Lettera

Blason   Abbazia San Giuseppe di Clairval

F-21150 Flavigny-sur-Ozerain

Francia


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24 agosto 1998
Santo Bartolomeo


Carissimo Amico dell’Abbazia di San Giuseppe,

Lunedì 6 luglio 1925, a Torino (Italia). Davanti al portale della chiesa della Crocetta, una folla numerosa aspetta, raccolta. Si trovano gomito a gomito benestanti e operai, signore appartenenti all'aristocrazia e donne del popolo, studenti universitari e vecchi dell'Ospizio. Improvvisamente, la folla ondeggia. Si fa un gran silenzio. Sul sagrato, sbocca un gruppo di solidi giovani, che portano sulle spalle una bara massiccia. Sul volto dei giovani, si legge l'emozione. La spoglia mortale che portano non è forse quella di un amico meraviglioso? Tuttavia, in fondo ai loro sguardi brilla una fiamma di orgoglio, come se le robuste spalle reggessero trionfalmente il reliquiario di un santo.

Chi mai viene portato così? Il 13 aprile 1980, Papa Giovanni Paolo II dirà di lui: «Basta gettare uno sguardo, anche breve, sulla vita di Pier Giorgio Frassati, distrutta ad appena ventiquattro anni, per capire come egli abbia saputo rispondere a Gesù Cristo: fu la risposta di un giovane 'moderno', aperto ai problemi della cultura, dello sport (un valente alpinista!), alle questioni sociali, ai valori veri della vita, e, nello stesso tempo, di un uomo profondamente credente, nutrito del messaggio evangelico, dal carattere fermo e coerente, che si appassionava al servizio dei fratelli e ardeva di un'impetuosa carità, che lo portava, secondo un ordine di precedenza assoluta, accanto ai poveri ed agli ammalati... Il cristianesimo è gioia: Pier Giorgio aveva una gioia affascinante, una gioia che sormontava anche tante difficoltà della vita, poichè il periodo della giovinezza è sempre un periodo di prova di forza».

Una per te, una per me

Pier Giorgio Frassati, che sarà chiamato «il figlio della Festa», è nato a Torino, la sera del 6 aprile 1901, Sabato Santo. Nato da una famiglia agiata della borghesia piemontese (suo padre sarà per alcuni anni ambasciatore a Berlino), il fanciullo eredita le qualità ed i difetti dei suoi compatrioti. Energici, volitivi, addirittura testardi e assai poco comunicativi, sono inoltre economi, pur non temendo i carichi di famiglia, positivi e realistici, con un certo spirito d'avventura.

La dirittura innata di Pier Giorgio lo rende nemico della menzogna, e leale al punto di esser schiavo della parola data. Nessuna forza al mondo, nemmeno la sua fame da lupo, gli farebbe toccare una pietanza o una ghiottoneria che sa a portata di mano, se sua madre glielo ha formalmente vietato. Un profondo senso di compassione lo porta ad alleviare ogni sofferenza. Si schiera istantaneamente dalla parte dei più deboli. Passando un giorno con suo nonno all'asilo, all'ora del pasto di mezzogiorno, Pier Giorgio è affascinato dalle lunghe tavole di marmo, in cui sono scavati i posti delle scodelle. Improvvisamente, vede, in fondo alla sala, un bambino tenuto in disparte a causa di una malattia della pelle. Gli si avvicina e, distribuendo «un cucchiaio a me, un cucchiaio a te», cancella dal volto del piccolo la tristezza della solitudine.

Ha solo cinque anni, quando un giorno, sulla soglia di casa, suo padre manda via un povero ubriacone tradito dal fiato. Pier Giorgio si avvicina singhiozzando a sua madre: «Mamma, c'è un povero che ha fame, e papà non gli ha dato da mangiare». Sua madre, pensando di sentire un eco del Vangelo in tale recriminazione, risponde: «Corri fuori, fallo salire e gli daremo da mangiare».

Una cassaforte

Ma la bellezza di questo temperamento non è senza ombre. Il fisico vigoroso e la personalità energica si esteriorizzano spesso in reazioni violente, soprattutto quando litiga con la sorella Luciana, più giovane di lui di diciassette mesi. «Testardo» è l'epiteto che gli si lancia più volentieri in famiglia. Quando non vuol parlare, chiude la bocca come una cassaforte di cui fosse il solo a detenere la combinazione. L'educazione senza mollezze che ha ricevuto in casa lo aiuta a correggere questi difetti. Di un'intelligenza lenta per natura, ma energico, sa aprirsi ed affinarsi, fino a diventare, a poco a poco, talmente accomodante e pronto, che viene a capo di tutte le difficoltà negli studi liceali, e poi, più tardi, alla Scuola di Ingegneria di Torino. Lo studio diventa allora per lui il dovere principale, davanti al quale qualsiasi altra occupazione deve ceder il passo. La battaglia è dura, per il suo temperamento focoso. Che supplizio rimanere fermo per ore ed ore davanti ad austeri manuali, mentre la sua passione per la montagna lo porterebbe facilmente a fare qualche gita pittoresca! Ma le difficoltà sono per lui un'occasione di ascensione morale. Di fronte alla prova, invece di arrendersi, fa appello alla sua energia e si rimette coraggiosamente all'opera.

Ma è soprattutto nella fede e nella preghiera che attinge la sua forza. Fin dalla più tenera età, è fedele nel recitare in ginocchio le preghiere del mattino e della sera. Ben presto, inizia il Rosario. Più tardi, lo si verrà dovunque sgranare le decine, in treno, al capezzale di un malato, a passeggio, in città o in montagna. Gli piace intrattenersi così affettuosamente con la sua celeste Madre.

La relazione diretta che stabilisce con Dio gli dà un'eccezionale maturità. È così che colpisce le menti, con il suo modo personale, semplice e deciso, di vivere il proprio cattolicesimo. Nessuna ostentazione, una sicurezza tranquilla, una fierezza senza contrasti, una dolce intransigenza. In una lettera ad un amico intimo, scrive: «Misero colui che non ha la fede! Vivere senza fede, senza questo patrimonio da difendere, senza questa verità da sostenere con una lotta di tutti gli istanti, non è più vivere, ma sciupare la propria vita! Noi non possiamo vivacchiare; il nostro dovere è vivere! Bando quindi alla malinconia! In alto i cuori e sempre avanti, per il trionfo di Cristo nel mondo!» Agli studenti cattolici, complessati perchè si stimano individui minorati e condannati a vivere in margine alla vita moderna, dimostra, meno con argomenti che con la propria vita, che non è vero; cammina deciso, sicuro della propria strada. In un mondo egoistico ed inasprito, trabocca di gioia e di generosità. Infatti, la vera felicità della vita terrena consiste nella ricerca della santità, cui siamo tutti chiamati. Lì si trova la risposta giusta all'incessante invito del mondo: «Fin che sei giovane, approfitta della vita!»

Scherzo corretto

La virtù della purezza illumina di uno sfavillio meraviglioso la seducente fisionomia di Pier Giorgio. Si sa che non scherza con l'amore. Così, quando i suoi compagni vogliono giocare un tiro mancino alle studentesse, vanno a chiedergli il suo parere, per sapere se lo scherzo sia moralmente corretto. La maggior parte delle volte, la sua sola presenza basta a scartare discorsi sconvenienti o indecenti. Talvolta, i compagni lo stuzzicano a proposito della sua severità per certe sconvenienze dell'arte moderna: sorride, ma non cambia assolutamente nulla alla sua condotta. Ha in tasca una tessera permanente di entrata in tutti i musei ed in tutti i teatri della città. Nei musei, non guarda che le opere sane e di buon gusto; quanto al teatro ed al cinema, ci va solo dopo essersi informato sulla moralità dello spettacolo.

Eppure, non ignora le realtà della vita e gli affetti naturali legittimi lo toccano profondamente. Per conservare la purezza, conosce ore di lotta accanita e penosa, che tutti ignorano, salvo qualche amico intimo. Ecco quel che scrive uno di essi: «Queste lotte, che imprimono alla fisionomia del nostro amico un rilievo incomparabile, durarono per un certo tempo e gli richiesero un'energia di una tempra eccezionale. Si applicò a controllare scrupolosamente i suoi atti, ad evitare le occasioni in cui le sue risoluzioni sarebbero potute naufragare, a moltiplicare le penitenze. Le parole di San Paolo gli convengono ottimamente: Ho combattuto il buon combattimento. Noi, che abbiamo avuto la fortuna di vivere nella sua intimità, durante un percorso così breve, eppure così luminoso, sappiamo con certezza che la virtù, la santità, l'incontro con Dio sono il frutto di un combattimento aspro ed incessante».

Nel corso degli studi all'Università, la sua attenzione è attirata da una ragazza che recenti disgrazie hanno provato duramente. Il suo candore, la sua squisita bontà, la sua fede viva, luminosa e attiva, gli hanno fatto impressione. A poco a poco, nasce in lui un sentimento che potrebbe legittimamente sfociare nel matrimonio. Via via che l'affetto aumenta, lo invade l'apprensione: accetteranno mai quest'unione i suoi genitori? Gli sembra che un intervento presso i suoi debba fatalmente giungere ad uno scacco... e non ha torto. Allora, rinunciando al suo progetto e soprattutto ad un affetto naturale molto profondo, Pier Giorgio dà la precedenza all'amore per i genitori. Vuol evitare di creare un nuovo elemento di tensione in casa, dove la mancanza di buona armonia minaccia i suoi genitori. Virtù eroica, frutto di un amore che arriva fino a 'dare la propria vita' per coloro che ama. Dice alla sorella: «Mi sacrificherò io, anche se questo deve essere il sacrificio di tutta la mia vita quaggiù».

«In questo bar»

Si riscontrerà l'abnegazione manifestata da Pier Giorgio anche nei suoi impegni sociali. Come dirà Papa Giovanni Paolo II, in occasione della beatificazione, il 20 maggio 1990: in lui «la fede e gli eventi quotidiani si amalgamano armoniosamente, a tal punto che l'adesione al Vangelo si traduce in attenzione affettuosa verso i poveri ed i bisognosi... La sua vocazione di laico cristiano si realizzava attraverso molteplici impegni associativi e politici, in una società in pieno fermento, indifferente, se non addirittura ostile, alla Chiesa».

Fin dall'età di 17 anni, si iscrive alle Conferenze di San Vincenzo de' Paoli ed è soprattutto lì che comincerà a conoscere la compassione soprannaturale. Gli piace visitare i poveri, per dar sollievo alla loro miseria con generi alimentari e vestiti che conserva per loro in casa. Pieno di risorse, sa fare economia; raccoglie e vende francobolli e biglietti del filobus, e fa la questua di porta in porta a favore dei poveri. Un giorno, un amico lo incontra in una via di Torino e lo invita a prendere un bibita. «E se andassimo a prenderla in quel bar lì?», dice maliziosamente Pier Giorgio mostrandogli la chiesa di San Domenico. Come resistere al suo sorriso? Dopo qualche istante di raccoglimento, mentre stanno uscendo, il giovane Frassati, vedendo una cassetta delle elemosine, mormora a bassa voce: «E la bibita, la prendiamo qui?» L'amico capisce e vi lascia cadere il suo obolo, non senza sorridere anche lui. «E questa volta offro io», aggiunge Pier Giorgio infilandovi a sua volta una moneta.

Dio solo conosce tutti i sacrifici che si impone il giovane studente. Gli capita, nel cuore dell'estate, di rimanere a Torino, per continuare a dar sollievo ai poveri, mentre potrebbe studiare al fresco, in campagna. Infatti, durante questo periodo, tutti se ne vanno, e nessuno si occupa più di visitare gli infelici.

«Il più grande comandamento sociale»

Ma il suo zelo apostolico lo porta anche ad agire per «informare dello spirito cristiano la mentalità e i costumi, le leggi e le strutture della comunità» (Concilio Ecumenico Vaticano II, Apostolicam Actuositatem, 13). In una situazione sociale e politica molto tesa, Pier Giorgio prova il bisogno di andare incontro al popolo, e partecipa alle attività di varie associazioni sociali e politiche, dove non teme di farsi notare quale cattolico convinto. Pensa che bisogni provvedere alle necessarie riforme in favore degli operai, per far sparire la miseria ed offrire a tutti un livello di vita accettabile. Ha capito che «la conversione del cuore non elimina affatto, anzi impone l'obbligo di apportare alle istituzioni ed alle condizioni di vita, quando esse provochino il peccato, i risanamenti opportuni, perchè si conformino alle norme della giustizia e favoriscano il bene anziché ostacolarlo» (Catechismo della Chiesa Cattolica, CCC, 1888).

Il compito è difficile e Pier Giorgio se ne rende conto. Scrive: «C'è, nel mondo, tanta gente cattiva che di cristiano non ha, ahimè, che il nome, ma non lo spirito. Per questo, credo che dovremo aspettare a lungo prima di conoscere una vera pace. La nostra fede ci insegna tuttavia che non dobbiamo perdere la speranza di vedere, un giorno, questa pace. La società moderna affonda nei dolori delle passioni umane e si allontana da qualsiasi ideale d'amore e di pace». Per lui, non c'è soluzione alla questione sociale al di fuori del Vangelo. È necessario, infatti, il soccorso della grazia, per «scoprire il sentiero, spesso angusto, fra la viltà che cede al male e la violenza che, illudendosi di combatterlo, lo aggrava. È il cammino della carità, vale a dire dell'amore di Dio e del prossimo. La carità rappresenta il più grande comandamento sociale. Essa rispetta gli altri e i loro diritti. Esige la pratica della giustizia e sola ce ne rende capaci. Essa ispira una vita che si fa dono di sè: Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà (Luca 17,33)» (CCC, 1889).

Non è un romanzo

Un giorno, sorprende un compagno che sta leggendo un libro che contiene una dottrina molto dubbia. «Questo libro non fa per te, gli dice, fammi il piacere di non continuarlo. Oggi stesso, te ne porterò uno più bello». Infatti, nel pomeriggio, gli regala una «Vita di Gesù Cristo»: «Non è proprio un romanzo, gli dice, ma le idee sono meravigliose: ti farà senz'altro bene». Mette così in atto la raccomandazione di papa San Pio X: «La dottrina cattolica ci insegna che il primo dovere della carità non sta [...] nell'indifferenza teorica e pratica all'errore o al vizio in cui vediamo immersi i

nostri fratelli, ma nello zelo per il loro miglioramento intellettuale e morale non meno che per il loro benessere materiale» (Lettera sul Solco, 25 agosto 1910).

Per quanto sia pieno di vita, Pier Giorgio non perde di vista l'eternità: «Vivere cristianamente, scrive, è una continua rinuncia, un continuo sacrificio che però non pesa, se si pensa che questi pochi anni passati nel dolore contano ben poco di fronte all'eternità, in cui la letizia non avrà nè limiti nè fine e in cui godremo una pace impossibile da immaginare. Bisogna aggrapparsi fortemente alla fede: senza di essa, che varrebbe tutta la nostra vita? Nulla, saremmo vissuti inutilmente». Prova piacere a pensare di frequente alla morte, che aspetta come l'incontro con Gesù Cristo. Deve andare in montagna? è pronto a tutto: «Bisogna avere sempre la coscienza in pace prima di partire, dice spesso, perchè non si sa mai...». La morte di un amico gli suggerisce queste righe: «Come prepararsi al grande passo? E quando? Siccome nessuno sa l'ora alla quale la morte verrà a prenderlo, è molto prudente prepararsi ogni mattina a morire in quello stesso giorno». Dopo la scomparsa di un altro amico, scrive: «Tutto sommato, ha raggiunto il vero scopo della vita: non si deve compiangerlo, ma invidiarlo». Ha spesso stupito i suoi con questa riflessione: «Credo che il giorno della mia morte sarà il più bel giorno della mia vita».

In quattro giorni

Il martedì 30 giugno 1925, va, con due amici, a fare una gita in barca sul Po. La gita è ottima, ma in capo ad un certo tempo, Pier Giorgio risente un vivo dolore ai muscoli della schiena. Tornato a casa, prova un violento mal di testa. Il giorno dopo, si manifesta la febbre. Nessuno ci fa caso, perchè proprio in quel giorno la sua nonna materna rende l'anima a Dio. Due giorni dopo, un medico esamina l'ammalato. Improvvisamente, si fa scuro in viso. Chiede a Pier Giorgio, steso sulla schiena, di alzarsi. «Non posso!» gli risponde. I riflessi non reagiscono più, non sente gli aghi che gli conficcano nelle gambe.

Tre eminenti medici, chiamati dalla famiglia, si recano al capezzale del malato, e confermano la diagnosi fatale: poliomielite acuta di origine infettiva. Spossato di stanchezza, Pier Giorgio chiede un'iniezione di morfina per poter dormire. Ma il medico giudica ciò imprudente. «Non si può, gli dice sua madre, ti farebbe male. Offri a Dio la sofferenza che provi, per i tuoi peccati, se ne hai, altrimenti per quelli di tuo padre e di tua madre». Approva con un cenno del capo.

Il 4 luglio, verso le tre del mattino, si manifesta una crisi gravissima. Un prete viene ad amministrargli gli ultimi sacramenti. La paralisi raggiunge a poco a poco gli organi respiratori. Alle sedici, comincia l'agonia. Attorno al letto, non si cessa di pregare. Il sacerdote recita le preghiere per gli agonizzanti. La Signora Frassati sostiene il figlio fra le sue braccia, e lo aiuta a morire nel nome di Gesù, Maria, Giuseppe... Alle parole: «Fate che muoia in pace, nella vostra santa compagnia», esala l'ultimo respiro. Sono circa le diciannove. Un'atmosfera che non è più terrena regna nella stanza in cui è or ora passata la morte. Tutti, in ginocchio, affranti dal dolore, fissano gli occhi sul defunto, come per seguire la sua anima purissima nel suo incontro con Dio. È cominciata per lui la vera vita!

Forza interiore

Gesù l'ha promesso: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, ed io lo risusciterò nell'ultimo giorno (Giov. 6,54). La Messa e la Santa Comunione quotidiana davano a Pier Giorgio lo slancio necessario per affrontare tutte le difficoltà della vita: «Mangiate questo pane degli angeli, scrive a dei giovani, e vi ci troverete la forza per condurre le lotte interiori, i combattimenti contro le passioni e le prove, perchè Gesù Cristo ha promesso la vita eterna e la grazia necessaria per ottenerla a coloro che ricevono la Santa Eucaristia. Quando sarete totalmente consumati da questo fuoco eucaristico, allora potrete, in piena coscienza, ringraziare Dio che vi ha chiamati a far parte della sua legione e gusterete una pace che la gente felice di quaggiù non ha mai conosciuto. Perchè la vera felicità, giovani amici miei, non risiede nei piaceri di questo mondo, nè nelle cose terrene, ma nella pace della coscienza: essa è data soltanto a chi ha un cuore puro ed uno spirito puro».

È la grazia che chiediamo per Lei alla Santa Vergine, a San Giuseppe ed al beato Pier Giorgio Frassati. Preghiamo anche per tutti i Suoi defunti.

Dom Antoine Marie osb

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