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22 novembre 2006 Santa Cecilia, vergine e martire |
Nato il 15 settembre 1858 a Strasburgo, in una famiglia molto cristiana, Charles perde la madre, poi, lo stesso anno 1864, il padre. Viene allora affidato, assieme alla sorella Maria, al nonno, il Signor de Morlet, colonnello in pensione. Affettuoso, zelante, studioso, Charles diventa oggetto delle tenerezze del nonno, presso il quale le collere del bambino trovano una segreta indulgenza e vengono considerate come un indice di carattere. Il Signor de Morlet e i due bambini si trasferiscono a Nancy nel 1872. A partire da allora, Charles prende l'abitudine di mescolare agli studi una massa di letture scelte senza discernimento. Alla fine degli studi, perde totalmente la fede, «e non era il solo male, confiderà più tardi... Si lanciano i giovani nel mondo senza dar loro le armi indispensabili per combattere i nemici che trovano in sè e fuori di sè, e che li attendono in massa. I filosofi cristiani hanno risposto da tanto tempo, in modo molto chiaro, a un gran numero delle domande che ogni giovane si pone febbrilmente, senza sospettare che la risposta esiste, luminosa e limpida, a due passi da lui!» Egli esigerà che i nipotini siano istruiti da insegnanti cristiani: «Non ho nessun cattivo insegnante; ma la gioventù ha bisogno di essere istruita non da persone neutre, ma da anime credenti e sante, e inoltre da uomini che sappiano rispondere delle loro convinzioni e ispirino ai giovani una ferma fiducia nella verità della fede...»
Assolutamente empio,assolutamente desideroso del male
Ha ventiquattro anni. È sedotto dal silenzio abituale dei paesi dell'Africa del nord, dalla vastità, dall'imprevisto e dallo stato primitivo della vita, dal mistero degli abitanti... Si dimette dall'esercito e si lancia in una spedizione particolarmente difficile: l'esplorazione del Marocco, paese all'epoca molto chiuso, soprattutto ai Cristiani. In compagnia di un rabbino, nativo del paese, Charles, che si fa passare anche lui per rabbino, attraversa la frontiera nel giugno del 1883. Durante undici mesi, percorre il Marocco; vari strumenti di misura, nascosti nelle pieghe dei vestiti, gli permettono, pur rischiando continuamente di farsi sorprendere, di fare osservazioni e di prendere delle note sul paese, che è ancora sconosciuto. Nel maggio del 1884, torna in Francia, carico di dati scientifici che registra nel suo Ricognizione del Marocco, libro che lo fece apprezzare ben presto negli ambienti scientifici.
La famiglia lo accoglie con gioia e affetto; i famigliari conoscono i suoi eccessi ed il suo stato d'animo. Eppure, non gli fanno nessun rimprovero; al contrario, si congratulano con lui per il successo della sua avventura e lo introducono nella migliore società dal punto di vista qualità d'animo e convinzioni cristiane. Charles rimane scosso da quel che ha visto nell'Africa del nord e in particolare la perpetua invocazione di Dio. Tutto l'apparato religioso della vita musulmana lo porta a dire a se stesso: «Ed io che sono senza religione!» Pensa addirittura a convertirsi all'islamismo; ma, dopo averla esaminata, si accorge che la religione di Maometto non può essere quella vera, «essendo essa troppo materialistica». Malgrado la vita piacevole che conduce, la sua tristezza non fa che aumentare. Apre, nei momenti di libertà, i libri dei filosofi pagani: le loro risposte gli sembrano povere...
Nessuno ha potuto toglierglielo...
I suoi trentadue anni si adattano senza sforzo al regime del monastero; la sola cosa difficile per la sua natura altera, è l'obbedienza. Nelle lotte, è sostenuto dalla sua intenzione iniziale: «Volevo farmi monaco per tener compagnia a Nostro Signore nelle sue pene... Gesù mi tiene in mano, mettendomi nella sua pace, cacciando la tristezza non appena essa vuole avvicinarmisi». Il 27 giugno 1890, Fra Alberico realizza un progetto di cui aveva parlato al Priore fin dal suo arrivo: recarsi in un monastero poverissimo, sito in Siria, la Trappa di Akbès, per viverci in incognito, ancora più povero, e per essere vicino alla Terra Santa, dove il Figlio di Dio ha sofferto e lavorato. Ivi, i monaci vivono in mezzo ad una popolazione composta di Curdi, Siriani, Turchi, Armeni, che costituirebbero, scrive, «un popolo coraggioso, laborioso ed onesto, se fosse istruito, governato, soprattutto convertito... Tocca a noi forgiare l'avvenire di tali popoli. L'avvenire, il solo vero avvenire, è la vita eterna: la vita terrena è soltanto la breve prova che prepara l'altra... La predicazione nei paesi musulmani è difficile, ma i missionari di tanti secoli passati hanno vinto ben altre difficoltà... Diamo loro l'esempio di una vita perfetta, di una vita superiore e divina».
Nel 1892, qualche mese dopo aver pronunciato i voti, fra Alberico riceve l'ordine di cominciare studi teologici, in vista del sacerdozio. Malgrado l' «estrema avversione» che risente per tutto quello che lo allontana dall'ultimo posto che è andato a cercare, si mette allo studio. In pari tempo, espone al Padre Abate generale l'attrattiva persistente che prova per un genere di vita ancora più umile, fuori dell'ordine cistercense. Il Padre Abate lo fa andare a Roma perchè vi compia due anni di studi. Obbediente, fra Alberico vi giunge nell'ottobre del 1896. Eppure, fin dal gennaio seguente, il Priore generale gli dà la facoltà di lasciare la Trappa e di seguire la chiamata di Dio.
«Gioisco infinitamente»
«Quando, malgrado tante grazie, cominciavo ad allontanarmi da te, con quale dolcezza mi richiamavi a te attraverso la voce del nonno, con quanta misericordia mi impedivi di cadere negli estremi eccessi, conservandomi in cuore la tenerezza per lui!... Ma malgrado tutto questo, ahimè, mi allontanavo, mi allontanavo da te sempre di più, da te, mio Signore e mia vita... e così la mia vita cominciava ad essere una morte, o piuttosto era già una morte ai tuoi occhi... E anche in quello stato di morte, continuavi a conservarmi: la fede era totalmente sparita, ma il rispetto e la stima della religione erano rimasti intatti...
«Per forza di cose, mi hai obbligato alla castità, e, ben presto, avendomi, alla fine dell'inverno del 1886, riportato nella mia famiglia, a Parigi, la castità divenne per me una dolcezza ed un bisogno del cuore. Tu hai fatto questo, mio Dio, tu solo; io non c'entravo, ahimè! Era necessario, per preparare la mia anima alla Verità; il demonio è troppo padrone di un'anima non casta, per lasciarvi entrare la Verità... Tu non ci potevi entrare, mio Dio, in un'anima in cui il demonio delle passioni immonde la faceva da padrone... Mio Dio, come canterò le tue misericordie!...
«Un'anima bella ti assecondava, ma con il silenzio, la dolcezza, la perfezione; essa si lasciava vedere, era buona e spandeva il suo profumo attraente, ma non agiva. Tu, mio Gesù, mio Salvatore, facevi tutto, all'interno ed all'esterno. Tu mi hai allora fatto quattro grazie. La prima fu quella di ispirarmi questo pensiero: poichè quest'anima è tanto intelligente, la Religione, in cui crede tanto fermamente, non può essere una follia come penso io. La seconda fu quella di ispirarmi quest'altro pensiero: poichè la Religione non è una follia, si trova forse lì la Verità, che sulla terra non è da nessuna parte altrove, nè in alcun sistema filosofico? La terza fu quella di dirmi: studiamo dunque tale Religone; assumiamo un professore di Religione cattolica, un sacerdote istruito, e vediamo cosa dà. La quarta fu la grazia incomparabile di mandarmi da don Huvelin... E da allora, mio Dio, non c'è stato che un susseguirsi di grazie... Un flusso, sempre più forte!»
Una Messa di più, ogni giorno
La vita di Padre Charles di Gesù si svolge ormai nel deserto: prima a Beni-Abbès, a Sud della regione di Orano, poi a Tamanrasset, nel massiccio dell'Hoggar, a 1500 km. a sud di Algeri. È conscio di essere probabilmente il primo sacerdote della storia a risiedere ed a celebrare la santa Messa in questi luoghi. Lo scopo è quello di aprire il cuore dei musulmani Arabi, poi Tuareg offrendo loro il contatto con la civiltà cristiana e con un sacerdote, per permettere, più tardi, la loro evangelizzazione da parte di missionari veri e propri. Esercita nei loro riguardi una carità generosa e disinteressata, parla loro di Dio e insegna loro i precetti della religione naturale.
Si è detto che Padre de Foucauld non predicava affatto la fede e si limitava ad una presenza muta in mezzo ai Musulmani. Il generale Laperrine si era già indispettito a questo proposito: «E le sue conversazioni! Ed il suo abito!» aveva annotato nel suo diario. Quando qualcuno si presenta alla porta dell'eremo, fra Charles si fa avanti, con gli occhi pieni di serenità, con la mano tesa, avvolto in una gandura bianca, sulla quale è applicato un cuore rosso sormontato da una croce. L'immagine del Sacro Cuore proclama la fede di quell'uomo bianco; e tutta la sua vita manifesta il Vangelo. Gli indigeni lo sanno benissimo. In una relazione al Prefetto apostolico del Sahara, fra Charles scrive: «Per gli schiavi (la schiavitù era pratica corrente nel deserto), ho una cameretta in cui li riunisco...; a poco a poco, insegno loro a pregare Gesù... Anche i viaggiatori poveri trovano presso la Fraternità un asilo umile ed un pasto povero, con una buona accoglienza e qualche parola, onde indurli al bene e a Gesù...» Scrive ad un amico: «Sono molto rattristato quando vedo i fanciulli del paese vivere alla giornata, senza niente da fare, senza istruzione, senza educazione religiosa... Alcune suore di Carità darebbero in poco tempo, con l'aiuto di Dio, tutto questo paese a Gesù».
Una ricetta contro la tristezza
Quando scoppia in Europa la guerra del 1914-18, Padre Charles è insediato nell'Hoggar da nove anni. Delle sei tribù tuareg in mezzo alle quali egli vive, tre hanno fatto atto di sottomissione alla Francia e le rimangono fedeli; ma le altre tre approfittano del conflitto europeo per infondere lo spirito della rivolta. Esse conoscono l'influenza preponderante dell'eremita sui Tuareg-Hoggar: «Il grande interesse di Tamanrasset, scrive nel gennaio del 1914 un medico francese, è la presenza di Padre de Foucauld. Ha acquisito una gran fama fra la popolazione con la sua bontà, la sua santità ed il suo sapere». Il Padre diventa il bersaglio dei rivoltosi, che organizzano una spedizione punitiva. Il 1° dicembre 1916, si avvicinano senza far rumore al fortino in cui egli risiede, e bussano alla porta che l'eremita socchiude senza sospetto: viene allora afferrato e legato. Comprendendo tutto, si aspetta di morire. Finalmente è giunto il momento di raggiungere il Prediletto! «Sopportiamo tutti gli insulti, aveva scritto, i colpi, le ferite, la morte, pregando per coloro che ci odiano... seguendo l'esempio di Gesù, senza nessun altro motivo nè altra utilità se non quelli di dichiarare a Gesù che lo amiamo».
Sorpresi da due soldati ligi alla Francia, i congiurati perdono la calma. Quello che è incaricato di sorvegliare il Padre, gli spara a bruciapelo una pallottola nella testa. Padre Charles de Foucauld scivola lentamente lungo il muro e si accascia al suolo: è morto... vittima del suo zelo d'amore per quei popoli in cui la luce della fede non aveva mai brillato. Ha consacrato la vita a far conoscere loro il vero Dio incarnato in Gesù Cristo, a far sperimentar loro la misericordia di cui lui medesimo ha beneficiato in modo tanto manifesto e di cui ha voluto, per gratitudine, essere l'araldo! Solo il 21 dicembre il capitano de La Roche, comandante il settore dell'Hoggar, potrà recarsi a Tamanrasset. Sulla tomba del Padre, pianterà una croce di legno. Poi, penetra nell'eremo fortificato che i banditi hanno saccheggiato. Ritrova la corona del Padre, una via crucis che egli aveva abilmente disegnato a penna su tavolette, una croce di legno, recante anch'essa una bellissima immagine di Cristo...
Ostensorio nella sabbia
A Beni-Abbès, Charles aveva stabilito un regolamento di vita in cui la preghiera occupava il primo posto: Santa Messa e azione di grazia, Breviario, Via Crucis, Rosario... Ma l'adorazione della Santissima Eucaristia prevale nettamente: vi consacra tre ore e mezzo al giorno, ripartite in tre pause di silenzio. Nel suo diario, si legge: «Maggio 1903 Sono trent'anni oggi che ho fatto la prima Comunione, che ho ricevuto il Buon Dio per la prima volta... Ed ecco che tengo Gesù fra le mie miserabili mani! Lui, mettersi nelle mie mani! Ed ecco che, giorno e notte, godo del santo tabernacolo, Gesù è per così dire un mio bene personale! Ecco che ogni mattina consacro la Santa Eucaristia, che ogni sera do con essa la benedizione!»
Con il suo amore ardente per Gesù-Ostia, fra Charles anticipava la chiamata che un secolo dopo il Servo di Dio Giovanni Paolo II lanciava a tutta la Chiesa: «Carissimi fratelli e sorelle, qui si trova il tesoro della Chiesa... Nell'Eucaristia, abbiamo Gesù, abbiamo il suo Sacrificio redentore, abbiamo la sua risurrezione, abbiamo il dono dello Spirito Santo, abbiamo l'adorazione, l'obbedienza e l'amore per il Padre! Se trascuriamo l'Eucaristia, come potremo rimediare alla nostra indigenza? Sotto le umili specie del pane e del vino, transustanziati nel suo Corpo e nel suo Sangue, Cristo cammina con noi, essendo per noi forza e viatico, e fa di noi, per tutti i nostri fratelli, dei testimoni di speranza» (Ecclesia de Eucharistia, 17 aprile 2003, nn. 59, 60, 62).
Charles de Foucauld, beatificato a Roma il 13 novembre scorso, ha amato l'Eucaristia come se vedesse in essa, con i suoi propri occhi, Cristo presente. Chiediamogli di accendere nelle nostre anime un amore sempre più ardente per Colui che vuol rimanere in mezzo a noi per essere il nostro confidente, il nostro sostegno, il nostro Amico vero e fedele.