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4 ottobre 2007 S. Francesco d'Assisi |
In primo luogo, si tratta di accreditare colui che parla a nome di Dio. Uomini di Israele, ascoltate, dichiara san Pietro, il giorno di Pentecoste, Gesù di Nazaret uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni« voi l'avete inchiodato sulla croce« e l'avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato (At 2, 22-24). «In questa testimonianza spiega il Papa Giovanni Paolo II è racchiusa una sintesi dell'intera attività messianica di Gesù di Nazaret« I «prodigi e segni»« testimoniavano che Colui che « [li] compiva era veramente il Figlio di Dio» (Udienza generale [UG] dell'11 novembre 1987). Similmente l'evangelista Giovanni afferma: Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome (Gv 20,30-31).
Inoltre, i fedeli stessi faranno, nei secoli successivi, dei «segni miracolosi» nel nome di Gesù; il Divino Maestro l'ha annunciato ai suoi apostoli: Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi (Gv 14,11-12). «Si tratta di «segni» miracolosi compiuti dai tempi apostolici ad oggi, il cui scopo essenziale precisa Giovanni Paolo II è di far vedere il destino e la vocazione dell'uomo al Regno di Dio» (UG del 13 gennaio 1988). Tuttavia, questi «miracoli-segni» si sono scontrati in alcuni con un pregiudizio antisoprannaturale che «vorrebbe limitare la potenza di Dio o restringerla all'ordine naturale delle cose, quasi per una auto-obbligazione di Dio a stare alle sue leggi» (UG del 9 dicembre 1987). Di conseguenza, sono molte oggi le persone che negano l'esistenza o anche solo la possibilità del miracolo, seguendo l'esempio di autori celebri la cui influenza è lungi dall'essersi esaurita.
Nessuna gamba di legno!
Miracolo e mondo soprannaturale sono effettivamente legati. Rifiutando di ammettere il secondo, i razionalisti negano la possibilità del primo. Essi classificano quindi tra le favole le narrazioni evangeliche che, tuttavia, «sono attendibili come e più di quelle contenute in altre opere storiche» (Giovanni Paolo II, UG del 9 dicembre 1987). I miracoli evangelici sono fatti realmente accaduti e che sono stati realmente operati da Cristo; coloro che li riferiscono ne hanno testimoniato fino allo spargimento del loro sangue. Riguardo ai Vangeli, noi possediamo manoscritti molto più antichi e più numerosi che per gli scritti profani dell'antichità considerati storici.
Che cosa è un miracolo? È un fatto sensibile che accade al di fuori o al di sopra della modalità di azione della natura creata; esso manifesta con ciò stesso l'intervento di una potenza superiore alla natura. Ora, dei miracoli sono stati osservati: «« la storia della Chiesa e, in particolare, i processi condotti per le cause di canonizzazione« costituiscono una documentazione che, sottoposta al vaglio anche più severo della critica storica e della scienza medica, conferma l'esistenza della «Potenza dall'alto» (Lc 24,49) che opera nell'ordine della natura e la supera» (Giovanni Paolo II, UG del 13 gennaio 1988).
Renan smentito
Miguel Juan Pellicer riceve il battesimo il 25 marzo 1617. Egli è il secondo degli otto figli di modesti agricoltori che conducono una vita virtuosa. L'istruzione del bambino si riduce al catechismo. Questa formazione religiosa elementare radica in lui una fede cattolica semplice e solida, fondata sui Sacramenti ricevuti regolarmente e su un'ardente e filiale devozione alla Vergine Maria, venerata a Saragozza con il titolo di «Nuestra Señora del Pilar» (Madonna del Pilastro), Patrona della Spagna. Verso l'età di diciannove o vent'anni, Miguel si stabilisce come bracciante, al servizio di uno zio materno, nella provincia di Valencia. Alla fine del luglio 1637, mentre guida verso la fattoria due muli che tirano un carro carico di grano, cade dal dorso di uno degli animali e una delle ruote del carro gli passa sulla gamba, al di sotto del ginocchio, provocando la frattura della tibia.
Lo zio Jaime trasporta senza indugio i ferito alla cittadina vicina, poi a una sessantina di chilometri di là, a Valencia, dove arriva il 3 agosto. Miguel vi rimane cinque giorni, nel corso dei quali gli vengono applicati vari rimedi che rimangono senza effetto. Egli ritorna allora a Saragozza dove giunge nei primi giorni dell'ottobre 1637. Sfinito e febbricitante, viene ricoverato al Real Hospital de Gracia. Lì, viene esaminato da Juan de Estanga, docente all'università di Saragozza, primario del reparto di chirurgia, e da due maestri chirurghi, Diego Millaruelo e Miguel Beltran. Questi medici, avendo constatato la cancrena avanzata della gamba concludono che l'unico modo di salvare la vita del malato è l'amputazione. Quando testimonieranno davanti ai giudici, questi medici descriveranno la gamba come «molto flemmonosa e incancrenita», al punto di apparire «nera». Verso la metà di ottobre, Estanga e Millaruelo procedono all'operazione: essi tagliano la gamba destra «quattro dita sotto il ginocchio». Anche se assopito dalla bevanda alcolica e narcotica usata a quei tempi, il paziente prova atroci dolori: «Nei suoi tormenti diranno i testimoni il giovane invocava di continuo e con molto fervore la Vergine del Pilar». Uno studente di chirurgia, di nome Juan Lorenzo Garcìa è incaricato di raccogliere la gamba tagliata e di sotterrarla degnamente nella parte del cimitero dell'ospedale riservata a questo uso. A quell'epoca di fede, il rispetto verso il corpo destinato a risuscitare imponeva che anche i resti anatomici fossero trattati con pietà. Garcìa testimonierà in seguito di aver seppellito il pezzo di gamba, orizzontalmente, «in una buca profonda un palmo», cioè ventun centimetri secondo la misura aragonese.
La potenza della Vergine
All'inizio del 1640, Miguel rientra nel suo paese natale. Egli arriva a Calanda, a dorso di un asinello, nel mese di marzo. Il suo viaggio di circa 120 chilometri l'ha sfinito; ma l'accoglienza affettuosa dei suoi genitori gli restituisce le forze. Miguel sta per compiere 23 anni. Non potendo aiutare i suoi con il suo lavoro, ricomincia a chiedere l'elemosina. Molti sono coloro che testimonieranno di aver visto il giovane mutilato nei villaggi dei dintorni di Calanda, a dorso di un asinello, con la gamba tagliata in vista, per fare appello alla carità degli abitanti. Il 29 marzo 1640, si festeggia, quell'anno, il 1600° anniversario della «venuta in carne mortale» della Vergine Maria sulle rive dell'Ebro, secondo la convinzione della gente di quei luoghi. È qui l'origine della venerazione secolare degli Spagnoli per la Vergine del Pilar. Nella stessa epoca, compare a Lovanio (nelle Fiandre allora spagnole) «L'Augustinus», libro del vescovo Cornelio Jansen, che darà il suo nome al giansenismo, dottrina tristemente famosa che rifiuta come indegne della fede pura la devozione mariana, la religiosità popolare, i pellegrinaggi, le processioni, l'attenzione della gente semplice ai miracoli«
Quel giovedì 29 marzo, Miguel si sforza di aiutare i suoi riempiendo di letame delle gerle caricate sul dorso dell'asinello. Lo fa nove volte di seguito, nonostante la sua difficoltà a reggersi sulla sua gamba di legno. Venuta la sera, rientra a casa, stanco, con il moncone più dolente del solito. Quella notte, i Pellicer devono ospitare, per ordine del governo, uno dei soldati della Cavalleria reale che è in marcia verso la frontiera per respingere le truppe francesi: Miguel è costretto a lasciargli il suo letto e va a dormire su un materasso posato per terra, nella camera dei suoi genitori. Vi si corica, verso le dieci. Dopo essersi tolto la gamba di legno, si stende addosso un semplice mantello, troppo corto per coprire tutto il corpo, perché ha prestato la sua coperta al soldato, poi si addormenta«
Due piedi e due gambe
Riavutosi dalla sua prima emozione, il giovane comincia a muovere e a palparsi la gamba. Osservandola, si scoprono su questa dei segni di autenticità: il primo è la cicatrice lasciata dalla ruota del carro che ha fratturato la tibia; vi è anche la traccia dell'asportazione di una grossa cisti, quando Miguel era ancora piccolo; due graffi profondi lasciati da una pianta spinosa; infine, le tracce del morso di un cane sul polpaccio. Miguel e i suoi genitori hanno quindi la certezza che «la Vergine del Pilar ha ottenuto da Dio Nostro Signore la gamba che era stata sepolta più di due anni prima». Essi lo dichiareranno sotto giuramento e senza esitazione, davanti ai giudici di Saragozza. Un giornale del tempo, «l'Aviso Histórico», scrive in data 4 giugno 1640, il giorno prima dell'apertura del processo, che, nonostante le ricerche fatte nel cimitero dell'Ospedale di Saragozza, la gamba sepolta non è stata ritrovata: la buca che la conteneva era vuota!
Tutti sono sbalorditi
Tuttavia, la gamba non ha, all'inizio un bell'aspetto: colore violaceo, dita del piede ricurve, muscoli atrofizzati e soprattutto, lunghezza inferiore a quella della gamba sinistra di alcuni centimetri. Ci vogliono tre giorni perché la gamba riprenda il suo aspetto normale, con la sua scioltezza e la sua forza. Queste circostanze, diligentemente osservate e studiate nel corso del processo, confermano che non si tratta di un numero di illusionismo; esse provano che la gamba restituita è proprio la stessa di quella che era stata sepolta due anni e cinque mesi prima, a più di 100 chilometri di distanza« Nel mese di giugno seguente, i testimoni affermano davanti ai giudici di Saragozza che Miguel «può appoggiare il tallone a terra, muovere le dita del piede, correre senza difficoltà». Si constata inoltre che, a partire dalla fine di marzo, l'arto ricuperato si è «allungato di quasi tre dita», e che è attualmente lungo quanto l'altro. Un solo segno non scompare: la cicatrice che forma un cerchio rosso nel punto in cui il pezzo di gamba si è riunito all'altro. È come un marchio indelebile del prodigio.
«Bisognerebbe quindi che venisse constatato un miracolo da un certo numero di persone sensate che non avessero alcun interesse alla cosa», affermava Voltaire. «E bisognerebbe che le loro testimonianze fossero registrate in debita forma: in effetti, se noi abbiamo bisogno di tante formalità per atti come l'acquisto di una casa, un contratto di matrimonio, un testamento, quante non ne occorrerebbero per appurare delle cose naturalmente impossibili?» (Voce «Miracle» del suo Dizionario filosofico). Ora, cent'anni prima, è avvenuta precisamente la stesura di un simile atto a Calanda. Il lunedì 1° aprile 1640, quarto giorno dopo il prodigio, il parroco e un prete vicario di Mazaleón, villaggio alla distanza di 50 km, si spostano con il notaio reale del luogo per verificare la realtà dei fatti e ne stendono un atto ufficiale.
Nessuna voce discordante
Si può applicare a qualsiasi vero miracolo ciò che sant'Agostino diceva di quelli di Cristo: «I miracoli che fece nostro Signore Gesù Cristo sono opere divine che insegnano alla mente umana ad elevarsi al di sopra delle cose visibili per comprende ciò che è Dio» («In Io. Ev. Tract.», 24,1).
Il Papa Giovanni Paolo II commenta: «A questo pensiero possiamo ricollegarci nel riaffermare lo stretto legame dei «miracoli-segni» compiuti da Gesù con la chiamata alla fede. Infatti tali miracoli dimostravano l'esistenza dell'ordine soprannaturale, che è oggetto della fede. A coloro che li osservavano e particolarmente a chi personalmente li sperimentava, essi facevano costatare quasi con mano che l'ordine della natura non esaurisce l'intera realtà. L'universo in cui vive l'uomo non è racchiuso soltanto nel quadro dell'ordine delle cose accessibili ai sensi e allo stesso intelletto condizionato dalla conoscenza sensibile. Il miracolo è «segno» che questo ordine viene superato dalla «Potenza dall'alto», e quindi le è anche sottomesso. Questa «Potenza dall'alto» (cf. Lc 24,49), cioè Dio stesso, è al di sopra dell'intero ordine della natura. Essa dirige quest'ordine e nello stesso tempo fa conoscere che - mediante quest'ordine e al di sopra di esso - il destino dell'uomo è il Regno di Dio. I miracoli di Cristo sono «segni» di questo Regno« Dopo la Risurrezione, l'Ascensione e la Pentecoste, i «miracoli-segni» compiuti da Cristo vengono «continuati» dagli apostoli, poi dai santi che si succedono di generazione in generazione» (UG del 13 gennaio 1988).
Il miracolo di Calanda, impensabile eppure perfettamente attestato, è di natura tale da confortare la nostra fede nell'esistenza di un mondo invisibile, quello di Dio e del suo Regno eterno, al quale siamo chiamati a partecipare in quanto figli adottivi. È questa la realtà suprema ed eterna, alla quale dobbiamo riferire tutte le altre, come un uomo prudente ordina i mezzi al fine. I miracoli ci rivelano soprattutto il Cuore amante e misericordioso di Dio per l'uomo, in particolare per l'uomo che soffre, che è nel bisogno, che implora la guarigione, il perdono e la pietà. Essi contribuiscono a fondarci in una speranza indefettibile nella misericordia di Dio e ci incoraggiano a dire spesso: «Gesù, confido in Te!»