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11 luglio 2008 San Benedetto, patrono dell'Europa |
Jerôme Lejeune è nato nel 1926, a Étampes, in una famiglia che la guerra 1939-45 lascerà rovinata. A 13 anni, la scoperta di due autori, Pascal e Balzac, lo segna per la vita. Soggiogato dal Dr Bénassis, eroe del «Medico di campagna», vuole diventare anch'egli medico condotto, dedicato agli umili e ai poveri. Dopo la guerra, si getta con passione negli studi di medicina. Presto, lo stimola al lavoro una motivazione supplementare: fa la conoscenza di una giovane danese, Birthe, e se ne innamora appassionatamente. Il 15 giugno 1951, discute con successo la sua tesi di dottorato. Nello stesso, giorno, il suo avvenire si decide in una direzione completamente diversa dai suoi progetti: uno dei suoi insegnanti, il professor Raymond Turpin, gli propone di collaborare a una grande opera sul «mongolismo», malattia che colpiva un bambino su seicentocinquanta. Jerôme accetta. La sua via è ormai tracciata. Il 1° maggio 1952, sposa, a Odense in Danimarca, Birthe Bringsted diventata cattolica, da cui avrà cinque figli. La vita di famiglia è per lui un bene prediletto, soprattutto nelle vacanze. Durante i suoi soggiorni all'estero, ogni giorno scrive a sua moglie.
Nel 1954, diventa membro dell'ufficio di presidenza della Società Francese di Genetica e ricercatore presso il Centro Nazionale della Ricerca Scientifica. A partire dalle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki, l'effetto delle radiazioni nucleari sulla riproduzione umana è all'ordine del giorno. Turpin orienta la sua équipe verso questo settore, e, nel 1957, Jérôme viene nominato, presso l'ONU, «esperto degli effetti delle radiazioni atomiche sulla genetica umana». Partecipa, da allora, a congressi internazionali, dove si fa notare per la sua candida libertà di linguaggio, di fronte alla volontà di dominio di certe delegazioni.
La sua famiglia è già allietata da tre bambini, quando la salute di suo padre si deteriora. Jerôme è messo di fronte all'evidenza: si tratta di un cancro ai polmoni. L'agonia di questo amato padre lo porta a rendersi conto di quanto «il vedere la sofferenza di coloro che si amano è insopportabile». Il suo sguardo diventa da allora più profondo: nel volto di ogni paziente, riconoscerà Cristo stesso.
Approfittando di nuovi procedimenti fotografici, Jérôme evidenzia, in un tessuto proveniente da un piccolo «mongoloide», la presenza di un cromosoma supplementare, a livello della 21a coppia (un essere umano ne possiede 23, ossia 46 cromosomi). Ecco l'origine del «mongolismo», malattia ormai chiamata «trisomia 21». Viene data comunicazione della scoperta all'Accademia di Medicina, nel marzo 1959. Nel novembre 1962, Jérôme si vede conferire il «premio Kennedy»; nell'ottobre 1965, diventa titolare della prima cattedra di genetica fondamentale a Parigi. Tutto induce alla speranza: la sua scoperta e la pubblicità che ne viene fatta nel mondo scientifico, pensa, stimoleranno la ricerca, e permetteranno la predisposizione di cure idonee per guarire i malati e dare una speranza ai loro genitori. Le famiglie dei malati, attirate dalla fama internazionale di Jérôme e dalla sua accoglienza, si rivolgono sempre più numerose a lui. Egli cura diverse migliaia di giovani pazienti, venuti a consultarlo dal mondo intero o seguiti per corrispondenza. Aiuta i genitori a comprendere e ad accettare questa prova in una visione cristiana: questi bambini trisomici, creati a immagine di Dio, sono destinati a un avvenire eterno dove non rimarrà nulla delle loro infermità. Egli li conforta con la sicurezza che il loro bambino, nonostante un grave deficit intellettivo, traboccherà di amore e di tenerezza.
Il razzismo cromosomico
Agosto 1967: il professor Lejeune è invitato alla settima assemblea mondiale dell'Associazione Medica Israeliana, a Tel-Aviv. Si alternano lavori ed escursioni; la prima ha come meta il lago di Tiberiade. «Entrai in una cappellina di cattivo gusto, racconta Jérôme« Mi prostrai lungo disteso per baciare la traccia immaginaria dei passi di Colui che era lì». In quell'istante, provai un sentimento sconosciuto: «Un figlio che ritrova un Padre prediletto, un Padre finalmente conosciuto, un Maestro riverito, un Cuore molto sacro scoperto, c'era tutto questo e molto di più«» Tutto fonde al fuoco di questo braciere di amore: il mondo, gli onori, il successo, il timore del giudizio degli altri. Non c'è più nient'altro se non il Signore, e la necessità di rispondere alla sua bontà premurosa.
Quando Jérôme raggiunge nuovamente gli altri congressisti, una forza si è impadronita di lui. Per quale scopo? Un episodio lo metterà sulla buona strada. Arrivando a Cana, la guida chiede se qualcuno conosce la ragione della fama internazionale della città. Jérôme prende il microfono e, ingenuamente, racconta l'episodio evangelico delle nozze e il miracolo dell'acqua cambiata in vino. Silenzio. Poi la guida: «Ma Lei è proprio fuori strada! Quello che dà importanza a Cana è la presenza dei laboratori di cosmetica Helena Rubinstein!» Scoppio di risa generale. Jérôme tace: si sente impotente a vendicare l'oltraggio che Cristo ha appena ricevuto sotto i suoi occhi. Ecco ora Nazareth: scendendo dal pullman, tutti si dirigono verso la basilica dell'Annunciazione. Ma alcuni parlano a voce alta, altri si lasciano andare a battute oscene sulla visita dell'Angelo e la Verginità di Maria. Jérôme sente che lo si sta provocando. Che cosa fare? Entra e, lentamente, si fa il segno della croce poi s'inginocchia per rispetto nei confronti del mistero dell'Incarnazione compiutosi in quel luogo. Stranamente, il suo atteggiamento umile e coraggioso fa tacere gli schernitori. Dopo questa pubblica professione di fede, nessuno provocherà più il professor Lejeune, ma viene messo in disparte dal gruppo.
«Mi sono giocato il mio «Nobel»»
Lotta mediatica
La questione dell'aborto agita ora tutta l'Europa; la Gran Bretagna ha seguito le orme degli Stati Uniti, che hanno legalizzato la diagnosi precoce della trisomia e la sua «cura» con l'aborto. La campagna mediatica, in Francia, si estende all'aborto di tutti gli indesiderabili: «Un neonato diventa legalmente una persona solo quando è nato»; «una donna ha il diritto di fare quello che vuole del suo corpo»« Argomenti speciosi, ai quali molti cattolici si mostrano permeabili, a volte addirittura al punto di propagarli.
In occasione di un viaggio in Virginia, nell'ottobre 1972, viene presentato a Jérôme un protocollo da applicare in occasione di esperimenti di fisiologia o di biochimica praticati su feti di cinque mesi, «prelevati» a questo scopo con taglio cesareo. Scrive alla moglie: «Il testo dice di trattarli come qualsiasi prelievo di tessuti o di organi, ma precisa che bisogna ucciderli dopo poco tempo« Ho semplicemente detto che nessun testo poteva regolamentare il crimine». Come sono arrivati a questo punto i suoi colleghi così qualificati? Sono stati formati, con il pretesto del rigore scientifico, in un'ottica in cui Dio non trova posto: è «bene» non ciò che è conforme alla legge di Dio, ma ciò che è efficace; è «male», quello che intralcia il progresso materiale. Per loro, il feto non è più un uomo, una creatura di Dio, destinata a vederlo e ad amarlo per tutta l'eternità. Può allora diventare il bersaglio di tutti gli attacchi: basta ottenere una maggioranza.
L'anello più debole
Il 13 maggio 1981, Jérôme e sua moglie sono a Roma: il Santo Padre desidera riceverli in udienza privata. Dopo il colloquio, il Papa li trattiene spontaneamente a pranzo. La sera stessa, rientrando a Parigi, apprendono l'attentato di cui Giovanni Paolo II è appena stato vittima, qualche ora dopo che l'hanno lasciato. La salute di Jérôme viene scossa da questa notizia. Nell'autunno, preoccupato dalla situazione internazionale, il Papa decide di inviare a ogni capo di Stato in possesso dell'arma nucleare una delegazione di membri della Pontificia Accademia delle Scienze, latori di una relazione sui pericoli della guerra atomica. Per l'URSS, designa Lejeune e altri due. L'incontro ha luogo il 15 dicembre 1981. «Noi, scienziati, dice chiaramente Jérôme, sappiamo che, per la prima volta, la sopravvivenza dell'umanità dipende dall'accettazione da parte di tutte le nazioni di precetti morali che trascendono qualsiasi sistema e qualsiasi speculazione teorica». Di questa missione diplomatica, nessuna eco nella stampa. Le vessazioni amministrative che, a partire dalla votazione della legge Veil, avevano cominciato a prendere di mira Jérôme in particolare sotto forma di controlli fiscali ripetuti, s'intensificano. Le sovvenzioni a lui destinate per la ricerca vengono soppresse; è costretto a chiudere il suo laboratorio. Indignati da questo modo di procedere, dei laboratori americani e inglesi gli concedono senza contropartita sovvenzioni private; questa solidarietà disinteressata gli permette di ricostituire un'équipe di ricercatori animati dalle stesse motivazioni.
Nonostante la derisione
Jérôme abbozza nel 1991 delle «riflessioni sulla deontologia medica», in sette punti: «1. «Cristiani, non abbiate paura!» Siete voi che detenete la verità, non perché sia stata inventata da voi, ma ne siete il veicolo. A tutti i medici, bisognerebbe ripetere: è la malattia che bisogna vincere, non il malato che bisogna attaccare. 2. L'uomo è fatto a immagine di Dio. È l'unica ragione per cui è degno di rispetto« 3. «L'aborto e l'infanticidio sono delitti abominevoli» (Vaticano II). 4. La morale esiste oggettivamente; essa è chiara, è universale poiché è cattolica. 5. Non si può disporre del figlio e il matrimonio è indissolubile. 6. Onora tuo padre e tua madre: la riproduzione monoparentale per clonazione o per omosessualità non è possibile. 7. Non si può disporre del genoma umano, del capitale genetico della nostra specie». Notiamo questa frase coraggiosa: «Nelle Società dette pluraliste, ci viene ripetuto continuamente: «ma voi, cristiani, non avete il diritto d'imporre la vostra morale agli altri!» Ebbene! ve lo dico: non solo avete il diritto di tentare di far entrare la vostra morale nelle leggi, ma è vostro dovere democratico!»
Nell'esercizio delle sue funzioni
Il Mercoledì Santo 30 marzo 1994, poiché delira, in preda a una febbre di più di 40 gradi, viene ricoverato in cure palliative. L'indomani, all'alba, riprende conoscenza; il Venerdì Santo, confida al prete che gli amministra gli ultimi sacramenti: «Non ho mai tradito la mia fede». È tutto ciò che conta davanti a Dio« Dice ai suoi figli che gli chiedono che cosa vuole lasciare in eredità ai suoi piccoli malati: «Non ho granché, sapete. Allora, ho dato loro la mia vita. E la mia vita, è tutto ciò che avevo». Poi, commosso fino alle lacrime, mormora: «Oh mio Dio! sono io che dovevo guarirli, e me ne vado senza aver trovato« Che ne sarà di loro?» Poi, raggiante, si rivolge ai suoi: «Figli miei, se posso lasciarvi un messaggio, è il più importante di tutti: noi siamo nella mano di Dio. L'ho verificato più volte». L'indomani, Sabato Santo, trascorre dolcemente: Jérôme è sereno. Tuttavia, verso la fine del pomeriggio, ritorna, più forte, la difficoltà respiratoria. D'improvviso autoritario, comanda a sua moglie e ai suoi di rientrare a casa. Non vuole che assistano alla sua agonia. La domenica mattina, verso le sette, dice con fatica a un collega, quasi sconosciuto, che gli ha tenuto la mano una gran parte della notte: «Vede« ho fatto bene«» e rende lo spirito. Fuori, si fanno sentire i primi rintocchi delle campane: è il giorno della Risurrezione, il giorno della Vita, quella che non finisce. Perché il Cristo è la Vita eterna (1Gv 5,20)!
L'indomani, il Papa Giovanni Paolo II scriveva riguardo a Jérôme Lejeune: «Ci troviamo oggi davanti alla morte di un grande cristiano del XX° secolo, di un uomo per cui la difesa della vita è diventata un apostolato. È chiaro che, nella situazione attuale del mondo, questa forma di apostolato dei laici è particolarmente necessaria«»