Lettera

Blason   Abbazia San Giuseppe di Clairval

F-21150 Flavigny-sur-Ozerain

Francia


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7 marzo 2007
Mese di San Giuseppe


Carissimo Amico dell’Abbazia di San Giuseppe,

«L'essenziale nella civiltà dell'amore è il riconoscimento del valore della persona umana e, concretamente, di tutte le persone umane. È soprattutto su questo punto che si riconosce l'immenso apporto del cristianesimo... La visione cristiana dell'essere umano quale immagine di Dio implica, infatti, che i diritti della persona s'impongano, per via della loro natura, al rispetto della società, che non li crea, ma si limita a riconoscerli... Il cristianesmo offre il suo contributo alla costruzione di una società a misura d'uomo, e questo dandole un'anima e proclamando le esigenze della Legge di Dio, su cui tutte le organizzazioni e legislazioni della società devono appoggiarsi saldamente se vogliono garantire la promozione umana, la liberazione da qualsiasi forma di schiavitù, il progresso autentico» (Giovanni Paolo II, udienza del 15 dicembre 2000). Queste verità sono meravigliosamente illustrate dalla vita della beata Anna Maria Javouhey.

Il 10 novembre 1779, nasce a Jallenge, nei pressi di Digione, una bambina, Anna Maria, quinta di una famiglia di dieci figli. Anna Maria, detta Nanette, ha 7 anni quando la famiglia si trasferisce a Chamblanc, nella stessa circoscrizione. È una bambina allegra, felice, estremamente vivace, sempre piena di nuove invenzioni e con la battuta pronta. A dieci anni, malgrado le reticenze del padre che la trova troppo birichina, fa la prima Comunione. «A partire da quel giorno, confesserà, mi sono considerata come consacrata a Dio ed alle di Lui opere».

Nel 1791, durante la Rivoluzione francese, don Rapin, il curato, preferisce partire in esilio piuttosto che prestare il giuramento scismatico preteso dal clero. Lo sostituisce un prete giurato. Nanette, di nascosto dai suoi genitori, assiste talvolta alla Messa. «Mi credevo più sapiente degli altri», dirà più tardi. Una sera, un sacerdote che non ha prestato giuramento bussa alla porta: «Sono stato chiamato al capezzale di un ammalato e non so la strada». Intrepida, Nanette si propone per accompagnarlo. Strada facendo, il sacerdote le spiega la necessità di rimanere fedeli alla Chiesa di Roma. A partire da quel momento, con i suoi, essa organizza cerimonie clandestine e nasconde sacerdoti braccati dai rivoluzionari. Quando la tormenta si placa, Nanette percorre i paesi e, al suono del tamburo, riunisce i giovani per insegnare loro il catechismo. «Non avrei voluto addolorare i miei genitori, racconterà, nè disubbidire loro, ma non potevo resistere a Dio che mi dava tante attrattive per insegnare a conoscerLo alle ragazze povere ed agli adulti ignoranti». Un giorno, riceve da Dio un incarico preciso: «Il Signore mi fece sapere in un modo straordinario, ma certo, che mi chiamava allo stato che è diventato il mio per istruire i poveri e educare gli orfanelli!», affermerà in seguito.

I figli che Dio ti dà

L'atteggiamento di Nanette, che pensa più a pregare ed a catechizzare che ai lavori della fattoria, stupisce e irrita suo padre. La ragazza riesce a convertirlo alla sua causa e, l'11 novembre 1798, nel corso della Messa, essa si consacra ufficialmente a Dio in presenza della sua famiglia. Nel 1800, seguendo il consiglio di don Rapin, che è tornato in paese, Nanette si reca a Besançon, dove Giovanna Antide Thouret ha fondato una piccola comunità di donne destinate alla carità ed all'educazione dei bambini. Ma, ben presto, il dubbio le invade l'anima. «Signore, che vuoi da me?» esclama una sera. Una voce interna, ben netta, le risponde che Dio ha grandi mire su di lei. Qualche giorno dopo, svegliandosi, crede di vedere attorno a sè un gran numero di Negri, gli uni assolutamente neri, gli altri di un colore più o meno scuro. Nello stesso tempo, le sembra di sentire le seguenti parole: «Ecco i figli che Dio ti dà. Sono santa Teresa, sarò la protettrice del tuo Ordine». Allora torna a casa dai suoi.

Dopo essersi dedicata all'istruzione dei fanciulli, a Seurre, poi a Dole, entra in un convento di Trappistine, in Svizzera. Ma, in fondo al cuore, una voce le dice: «Non sei chiamata alla Trappa, bensì a fondare una Congregazione in favore dei Negri». I pochi mesi passati in convento le hanno permesso di acquisire una solida formazione alla vita religiosa. Dopo altri due tentativi di vita scolastica nel Giura, Anna Maria torna a casa, per istituire ivi la sua opera educativa. Nell'aprile del 1805, dopo l'incoronazione di Napoleone, Papa Pio VII passa a Chalon-sur-Saône. Anna Maria e le sue sorelle ottengono la grazia di un'udienza privata. La giovane espone i suoi progetti al Santo Padre: «Coraggio, figlia mia, le risponde il Vicario di Cristo, Dio farà, attraverso te, molte cose per la sua gloria».

Su consiglio del vescovo, Anna Maria si stabilisce a Chalon-sur-Saône. Molto pedagoga, capisce che bisogna sviluppare le capacità pratiche dei fanciulli. Insegna alle bambine a leggere, a scrivere e a far di conto, ma anche a cucire, a lavorare a maglia, a stirare e a filare. Anna Maria pensa di affidare la cappella della sua scuola al patrocinio di san Bernardo o di santa Teresa. Ma il curato, che si chiama Giuseppe, le suggerisce di invocare piuttosto la protezione dello sposo della Vergine Maria. Il nome di san Giuseppe viene adottato e passa dalla cappella alla piccola comunità di educatrici che essa ha costituito. Il 12 maggio 1807, Anna Maria, le sue tre sorelle e cinque altre giovani ricevono l'abito religioso e pronunciano i voti davanti al vescovo di Autun. Questi suggerisce alla Superiora di stabilirsi nella città vescovile. Madre Anna Maria ottiene che una parte dell'ex seminario maggiore venga messa a sua disposizione. Alla fine del 1810, al momento della guerra di Spagna, arrivano a Autun convogli di ammalati e di feriti. Le Suore si trasformano in infermiere. Un giorno di gennaio del 1812, Madre Anna Maria si imbatte in un annuncio economico che propone la vendita dell'ex convento dei Recolletti, a Cluny. Si rivolge a suo padre, che riesce a convincere ad acquistare la tenuta. Le Suore vi si insediano e diventano la «Congregazione di San Giuseppe di Cluny».

Madre Anna Maria sussulta!

Madre Anna Maria riesce, con molte difficoltà, ad aprire una scuola a Parigi. L'Intendente dell'isola Borbone (isola della Riunione) la va a trovare e le chiede alcune Suore per la sua isola, precisando che essa è popolata «di Bianchi, di Mulatti e di Negri». A queste parole, la Madre sussulta, ricordandosi della profezia di Besançon. Poco dopo, il Ministro degli Interni le chiede alcune Suore per i possedimenti della Francia Oltremare. In una visuale missionaria, essa accetta tutto. Il 10 gennaio 1817, quattro Suore partono alla volta dell'isola Borbone. All'inizio del 1819, un contingente di sette religiose s'imbarca per il Senegal. Ma lì, l'ospedale, di cui si propone loro di incaricarsi, è in uno stato pietoso, la città non ha chiese, l'evangelizzazione è appena iniziata... Ben presto, le Suore si scoraggiano.

Madre Anna Maria si reca personalmente nel Senegal nel 1822. Alcune settimane dopo il suo arrivo, scrive: «Le difficoltà sono incalcolabili; solo l'amore puro di Dio permette di resistere senza scoraggiarsi... Ora che mi sono riavuta da tutte le sorprese e vedo le cose più da vicino, mi rendo conto che si può far molto del bene in Africa». Convinta che i Negri siano naturalmente inclini alla religione, afferma: «È compito della religione dare a questo popolo principi, conoscenze solide e senza pericolo, perchè le leggi, i dogmi riformano non soltanto i vizi grossolani ed esteriori, ma cambiano il cuore... Date solennità alla religione; che la pompa del culto li attiri, che il rispetto li trattenga, ed avrete ben presto cambiato il volto del paese». D'altro canto, essa constata che l'Africa ha una vocazione agricola. Alla fine di aprile del 1823, insedia una fattoria-scuola a Dagana. Questo le permette di tessere legami con la popolazione. La sua fama si estende e ben presto la chiamano in Gambia, poi in Sierra Leone, dove si incarica degli ospedali. Ma le arrivano dalla Francia lettere che la supplicano di tornare. Nel febbraio del 1824, torna in patria, dopo aver posto le basi di un'opera di ampio respiro per la civilizzazione e la cristianizzazione dell'Africa. Il suo primo obiettivo è quello della formazione di un clero africano, una necessità per l'impresa missionaria. Impianta dunque a Bailleul, nell'Oise, una casa di formazione per giovani Africani.

L'aiuto del buon esempio

Nel 1827, il Ministro della Marina si rivolge a Madre Anna Maria in favore della Guyana, dove i coloni francesi hanno già subito numerosi insuccessi. La Madre accetta la proposta, ma stabilisce delle condizioni relativamente alla vita cristiana dei coloni e degli indigeni. Nell'agosto del 1828, essa giunge in Guyana con circa un centinaio di persone e si fissa a Mana. Quattro mesi dopo, la Madre scrive: «Tutto va di buon passo verso l'ordine voluto: i lavori avanzano, le colture crescono a vista d'occhio, la religione si rafforza nel cuore di coloro che ne avevano soltanto un'idea superficiale, e ciò grazie all'aiuto del buon esempio... Abbiamo portato con noi quindici operai opportunamente scelti, per i lavori più utili... Io stessa e le altre suore sarchiamo e piantiamo fagioli e manioca; seminiamo riso, granoturco, ecc., intonando cantici, raccontando storie, rammaricandoci che le nostre povere sorelle in Francia non possano condividere la nostra felicità». Ma i successi ottenuti attraverso il duro lavoro di Madre Anna Maria suscitano il dispetto di certi coloni di Caienna.

In Francia, la rivoluzione del luglio 1830 porta con sè trasformazioni politiche poco favorevoli alla religione cattolica, ed il sostegno finanziario del governo alle opere di Madre Anna Maria diminuisce. Essa però continua il suo lavoro, ed i suoi istituti si mantengono. Nel 1833, installa un lebbrosario vicino a Mana. Di ritorno in Francia, Madre Javouhey visita le sue case. Si rende conto delle lacune della Congregazione: «La nostra Congregazione è molto recente ed ha già bisogno di una vasta riforma, scrive... Ci necessita acquisire lo spirito interiore e quello di orazione. Con tale doppio spirito, non c'è nessun pericolo, da nessuna parte». Dal 1829, la diocesi di Autun è retta da Monsignor d'Héricourt. Il prelato desidera trarre il massimo vantaggio dal lavoro delle Suore. Vorrebbe pertanto soprintendere alla Congregazione e rivede lo Statuto approvato nel 1827 dal suo predecessore e dal re Carlo X.

Alla fine di aprile del 1835, Monsignor d'Héricourt impone a Madre Anna Maria un nuovo Statuto che trasforma il precedente da cima a fondo, e secondo il quale egli diventa il Superiore generale delle Suore. Davanti al suo rifiuto, il prelato insiste, poi comanda. Non disponendo nè del consiglio delle Suore, nè del tempo necessario per ventilare la questione, Madre Anna Maria finisce col firmare il nuovo Statuto. Uscendo dal colloquio, un rimorso lancinante le attanaglia l'anima: ha firmato troppo in fretta, senza il benestare del Capitolo generale nè degli altri vescovi interessati dai cambiamenti. Si consiglia con persone autorevoli e si rende conto che la propria firma, carpita, non è stata data liberamente e non ha nessun valore. Scrive dunque al vescovo che si atterrà allo Statuto del 1827.

Preparare l'emancipazione

In pari tempo, i membri del governo discutono in merito all'emancipazione degli schiavi. Tale provvedimento esige una preparazione appropriata. Nel rapporto di una commissione interministeriale, si legge: «La Signora Javouhey ha dimostrato nella direzione dell'istituto di Mana un grande spirito d'ordine ed una perseveranza a tutta prova. È il caso di affidare alle Suore di San Giuseppe di Cluny il compito di portar a buon fine l'emancipazione degli schiavi». Tutti però non sono d'accordo, ed il Consiglio della Guyana, in cui prevalgono i coloni invidiosi dei successi di Madre Anna Maria, si oppone violentemente al progetto. Tuttavia, il 18 settembre 1835, un'ordinanza ministeriale le affida ufficialmente la missione. Lo stesso Re Luigi Filippo riceve a parecchie riprese la Superiora e stabilisce con lei il piano relativo all'emancipazione dei Negri.

Oggigiorno, davanti alle forme moderne di schiavitù (commercio delle donne e dei bambini, condizioni di lavoro che riducono i lavoratori al rango di semplici strumenti redditizi, prostituzione, droga, ecc.), la Chiesa ricorda la dignità della persona umana: «Il settimo comandamento proibisce gli atti o le iniziative che, per qualsiasi ragione, egoistica o ideologica, mercantile o totalitaria, portano all'asservimento di esseri umani, a misconoscere la loro dignità personale, ad acquistarli, a venderli e a scambiarli come fossero merci. Ridurre le persone, con la violenza, ad un valore d'uso oppure ad una fonte di guadagno, è un peccato contro la loro dignità e i loro diritti fondamentali» (Catechismo della Chiesa Cattolica, CCC, n. 2414).

Arrivata in Guyana nel febbraio del 1836, Madre Anna Maria si vede affidare circa cinquecento schiavi strappati ai negrieri. Nella sua pedagogia, essa non vuole assolutamente ricorrere alla forza, ma educare con la dolcezza, la pazienza e la persuasione. «Mi sono posta, scriverà, come una madre in seno alla sua numerosa famiglia». Questo concetto è tanto più audace in quanto fra i Negri che essa accoglie ve ne sono di temibili. Ma la sua fede si basa sulla virtù propria del cristianesimo, che è capace di produrre grandi effetti civilizzatori. Per di più, la Madre sa di poter contare sul proprio prestigio personale; basta la sua presenza per smorzare i contrasti. Infatti, rari sono i casi in cui è costretta a prendere provvedimenti severi. Si prende cura dell'educazione cristiana e si preoccupa particolarmente dei matrimoni, poichè intende fondare sulla famiglia la sua opera civilizzatrice. Ogni coppia ha la sua capanna, pulita e ben attrezzata. L'insieme forma un bel paesello munito di una chiesa. Tutto ciò non viene realizzato senza difficoltà, delusioni e incidenti dolorosi. Malgrado tutto, in capo a due anni, un certo senso dell'ordine e dell'economia finisce col regnare a Mana. Il 21 maggio 1838, Madre Javouhey presiede all'emancipazione di centottantacinque schiavi.

Il periodo più felice!

Tuttavia, l'opposizione del vescovo di Autun la perseguita anche in Guyana. Il 16 aprile 1842, la fondatrice scrive: il vescovo di Autun «ha vietato al Prefetto apostolico di ammettermi a partecipare ai sacramenti, salvo a riconoscerlo quale Superiore generale della Congregazione... Gli perdono di tutto cuore, per amor di Dio». La sofferenza generata da tale situazione, che durerà per due anni, è intensa. È aggravata da libelli diffamatori che circolano contro di lei. Quando le Suore si avvicinano alla Sacra Mensa, mentre essa ne è privata, le sue lacrime scorrono in abbondanza. Un giorno, si reca nella Guyana olandese, nella speranza di poter ivi far la Comunione. Ma il Prefetto apostolico territoriale è stato informato del fatto che «quella donna, o non ha mai avuto la fede, o l'ha totalmente perduta», e la Comunione le viene rifiutata anche lì. «Quel periodo di prove è stato il più felice di tutta la mia vita, dirà più tardi: vedendomi per così dire scomunicata, poichè era vietato a tutti i sacerdoti di darmi l'assoluzione, andavo a passeggiare da sola nelle vaste foreste vergini di Mana, e lì dicevo a Dio: «Ho solo più te, Signore, e pertanto vengo a buttarmi fra le tue braccia ed a pregarti di non abbandonare la tua figliola...» Provavo talmente tante consolazioni spirituali, che ero spesso costretta ad esclamare: «O Dio mio, abbi pietà della mia debolezza, non prodigarmi così i tuoi favori, perchè la tua povera ancella non avrà la forza di sopportarli». Oh! quante volte ho sperimentato la grande bontà di Dio per coloro che confidano soltanto in Lui, che non si è mai infelici quando si ha Dio con sè, e qualsiasi siano le prove che vi assalgono».

Conscia della propria influenza personale nel buon andamento di Mana, Madre Anna Maria si preoccupa per il tempo in cui non sarà più presente. Si propone di riunire in un istituto specifico i bambini negri della Guyana, dai cinque ai quindici anni, per educarli cristianamente. Diventati adulti ed emancipati, potrebbero diffondersi in tutto il paese e propagare una mentalità sana. Ma il governo, cui essa chiede una sovvenzione per il progetto, rifiuta di associarsi al suo modo di vedere le cose. Il 18 maggio 1843, Madre Anna Maria s'imbarca alla volta della Francia. Tale partenza è uno strazio per tutti. Fin dal suo arrivo, ottiene dai vescovi che la conoscono bene l'autorizzazione di ricevere i sacramenti. Quindi, rende visita alle sue Figliole, che, dovunque, la festeggiano. Le esorta al silenzio interiore ed alla pace dell'anima, elementi che permettono di scoprire il disegno di Dio su se stessi, ed insegna loro ad evitare qualsiasi precipitazione: guardiamoci, dice, «dall'avanzare più in fretta della Provvidenza, che vuol essere assecondata e non preceduta... L'esperienza mi ha insegnato che l'opera di Dio si costruisce lentamente».

Tuttavia, il vescovo di Autun insiste nella sua idea. Per esser riconosciuto quale Superiore della Congregazione, prova ad agire sulle Novizie di Cluny. Nomina un cappellano che si dà da fare per distoglierle da quelle delle loro Superiore che «si ribellano» contro il vescovo. Il 28 agosto 1845, Madre Javouhey si reca a Cluny, parla con molta serenità alle sue Figliole, poi conclude: «Figlie mie, vi si dice che è peccato seguirmi; io vi dico che non è peccato seguire il vescovo di Autun. Siete libere, sceglierete. La situazione vi è nota; molti sono i vescovi che hanno di noi un'idea diversa da quella del vescovo di Autun e che saranno lieti di accogliervi. Tutte quelle che vogliono rimanere nella Congregazione mi seguiranno a Parigi». Sulle ottanta giovani, solo sette rifiutano di seguirla. Il vescovo di Beauvais, grande ammiratore della Madre, prende allora in mano energicamente la questione. A poco a poco, Monsignor d'Héricourt si trova isolato nella sua posizione contro le Suore. Finalmente, si rende conto di aver giudicato male Madre Anna Maria. Un baratro d'incomprensione si era scavato nel suo spirito. Il 15 gennaio 1846, egli e Madre Javouhey trovano finalmente un terreno d'intesa.

«Lasciatela passare!»

Durante tutta la dolorosa questione, Madre Anna Maria ha continuato la sua azione apostolica attraverso numerose fondazioni, in Francia, in Oceania, a Madagascar, in India e nelle Antille inglesi. Quando scoppia la rivoluzione del 1848, essa si trova nelle vicinanze di Parigi. Torna in gran fretta nella città in ebollizione. Deve superare le barricate. Quando gli operai rivoltosi, di cui essa aveva spesso alleviato le miserie nelle «Officine Nazionali», la vedono arrivare, gridano: «È Madre Javouhey! È la Superiora Javouhey! Lasciatela passare!». Il nuovo governo decreta, di premura, l'emancipazione totale dei Negri. L'opera di preparazione metodica e prudente all'uso della libertà diventa caduca, ma la Madre si adatta alla situazione, per poter continuare l'opera di civilizzazione e di evangelizzazione degli ex schiavi. A Mana, la notizia dell'abolizione della schiavitù viene accolta con una gioia serena, che contrasta con le scene di violenza che si svolgono altrove. La popolazione negra vi rimane laboriosa e sedentaria, piena di attaccamento alla religione che la Madre le ha insegnato.

All'inizio del 1851, la salute di Madre Anna Maria si deteriora e, in maggio, in occasione di una visita alla casa di Senlis, deve mettersi a letto. L'8 luglio, apprende la morte del vescovo di Autun. Qualche giorno dopo, il 15, afferma a proposito di lui: «Dobbiamo considerare Monsignore come uno dei nostri benefattori. Dio si è servito di lui per mandarci una prova, quando generalmente sentivamo attorno a noi soltanto lodi. Era necessario, perchè, con il successo che aveva la nostra Congregazione, avremmo potuto considerarci qualcosa, se non avessimo avuto quelle pene e quelle contraddizioni». Poco dopo aver pronunciato tali parole, essa spira. La sua Congregazione contava allora circa 1200 Suore applicate a cercare in tutto la volontà di Dio, nell'insegnamento e nelle opere ospedaliere e missionarie.

Chiediamo alla Beata Anna Maria Javouhey, beatificata da Papa Pio XII il 15 ottobre 1950, di ottenerci la liberazione dalla peggiore delle schiavitù, quella del peccato: infatti, Gesù è «venuto per liberare gli uomini dalla più grave delle schiavitù, quella del peccato, che li ostacola nella loro vocazione di figli di Dio e causa tutti i loro asservimenti umani» (CCC, 549). Che essa ci faccia partecipi del suo spirito di dedizione, di carità e di semplicità, per giungere alla vera libertà dei figli di Dio.

Dom Antoine Marie osb

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