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24 agosto 1998 Santo Bartolomeo |
Chi mai viene portato così? Il 13 aprile 1980, Papa Giovanni Paolo II dirà di lui: «Basta gettare uno sguardo, anche breve, sulla vita di Pier Giorgio Frassati, distrutta ad appena ventiquattro anni, per capire come egli abbia saputo rispondere a Gesù Cristo: fu la risposta di un giovane 'moderno', aperto ai problemi della cultura, dello sport (un valente alpinista!), alle questioni sociali, ai valori veri della vita, e, nello stesso tempo, di un uomo profondamente credente, nutrito del messaggio evangelico, dal carattere fermo e coerente, che si appassionava al servizio dei fratelli e ardeva di un'impetuosa carità, che lo portava, secondo un ordine di precedenza assoluta, accanto ai poveri ed agli ammalati... Il cristianesimo è gioia: Pier Giorgio aveva una gioia affascinante, una gioia che sormontava anche tante difficoltà della vita, poichè il periodo della giovinezza è sempre un periodo di prova di forza».
Una per te, una per me
La dirittura innata di Pier Giorgio lo rende nemico della menzogna, e leale al punto di esser schiavo della parola data. Nessuna forza al mondo, nemmeno la sua fame da lupo, gli farebbe toccare una pietanza o una ghiottoneria che sa a portata di mano, se sua madre glielo ha formalmente vietato. Un profondo senso di compassione lo porta ad alleviare ogni sofferenza. Si schiera istantaneamente dalla parte dei più deboli. Passando un giorno con suo nonno all'asilo, all'ora del pasto di mezzogiorno, Pier Giorgio è affascinato dalle lunghe tavole di marmo, in cui sono scavati i posti delle scodelle. Improvvisamente, vede, in fondo alla sala, un bambino tenuto in disparte a causa di una malattia della pelle. Gli si avvicina e, distribuendo «un cucchiaio a me, un cucchiaio a te», cancella dal volto del piccolo la tristezza della solitudine.
Ha solo cinque anni, quando un giorno, sulla soglia di casa, suo padre manda via un povero ubriacone tradito dal fiato. Pier Giorgio si avvicina singhiozzando a sua madre: «Mamma, c'è un povero che ha fame, e papà non gli ha dato da mangiare». Sua madre, pensando di sentire un eco del Vangelo in tale recriminazione, risponde: «Corri fuori, fallo salire e gli daremo da mangiare».
Una cassaforte
Ma è soprattutto nella fede e nella preghiera che attinge la sua forza. Fin dalla più tenera età, è fedele nel recitare in ginocchio le preghiere del mattino e della sera. Ben presto, inizia il Rosario. Più tardi, lo si verrà dovunque sgranare le decine, in treno, al capezzale di un malato, a passeggio, in città o in montagna. Gli piace intrattenersi così affettuosamente con la sua celeste Madre.
La relazione diretta che stabilisce con Dio gli dà un'eccezionale maturità. È così che colpisce le menti, con il suo modo personale, semplice e deciso, di vivere il proprio cattolicesimo. Nessuna ostentazione, una sicurezza tranquilla, una fierezza senza contrasti, una dolce intransigenza. In una lettera ad un amico intimo, scrive: «Misero colui che non ha la fede! Vivere senza fede, senza questo patrimonio da difendere, senza questa verità da sostenere con una lotta di tutti gli istanti, non è più vivere, ma sciupare la propria vita! Noi non possiamo vivacchiare; il nostro dovere è vivere! Bando quindi alla malinconia! In alto i cuori e sempre avanti, per il trionfo di Cristo nel mondo!» Agli studenti cattolici, complessati perchè si stimano individui minorati e condannati a vivere in margine alla vita moderna, dimostra, meno con argomenti che con la propria vita, che non è vero; cammina deciso, sicuro della propria strada. In un mondo egoistico ed inasprito, trabocca di gioia e di generosità. Infatti, la vera felicità della vita terrena consiste nella ricerca della santità, cui siamo tutti chiamati. Lì si trova la risposta giusta all'incessante invito del mondo: «Fin che sei giovane, approfitta della vita!»
Scherzo corretto
Eppure, non ignora le realtà della vita e gli affetti naturali legittimi lo toccano profondamente. Per conservare la purezza, conosce ore di lotta accanita e penosa, che tutti ignorano, salvo qualche amico intimo. Ecco quel che scrive uno di essi: «Queste lotte, che imprimono alla fisionomia del nostro amico un rilievo incomparabile, durarono per un certo tempo e gli richiesero un'energia di una tempra eccezionale. Si applicò a controllare scrupolosamente i suoi atti, ad evitare le occasioni in cui le sue risoluzioni sarebbero potute naufragare, a moltiplicare le penitenze. Le parole di San Paolo gli convengono ottimamente: Ho combattuto il buon combattimento. Noi, che abbiamo avuto la fortuna di vivere nella sua intimità, durante un percorso così breve, eppure così luminoso, sappiamo con certezza che la virtù, la santità, l'incontro con Dio sono il frutto di un combattimento aspro ed incessante».
Nel corso degli studi all'Università, la sua attenzione è attirata da una ragazza che recenti disgrazie hanno provato duramente. Il suo candore, la sua squisita bontà, la sua fede viva, luminosa e attiva, gli hanno fatto impressione. A poco a poco, nasce in lui un sentimento che potrebbe legittimamente sfociare nel matrimonio. Via via che l'affetto aumenta, lo invade l'apprensione: accetteranno mai quest'unione i suoi genitori? Gli sembra che un intervento presso i suoi debba fatalmente giungere ad uno scacco... e non ha torto. Allora, rinunciando al suo progetto e soprattutto ad un affetto naturale molto profondo, Pier Giorgio dà la precedenza all'amore per i genitori. Vuol evitare di creare un nuovo elemento di tensione in casa, dove la mancanza di buona armonia minaccia i suoi genitori. Virtù eroica, frutto di un amore che arriva fino a 'dare la propria vita' per coloro che ama. Dice alla sorella: «Mi sacrificherò io, anche se questo deve essere il sacrificio di tutta la mia vita quaggiù».
«In questo bar»
Fin dall'età di 17 anni, si iscrive alle Conferenze di San Vincenzo de' Paoli ed è soprattutto lì che comincerà a conoscere la compassione soprannaturale. Gli piace visitare i poveri, per dar sollievo alla loro miseria con generi alimentari e vestiti che conserva per loro in casa. Pieno di risorse, sa fare economia; raccoglie e vende francobolli e biglietti del filobus, e fa la questua di porta in porta a favore dei poveri. Un giorno, un amico lo incontra in una via di Torino e lo invita a prendere un bibita. «E se andassimo a prenderla in quel bar lì?», dice maliziosamente Pier Giorgio mostrandogli la chiesa di San Domenico. Come resistere al suo sorriso? Dopo qualche istante di raccoglimento, mentre stanno uscendo, il giovane Frassati, vedendo una cassetta delle elemosine, mormora a bassa voce: «E la bibita, la prendiamo qui?» L'amico capisce e vi lascia cadere il suo obolo, non senza sorridere anche lui. «E questa volta offro io», aggiunge Pier Giorgio infilandovi a sua volta una moneta.
Dio solo conosce tutti i sacrifici che si impone il giovane studente. Gli capita, nel cuore dell'estate, di rimanere a Torino, per continuare a dar sollievo ai poveri, mentre potrebbe studiare al fresco, in campagna. Infatti, durante questo periodo, tutti se ne vanno, e nessuno si occupa più di visitare gli infelici.
«Il più grande comandamento sociale»
Il compito è difficile e Pier Giorgio se ne rende conto. Scrive: «C'è, nel mondo, tanta gente cattiva che di cristiano non ha, ahimè, che il nome, ma non lo spirito. Per questo, credo che dovremo aspettare a lungo prima di conoscere una vera pace. La nostra fede ci insegna tuttavia che non dobbiamo perdere la speranza di vedere, un giorno, questa pace. La società moderna affonda nei dolori delle passioni umane e si allontana da qualsiasi ideale d'amore e di pace». Per lui, non c'è soluzione alla questione sociale al di fuori del Vangelo. È necessario, infatti, il soccorso della grazia, per «scoprire il sentiero, spesso angusto, fra la viltà che cede al male e la violenza che, illudendosi di combatterlo, lo aggrava. È il cammino della carità, vale a dire dell'amore di Dio e del prossimo. La carità rappresenta il più grande comandamento sociale. Essa rispetta gli altri e i loro diritti. Esige la pratica della giustizia e sola ce ne rende capaci. Essa ispira una vita che si fa dono di sè: Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà (Luca 17,33)» (CCC, 1889).
Non è un romanzo
nostri fratelli, ma nello zelo per il loro miglioramento intellettuale e morale non meno che per il loro benessere materiale» (Lettera sul Solco, 25 agosto 1910).
Per quanto sia pieno di vita, Pier Giorgio non perde di vista l'eternità: «Vivere cristianamente, scrive, è una continua rinuncia, un continuo sacrificio che però non pesa, se si pensa che questi pochi anni passati nel dolore contano ben poco di fronte all'eternità, in cui la letizia non avrà nè limiti nè fine e in cui godremo una pace impossibile da immaginare. Bisogna aggrapparsi fortemente alla fede: senza di essa, che varrebbe tutta la nostra vita? Nulla, saremmo vissuti inutilmente». Prova piacere a pensare di frequente alla morte, che aspetta come l'incontro con Gesù Cristo. Deve andare in montagna? è pronto a tutto: «Bisogna avere sempre la coscienza in pace prima di partire, dice spesso, perchè non si sa mai...». La morte di un amico gli suggerisce queste righe: «Come prepararsi al grande passo? E quando? Siccome nessuno sa l'ora alla quale la morte verrà a prenderlo, è molto prudente prepararsi ogni mattina a morire in quello stesso giorno». Dopo la scomparsa di un altro amico, scrive: «Tutto sommato, ha raggiunto il vero scopo della vita: non si deve compiangerlo, ma invidiarlo». Ha spesso stupito i suoi con questa riflessione: «Credo che il giorno della mia morte sarà il più bel giorno della mia vita».
In quattro giorni
Tre eminenti medici, chiamati dalla famiglia, si recano al capezzale del malato, e confermano la diagnosi fatale: poliomielite acuta di origine infettiva. Spossato di stanchezza, Pier Giorgio chiede un'iniezione di morfina per poter dormire. Ma il medico giudica ciò imprudente. «Non si può, gli dice sua madre, ti farebbe male. Offri a Dio la sofferenza che provi, per i tuoi peccati, se ne hai, altrimenti per quelli di tuo padre e di tua madre». Approva con un cenno del capo.
Il 4 luglio, verso le tre del mattino, si manifesta una crisi gravissima. Un prete viene ad amministrargli gli ultimi sacramenti. La paralisi raggiunge a poco a poco gli organi respiratori. Alle sedici, comincia l'agonia. Attorno al letto, non si cessa di pregare. Il sacerdote recita le preghiere per gli agonizzanti. La Signora Frassati sostiene il figlio fra le sue braccia, e lo aiuta a morire nel nome di Gesù, Maria, Giuseppe... Alle parole: «Fate che muoia in pace, nella vostra santa compagnia», esala l'ultimo respiro. Sono circa le diciannove. Un'atmosfera che non è più terrena regna nella stanza in cui è or ora passata la morte. Tutti, in ginocchio, affranti dal dolore, fissano gli occhi sul defunto, come per seguire la sua anima purissima nel suo incontro con Dio. È cominciata per lui la vera vita!
Forza interiore
È la grazia che chiediamo per Lei alla Santa Vergine, a San Giuseppe ed al beato Pier Giorgio Frassati. Preghiamo anche per tutti i Suoi defunti.