e mite, timido ma molto intelligente, il bambino è anche dotato di uno spirito pratico e di una volontà perseverante. Il padre vede in lui il suo successore. Jacob ha il grande dolore di perdere la madre all’età di undici anni. Fino al suo ventesimo anno, vive da ebreo praticante, conducendo una vita virtuosa, ma la severità di alcuni rabbini lo turba. Nel 1824, prosegue i suoi studi a Metz, in una scuola superiore ebraica dove non riceve la buona accoglienza che si aspettava, soprattutto da parte di uno degli insegnanti, che era stato allievo di suo padre. Lì approfondisce la sua conoscenza della Legge e dei Profeti ; cura anche l’apprendimento del francese e del latino, due lingue che in seguito gli saranno di grande utilità.

Tutti i timori svaniscono

Durante il suo soggiorno a Metz, viene a sapere della conversione del fratello maggiore Samson, battezzato, così come sua moglie, nella Chiesa cattolica, il 15 marzo 1824. Egli attribuisce questa conversione a motivi razionali e biasima il fratello soprattutto per il dolore che provoca al loro padre. Continua, tuttavia, a mantenere con lui una corrispondenza in cui vengono spesso affrontate le prove della verità della fede cattolica. Nel novembre 1826, incontra a Parigi Paul-Louis (David) Drach, ex rabbino alsaziano convertito al cristianesimo, che gli procura una stanza al Collegio Stanislas. Ben presto, Jacob vi si ritrova da solo, a tu per tu con la Dottrina cristiana e la Storia della Religione prima della venuta di Gesù Cristo, opere dell’abbé Lho-mond (†1794). Si verifica una prima “conversione” : la convinzione intellettuale che la Chiesa detenga l’intera verità rivelata. « Quel momento, scriverà, fu estremamente doloroso », perché, nel cuore, si sente ancora legato alla fede dei suoi antenati. « È allora che, ricordandomi del Dio dei miei padri, mi gettai in ginocchio e lo implorai di illuminarmi sulla vera religione. Il Signore, che è vicino a coloro che lo invocano dal profondo del cuore, esaudì la mia preghiera. Immediatamente, fui illuminato, vidi la verità. La fede penetrò nel mio spirito e nel mio cuore. » Questa grazia è così profonda che può ricevere il Battesimo fin dalla vigilia di Natale dello stesso anno, prendendo il nome di François. In questa occasione, il Signore gli dona una grande fiducia nella sua onnipotenza ; Francesco riceve anche la grazia di un vivo amore per la Santissima Vergine Maria. Il giorno di Natale, fa la sua prima Comunione : « Tutte le incertezze, tutti i miei timori improvvisamente svanirono. » È nel suo venticinquesimo anno di età. Egli annuncia per lettera la sua conversione al padre, ma riceve da lui solo la più totale incomprensione.

Desideroso di diventare sacerdote, Francesco viene ammesso, nel 1827, al seminario parigino di Saint-Sulpice. « Sono sempre contento, sempre felice, scrive al fratello Samson ; il mio cuore è sempre nella perfetta tranquillità e nulla sarà in grado di turbare questa pace. » In effetti, irradierà sempre la pace intorno a sé. Una volta Superiore, scriverà ai suoi missionari : « Non credere che l’ideale del missionario sia di essere sempre in movimento, in effervescenza. Agirai molto, certo, ma con la pace nell’anima. Se sei agitato, turbato, impaziente, è segno che hai già dimenticato Gesù. »

Inizia allora a manifestarsi l’epilessia, malattia che lo affliggerà per molti anni. Nonostante le prime crisi, l’anno 1828 trascorre relativamente bene e i risultati dei suoi studi sono eccezionali ; ma, alla fine dell’anno successivo, viene colpito da una forte crisi che non lascia dubbi sulla gravità del suo stato. Successivamente, si verificheranno periodi di remissione e, con il tempo, egli riuscirà a prevedere le crisi. Imparerà a curarsi e a praticare, nei confronti di quella che chiama la sua « cara malattia », la calma e l’equanimità. La legge ecclesiastica a quell’epoca non consentiva a un epilettico di accedere al sacerdozio. Tuttavia, a causa della sua buona influenza sui seminaristi, Francesco, che dichiara di non poter rientrare nel mondo, viene autorizzato a rimanere nella casa sulpiziana d’Issy-les-Moulineaux. « Sono contento di non avere altra risorsa che Dio solo », dichiara. Per sei anni, è assistente dell’economo della casa, mentre continua i suoi studi. Gli vengono affidati diversi lavori materiali, nonché l’accoglienza dei nuovi seminaristi e la cura spirituale dei domestici. Il suo ascendente sui seminaristi è notevole. A questo periodo risalgono le sue prime lettere di direzione spirituale. In una di esse, scrive : « Il grande principio della vita spirituale è semplificare il più possibile le cose. Più semplice e uniforme è la nostra condotta, più perfetta è. »

Una grande imprudenza

Nel 1837, viene sollecitato ad andare a Rennes, presso gli Eudisti (congregazione fondata da san Giovanni Eudes nel 1643) per esercitare la funzione di assistente del maestro dei novizi. Conquista presto la fiducia e la stima dei giovani religiosi nonché dei superiori, ma lui non si sente né utile, né al suo posto. Vi rimane, tuttavia, due anni. Due seminaristi, Frédéric Le Vavasseur, un Creolo dell’isola della Réunion, ed Eugène Tisserant gli comunicano separatamente i loro progetti a favore dell’evangelizzazione dei Neri. Francesco percepisce allora che lo Spirito Santo lo chiama a collaborare a questa opera di evangelizzazione. I giovani gli chiedono di adattare la regola degli Eudisti al loro progetto missionario. A poco a poco, senza volerlo, Francesco assume la guida dell’impresa, che prenderà corpo il 28 luglio 1839. Desidera ottenere l’approvazione di questa intuizione da parte della Santa Sede, ma tutti i suoi consiglieri sono del parere opposto : egli ne risente un profondo sgomento, che cesserà solo ai piedi di Notre-Dame de Fourvière a Lione. « Ho lasciato Rennes per sempre, scrive al fratello Samson. È una grande imprudenza – per non dire follia – secondo coloro che giudicano le cose da uomini di questo mondo. Avevo lì un futuro certo, ero sicuro di avere di che vivere e di avere anche una certa esistenza onorabile. Ma guai a me se cerco di essere a mio agio sulla terra e di vivere onorato e stimato. Ricordati di una cosa : questa terra passa, la vita che vi conduciamo dura solo un istante… Non aver timore ; riconosci che sono l’uomo più felice del mondo, perché non ho più che Dio solo ! »

Egli arriva a Roma nel gennaio 1840. Lì, ritrova Drach, allora bibliotecario presso la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (de Propaganda Fide). Entrambi ottengono un’udienza da papa Gregorio XVI, il 17 febbraio. Francesco prega molto nelle basiliche romane, sulle tombe degli Apostoli, e medita il suo progetto missionario. Il mese successivo, presenta una memoria alla Congregazione. All’inizio di giugno, apprende che il suo progetto di un’opera a favore dei Neri viene accolto favorevolmente, a condizione che egli, allora trentottenne, riceva l’ordinazione sacerdotale. L’assenza di crisi epilettiche da lungo tempo fa considerare la malattia come guarita. Francesco rimane ancora qualche mese a Roma, vi mette definitivamente a punto la regola che aveva preparata a Rennes e redige un commento al Vangelo di san Giovanni.

« Andrai verso i più poveri »

Durante un pellegrinaggio alla Santa Casa di Loreto, egli accetta l’idea di diventare prete. Constatando che la sua salute sta migliorando, compie i passi in questa direzione presso il vescovado di Strasburgo, sua diocesi di origine. Il 23 febbraio 1841 entra nel seminario maggiore di Strasburgo. Nello stesso periodo, padre de Brandt, ex seminarista di Saint-Sulpice, propone per la congregazione nascente l’affitto di una casa a La Neuville, oggi un quartiere di Amiens, e presenta gli aspiranti religiosi a suo zio, mons. Mioland, vescovo di Amiens. Ordinato diacono a Strasburgo il 10 agosto 1841, Francesco Libermann si reca ad Amiens, dove mons. Mioland lo ordina sacerdote, il 18 settembre. Il 25, egli celebra una prima Messa di ringraziamento presso il santuario parigino di Notre-Dame-des-Victoires alla presenza della maggior parte dei suoi compagni. È in un certo senso la Messa di fondazione dell’istituto che prende il nome di « Società del Sacro Cuore di Maria ». Il lunedì 27 settembre, viene istituito il noviziato di La Neuville. Un anno dopo, i novizi raggiungono la dozzina : sette di loro sono sacerdoti. In quei primi tempi della fondazione, la povertà è grande e molti dormono nei corridoi, ma sono tutti animati da gioia e fervore.

Nel marzo 1842, padre Libermann acquista la proprietà di La Neuville e intraprende la costruzione di due ali e di una cappella. Egli stesso contribuisce sia ai lavori di giardinaggio che alla formazione spirituale dei suoi : « Sono servo di Gesù. Egli vuole che io ami tutti gli uomini come li ama lui ; ma ispira in me un amore più vivo, più tenero per gli uomini neri. » La chiamata ricevuta dal Signore lo porta in questa direzione : « Andrai così verso i più poveri, quelli ai quali nessuno pensa. » Egli scriverà per i suoi figli : « Non vi è possibile santificarvi senza operare con tutte le vostre forze per la salvezza delle anime… Difficilmente è possibile santificare queste anime trascurando voi stessi. »

« Si ripete spesso, oggi, scriverà papa Paolo VI, che il nostro secolo ha sete di autenticità. Soprattutto a proposito dei giovani, si afferma che hanno orrore del fittizio, del falso e ricercano sopra ogni cosa la verità e la trasparenza. Questi segni dei tempi dovrebbero trovarci all’erta. Tacitamente o con alte grida, ma sempre con forza, ci domandano : Credete veramente a quello che annunziate ? Vivete quello che credete ? Predicate veramente quello che vivete ? La testimonianza della vita è divenuta più che mai una condizione essenziale per l’efficacia profonda della predicazione » (Evangelii nuntiandi, 8 dicembre 1975, n. 76). Commentando il versetto : Prestiamo attenzione gli uni agli altri per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone (Eb 10,24), papa Benedetto XVI affermerà : « Ciò significa che “l’altro” mi appartiene ; la sua vita, la sua salvezza riguardano la mia vita e la mia salvezza… La nostra esistenza è correlata con quella degli altri, sia nel bene che nel male ; sia il peccato, sia le opere di amore hanno anche una dimensione sociale » (Messaggio per la Quaresima 2012).

Come servi per i loro padroni

Dopo soli quattro mesi di noviziato, padre Le Vavasseur parte per il suo paese d’origine, l’Isola Bourbon (La Réunion). Eugène Tisserant si reca in Martinica, dove aspetta un’opportunità per entrare in Haiti. Così, appena un anno dopo gli inizi della nuova congregazione, alcuni dei suoi membri operano già nel loro campo di apostolato. Il 28 settembre 1842, la Santa Sede erige in Africa l’immenso vicariato apostolico delle Due Guinee e della Sierra Leone, che si estende su ottomila chilometri di costa. È affidato a mons. Edward Barron, già vicario generale di Filadelfia (Nord America). Il prelato entra in contatto con padre Libermann, che gli propone la collaborazione di sette missionari. Consapevole delle condizioni faticose della loro missione, il Padre raccoglie venti tonnellate di provviste ed esige da coloro che devono partire un allenamento fisico. Il 13 settembre 1843, i sette preti, accompagnati da tre laici, s’imbarcano per l’Africa. « Spogliatevi dell’Europa, chiede loro il Padre, dei suoi costumi, del suo spirito… fatevi Neri con i Neri per formarli come devono esserlo, non alla maniera dell’Europa, ma lasciate loro quello che è loro proprio ; adattatevi a loro come i servi devono adattarsi ai loro padroni ; agli usi, al modo di fare e alle abitudini dei loro padroni ; e questo per perfezionarli, santificarli, farne a poco a poco, con l’andar del tempo, un popolo di Dio. È ciò che san Paolo chiama farsi tutto a tutti, per guadagnarli tutti a Gesù Cristo (cfr. 1Cor 9,22).

Annunciare Gesù Cristo non è contrario al rispetto dei popoli, ma lo promuove : « La Chiesa, scriveva san Giovanni Paolo II, pensa che queste moltitudini hanno il diritto di conoscere la ricchezza del mistero di Cristo (cfr. Ef 3,8), nella quale noi crediamo che tutta l’umanità può trovare, in una pienezza insospettabile, tutto ciò che essa cerca a tentoni su Dio, sull’uomo e sul suo destino, sulla vita e sulla morte, sulla verità » (Ecclesia in Africa, n° 47).

Il 29 novembre 1843, i missionari arrivano in Liberia, dove mons. Barron ha stabilito la sua residenza ; tuttavia, lui non è lì ad accoglierli. Senza indugio, essi iniziano con entusiasmo a studiare la lingua locale. Adottano uno stile di vita austero e un’alimentazione frugale. Il loro zelo totalmente inesperto, in un paese dal clima equatoriale, produce effetti drammatici : in meno di due settimane, sette si ammalano e, alla fine del mese di dicembre, la morte ne porta via due. Il Padre scrive ai suoi figli : « Tutte le opere che sono state intraprese e realizzate nella Chiesa hanno incontrato queste stesse difficoltà e spesso anche maggiori, eppure queste difficoltà non hanno spaventato gli uomini apostolici… È sempre stato nell’ordine della Provvidenza manifestare le sue cure materne in mezzo agli ostacoli e i risultati più felici sono stati di solito prodotti dopo le più grandi difficoltà. »

« Cammina al suo passo ! »

Mons. Barron decide di lasciare sul posto solo padre Bessieux con due compagni e conduce gli altri a Grand Bassam (ora in Costa d’Avorio) ; lì, soccombono uno dopo l’altro. Nel settembre 1844, il vescovo, scoraggiato di fronte a questo disastro, torna in Europa. « Sii prima di tutto un uomo di perseveranza, dice a se stesso padre Libermann. Non s’intraprende nulla per Gesù senza incontrare difficoltà e Dio ama fare con calma. Cammina al suo passo. » Padre Bessieux e fratel Grégoire, unici sopravvissuti di questa spedizione, si recano allora nel Gabon e si stabiliscono a Libreville.

I Padri del Sacro Cuore di Maria entrano in relazione con un’altra congregazione missionaria francese, gli Spiritani, fondata nel 1703 da Claude Poullart des Places (1679-1709), giovane aristocratico bretone, ordinato sacerdote dopo aver rinunciato a una carriera al Parlamento di Rennes. Questi aveva riunito studenti poveri desiderosi di diventare preti e di servire in parrocchie povere. Erano nati così, il 27 maggio 1703, giorno della Pentecoste, la Società e il seminario dello Spirito Santo. A partire dal 1816, il seminario è stato anche incaricato di fornire il clero di tutte le colonie francesi ; gli Spiritani si occupano principalmente degli europei che vivono in Africa. Ora, la Società fondata da padre Libermann è molto ricca di vocazioni ma manca di uno statuto giuridico preciso ; quella di padre Poullart des Places esiste ufficialmente, ma pochi sono i missionari attivi e le vocazioni sono rare. La somiglianza degli obiettivi consente di prendere in considerazione la fusione delle due congregazioni. Alcune pratiche intraprese a Roma permettono di realizzare questo progetto il 28 settembre 1848. Rivolgendosi ai due superiori, la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (de Propaganda Fide) precisa : « Spetta a voi condurre a buon fine la fusione dei vostri due istituti, in modo che, d’ora in poi, la Congregazione del Sacro Cuore di Maria cessi di esistere e i suoi membri e aspiranti siano integrati nella Congregazione dello Spirito Santo. Il 3 novembre successivo, la Congregazione de Propaganda fide approva l’elezione di padre Libermann come superiore della Congregazione dello Spirito Santo ; egli risiederà a Parigi.

Nel 1846, padre Libermann aveva acquistato un edificio nei pressi di Amiens, per sostituire la casa di La Neuville, troppo piccola. Doveva anche trovare un posto per accogliere i suoi trenta studenti, filosofi e teologi. Acquista l’Abbazia di Notre-Dame du Gard, qualche chilometro a nord di Amiens. Durante i suoi viaggi attraverso la Francia, il Padre nota che molti poveri vi sono abbandonati tanto quanto nei paesi di missione. Egli desidera includerli nell’appello ricevuto in passato : « Andrai così verso i più poveri, quelli ai quali nessuno pensa », e indirizza la congregazione verso un’azione sociale e religiosa tra gli operai, parallelamente alle missioni propriamente dette. Nel maggio 1851, redige le sue “Istruzioni ai missionari”, un libretto di sessantaquattro pagine, che costituisce il suo testamento spirituale.

Zelo per le anime

Alla fine dello stesso anno, una grande stanchezza si abbatte su di lui : la sua salute, da sempre precaria, peggiora rapidamente. Padre Le Vavasseur, che è tornato al suo fianco dopo un bell’apostolato missionario, scrive allora al fratello del malato, il dottor Libermann : « È più o meno la stessa malattia di tre anni fa. Non può praticamente mangiare nulla. » Il 27 gennaio 1852, gli viene amministrata l’Estrema Unzione. La sera del 30 gennaio, davanti alla comunità riunita, il fondatore pronuncia con difficoltà queste poche parole : « Vi vedo per l’ultima volta. Sono felice di vedervi. Sacrificatevi per Gesù, per Gesù solo. Dio è tutto, l’uomo non è nulla. Spirito di sacrificio, zelo per la gloria di Dio e per le anime ! » La sua agonia dura fino al 2 febbraio. Spira nel momento stesso in cui, nella vicina cappella, si canta il Magnificat dei Vespri della Purificazione di Maria. Le sue ultime parole sono per Dio : « Mio Dio, mio Dio… » Il suo corpo riposa, dal 1967, nella cappella della casa madre della Congregazione dello Spirito Santo, a Parigi, in rue Lhomond (5° arrondissement), sulla collina chiamata montagne Sainte-Geneviève. Il decreto che riconosce l’eroicità delle sue virtù, pubblicato il 19 giugno 1910, conferisce ufficialmente a padre Francesco Libermann il titolo di “Venerabile”.

Padre Libermann voleva non solo che i suoi missionari facessero uno sforzo reale e profondo di inculturazione, ma anche che coinvolgessero gli Africani nell’evangelizzazione dei propri paesi, formando catechisti, comunità religiose e poi sacerdoti autoctoni. Allo stesso modo papa san Giovanni Paolo II esortava in modo particolare i giovani africani : « È ai giovani che voglio pure rivolgere un appello : cari giovani, il Sinodo vi chiede di farvi carico dello sviluppo delle vostre nazioni, di amare la cultura del vostro popolo e di lavorare alla sua rivitalizzazione con fedeltà alla vostra eredità culturale, con l’affinamento dello spirito scientifico e tecnico e, soprattutto, con la testimonianza della fede cristiana » (ibid., n° 115). 

Chiediamo al venerabile Francesco Libermann la grazia di uno zelo ardente per l’evangelizzazione, da cui dipende la salvezza eterna di innumerevoli anime. Dopo la sua risurrezione, Gesù ha inviato infatti i suoi apostoli : Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato (Mc 16,15-16). « Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda, affermava san Giovanni Paolo II. Essa esiste per evangelizzare. In effetti, è nata dall’azione evangelizzatrice di Gesù e dei Dodici… Come l’Apostolo dei Gentili, la Chiesa può dire : Predicare il Vangelo è per me un dovere : guai a me se non predicassi il Vangelo ! (1Cor 9,16) » (ibid., n° 55).

Dom Antoine Marie osb

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