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31 luglio 2002 Sant'Ignazio di Loyola |
Karl Leisner è nato il 28 febbraio 1915 a Rees, in Vestfalia (ovest della Germania). Nel 1921, la sua famiglia si trasferisce a Kleve, cittadina non lontana. Il Signor Leisner, intendente di finanza del tribunale, uomo molto metodico, profondamente attaccato alla fede cattolica tramandatagli dai suoi avi, ha un carattere energico, talvolta addirittura impetuoso. La moglie, gentile e comprensiva, sempre calma e conciliante, fa regnare l'amore in famiglia. Ragazzino svelto, discolo, esuberante, Karl frequenta inizialmente la scuola elementare, poi, nel 1927, il liceo statale. Alunno bravo, studia facilmente. La sua curiosità è inesauribile; si sforza continuamente di conoscere il perchè delle cose. Il suo sorriso radioso gli apre i cuori. A contatto con il catechista del liceo, don Walter Vinnenberg, che ha il dono di suscitare l'entusiasmo, Karl sviluppa i suoi talenti di organizzatore e di animatore di giovani. Ha 12 anni, quando il sacerdote gli propone di creare un'associazione della gioventù, il gruppo San Werner. Accetta ed inaugura il registro delle sedute. Le relazioni diventano, nel maggio 1928, il diario della sua anima, che permette di seguire l'ascensione spirituale del giovane.
«Signore, dammi la forza!»
L'adolescente manifesta una stupefacente maturità. Rattristato dalle proprie cadute, riacquista ben presto la serenità. A seguito di un peccato, scrive: «Sono ricaduto ancora una volta... Basta! Abbasso il peccato!... Rimani calmo e coraggioso, malgrado tutte le futilità e tutta la voracità dei sensi! Voglio avere la massima stima di me stesso: sono un'immagine del Dio trinitario che è un solo Dio. Ristabilire in me l'unità fra il volere e l'agire». Karl non è un superuomo, nè un santo caduto dal Cielo già aureolato. Conduce un duro combattimento spirituale. Ancora in tenera età, decide di purificarsi lo spirito ed il cuore, e di regolamentare il proprio comportamento. Le sue risoluzioni così si riassumono: ordine (nell'anima, nel contegno esterno, nelle attività), disciplina, devozione e amore. Nel 1933, annota: «Il mio cuore erra qua e là, fino a quando si riposa in Te, mio Dio! Tu, Signore, sei l'ordine, la bellezza, il riposo più profondo. Tu dai la pace che il mondo non può dare... Senza l'amore di Dio e la gioia nell'anima, non giungerò a nulla. Con Dio, avrò tutto in me! Signore, dammi la forza!» A Pasqua del 1933, prima di entrare in terza liceo, Karl si reca a Schönstatt per un ritiro spirituale. Nel cuore della spiritualità del movimento apostolico di Schönstatt, si trova l'alleanza d'amore con Maria, attraverso cui ci si lascia condurre dalla Santa Vergine verso Cristo, che porta i suoi discepoli al Padre. Si cammina così sulla via della santità, dell'abbandono alla Provvidenza e dell'infanzia spirituale, compiendo il più perfettamente possibile, e con amore, il proprio compito quotidiano, per quanto modesto ed insignificante esso appaia allo sguardo umano.
Controcorrente
Nel silenzio di un ritiro, nel dicembre 1933, Karl esamina il problema della carriera da seguire: «La solitudine mi ha fortificato, mi ha dato il coraggio definitivo di osar assumere il fardello della vocazione sacerdotale». Questa decisione tranquillizza il giovane, ma egli dovrà in seguito sostenere in proposito molte lotte. Il 5 maggio 1934, entra al Borromäum di Münster, casa che riunisce gli studenti che si destinano al sacerdozio. Durante due anni, studia la Filosofia e la Teologia presso l'università di Münster. È un giovane maturo, di una grande delicatezza morale. Il vescovo, Monsignor Clemens von Galen, che sarà detto il «leone di Münster», a causa della sua eroica resistenza al nazionalsocialismo, lo nomina responsabile diocesano della Gioventù Cattolica. «La fede e l'entusiasmo di Karl per Cristo devono essere un incoraggiamento ed un modello, soprattutto per i giovani che vivono in un ambiente caratterizzato dalla miscredenza e dell'indifferenza. Poichè i dittatori politici non sono i soli a limitare la libertà. Ci vogliono altrettanto coraggio ed altrettanta forza per affermarsi controcorrente dello spirito dell'epoca, orientato verso il consumo e il piacere egoistico della vita, e che tende occasionalmente all'antipatia nei riguardi della Chiesa, se non addirittura ad un ateismo militante» (Giovanni Paolo II, omelia per la beatificazione di Karl Leisner).
«Gettiamo nel fuoco tutto l'odio!»
A Pasqua del 1936, Karl, che deve continuare gli studi in un'università di sua scelta per due semestri, va a Friburgo in Brisgovia. Da lì, avrà la gioia di andare a visitare Roma e di essere ricevuto in udienza da Papa Pio XI, che ha condannato, a cinque giorni d'intervallo, il nazionalsocialismo (Enciclica Mit Brennender Sorge, 14 marzo) e il comunismo (Enciclica Divini Redemptoris, 19 marzo 1937). A Friburgo, Karl alloggia presso la famiglia Ruby, dove sorveglia gli studi dei nove ragazzi. Davanti alla vita armoniosa della famiglia, si interroga: non sarei chiamato anch'io a fondare una famiglia cristiana? Sente crescere il suo affetto per la figlia maggiore dei Ruby, Elisabetta, ma conserva per sè il proprio segreto e non se ne apre con la ragazza. Comincia allora per lui una lunga e dolorosa lotta fra il desiderio del sacerdozio e quello della vita di famiglia. All'inizio del 1938, Karl supera l'esame di ammissione al seminario maggiore; tuttavia, la lotta fra la vocazione e l'attrattiva del matrimonio, sempre latente, riprende intensamente nella sua anima, fino alla fine del mese di giugno, quando una lettera di Elisabetta, cui ha aperto il proprio cuore, lo spinge a non abbandonare la vocazione sacerdotale. Il 4 marzo 1939, Karl viene ordinato suddiacono e, il 25, riceve il diaconato dalle mani di Monsignor von Galen.
Da un bel po', risente una grande stanchezza e attribuisce tale stato alla crisi della sua vocazione. Ma gli accessi di tosse, sempre più frequenti, hanno un'altra origine. Una visita medica conclude alla terribile diagnosi: tubercolosi in fase avanzata. Karl è costernato. Ben presto, tuttavia, si riprende: «Devo guarire». Viene mandato in un sanatorio nella Foresta Nera. A poco a poco, la sua docilità nel seguire le prescrizioni mediche concorre al miglioramento del suo stato di salute: la guarigione sembra in vista. Ma, nel frattempo, la guerra è scoppiata: l'Europa è messa a fuoco.
Una collera fatale
Il 16 marzo 1940, Karl viene internato nel campo di concentramento di Sachsenhausen, vicino a Berlino. Il suo nome è abolito: lo si chiama ormai con il numero di matricola: 17520. Con il capo rasato, vestito con il pigiama a righe dei deportati, «escluso dalla comunità del popolo tedesco», non ha più nessun diritto. Nel campo regnano la paura della frusta e del lavoro sovrumano imposto, nonchè la fame lancinante ed un'angoscia permanente di fronte all'avvenire. Tuttavia, Karl, animato da una gioia interiore, irraggia i compagni con il suo ottimismo sorridente. In dicembre, dietro le insistenze del vescovato tedesco, Himmler, comandante supremo delle SS, decide di raggruppare gli ecclesiastici in un solo campo, a Dachau, e di sottoporli a condizioni meno inumane. Il campo di Dachau, vicino a Monaco di Baviera, inizialmente previsto per 8.000 detenuti, ne accoglierà fino a 50.000; 15.000 prigionieri vi moriranno ogni anno. Il numero di sacerdoti detenuti si eleverà a più di 2.600, di cui un migliaio morirà sul posto. Hanno tuttavia consolazione inestimabile la possibilità di assistere alla Messa. L'anno 1942 è duro: inverno gelido, primavera piovosa. Ogni mattina, le SS prolungano l'appello dei prigionieri intirizziti, spesso bagnati fino al midollo, fuori, sulla piazza. La salute di Karl non resiste. Nella notte del 15 marzo, gli si rompe un vaso sanguigno polmonare, provocandogli un'emorragia. Viene ammesso all'infermeria dove rimarrà per due mesi. Ci tornerà per tre volte, dopo brevi soggiorni nelle baracche dei sacerdoti.
L'angelo della consolazione
Ammalato, Karl è ritenuto una «bocca inutile». Nell'ottobre del 1942, figura sull'elenco dei deportati che devono esser sterminati in una camera a gas. Due sacerdoti riescono a far cancellare il suo nome dall'elenco. «Ogni giorno, mi offro alla Santa Vergine, mia Madre, scrive. Essa mi ha meravigliosamente guidato in tre anni di prigionia». All'inizio del 1943, il tifo imperversa a Dachau, e falcia circa 6.000 vittime. Karl scampa all'epidemia, perchè la sezione dei tubercolosi è isolata dal resto del campo. Il 4 giugno, scrive ad un amico: «Guardandomi indietro, sono molto riconoscente al Signore ed alla di lui Santa Madre. Se ascoltassi la piccolezza del cuore umano, vorrei sperare un pronto ritorno per ritrovarti. Ma il Signore sa quel che conviene ». Nell'assoluto smarrimento della sua situazione, esprime un pensiero eroico: ringrazia Dio di averlo configurato alla Passione di suo Figlio, per mezzo di quelle prove.
Inimmaginabile, ma vero!
Allora, l'ordinazione clandestina viene preparata in gran segreto. Grazie alla complicità di parecchi detenuti, viene confezionato un anello episcopale di ottone, un pastorale scolpito in legno di quercia, una mitra, con seta e perle, e ornamenti di stoffa viola. La domenica «Gaudete», il 17 dicembre, arriva finalmente. Il vescovo viene rivestito con gli ornamenti pontificali. Karl, rinfrancato da un'iniezione di caffeina, indossa l'alba bianca e la stola diaconale; porta sul braccio sinistro la pianeta ripiegata, e nella mano destra il cero acceso: nulla, infatti, viene omesso dei minimi riti previsti. Le guance rosse rivelano la febbre che divora l'ammalato. L'emozione dei trecento testimoni, cui si sono aggregati i 2.300 altri sacerdoti del campo, è indescrivibile. Durante la cerimonia, un deportato ebreo suona il violino, all'esterno, per sviare l'attenzione dei sorveglianti. Alla fine della Messa, Monsignor Piguet e Karl si ritrovano per una prima colazione preparata dal gruppo dei pastori protestanti. Quante complicità e quanta ingegnosità ci sono mai volute per guarnire la tavola: tovaglia bianca, servizio di porcellana, caffè e dolci... «L'ordinazione sacerdotale di Karl Leisner ha costituito per il gruppo dei pastori protestanti un grande evento», scriverà il loro decano, il Dott. Ernst Wilm.
Di ritorno fra i tubercolosi, Karl continua la sua via crucis. Il 26 dicembre, può celebrare la sua prima Messa. Scrive: «In capo a più di cinque anni di preghiere e di attesa, giornate riempite di una grande felicità... Che Dio abbia potuto, per intercessione di Nostra Signora, esaudirci in modo tanto bello ed unico, non riesco ancora a concepirlo». Mentre la tubercolosi giunge allo stadio finale, il nuovo sacerdote testimonia un totale abbandono alla divina Provvidenza.
La fine della guerra si avvicina. Il 29 aprile 1945, gli Americani prendono il campo di Dachau. Finalmente la libertà ritrovata per i superstiti della terribile deportazione! All'inizio del mese di maggio, Karl viene trasportato al sanatorio di Planegg, vicino a Monaco di Baviera. Scrive: «Felicità traboccante! Grazie, grazie... Da solo, in una stanza tutta per me, che felicità!... Nel silenzio, Dio parla, benchè mi senta spossato». Ma è troppo tardi per salvare don Leisner. Ormai, sarà un'intensa sofferenza, fino alla fine. Unito a Cristo in Croce, offre se stesso a Dio per l'espiazione dei peccati e per la salvezza degli uomini. Malgrado le sofferenze, resta allegro come un tempo, pensando ben poco a sè. Scrive: «Non perdersi d'animo, non perdere pazienza...»
Ritorno alle origini
Il 29 giugno 1945, Karl riceve la visita dei suoi genitori. Sono tutti e tre sconvolti: «Siamo insieme!» Il 25 luglio, Karl può assistere, dal letto, ad una Messa celebrata da uno dei suoi amici. Lo stesso giorno, conclude il suo diario spirituale con queste parole: «O altissimo, benedici anche i miei nemici». Gli rimangono da vivere otto giorni. Dirà a sua madre: «Mamma, devo confidarti qualcosa; tuttavia, non esser triste. So che morirò tra breve, ma sono felice». La sera dell'8 agosto, arrivano le sue tre sorelle: che gioia poter chiacchierare a lungo con loro! Infine, il 12 agosto, entra in agonia e si spegne serenamente per andare a raggiungere in Cielo il coro dei santi angeli.
Proclamandolo beato il 23 giugno 1996, Papa Giovanni Paolo II l'ha citato ad esempio: «Karl Leisner ci incoraggia a rimanere sulla via che si chiama Cristo. Non dobbiamo mai abbandonarci alla stanchezza, anche se tale strada ci sembra talvolta oscura e se richiede sacrifici. Guardiamoci dai falsi profeti che vogliono indicarci altre vie. Cristo è la via che conduce alla vita. Tutte le altre strade si avvereranno deviazioni o false tracce».
Accogliamo con fiducia questa raccomandazione del Papa. Anche san Benedetto, padre dei monaci e patrono d'Europa, ci orienta nella medesima direzione. «Vedete, dice nel Prologo della sua Regola, come il Signore stesso, nella sua bontà, ci mostra il cammino della vita». Chiediamo a Nostra Signora di guidarci verso la Luce eterna nella pace e nella gioia di Cristo.