|
[Cette lettre en français] [This letter in English] [Dieser Brief auf deutsch] [Deze brief in het Nederlands] [Esta carta en español] |
21 settembre 2001 San Matteo, Apostolo e Evangelista |
Nato a Parigi il 25 luglio 1863, Adolfo Retté non conosce nell'infanzia la gioia di una famiglia. Suo padre vive in Russia, precettore dei figli di un granduca. Sua madre, musicista assorbita dalla sua arte, si occupa del figlio solo per capriccio, per sperimentare su di lui metodi di educazione contraddittori. Il piccolo riceve il battesimo per iniziativa della nonna, cattolica pia e praticante. Suo nonno, rettore dell'Università di Liegi, un anticlericale accanito, si oppone a qualsiasi istruzione religiosa.
Adolfo è un bambino sognatore, impressionabile, avido di letture e già amico della solitudine. A quattordici anni, viene messo in collegio. Suo padre esige che segua le pratiche del culto protestante: il ragazzo ne ricava unicamente una vaga credenza in Dio, ed una ripulsione per il cristianesimo. Ha diciotto anni, quando si arruola volontario per cinque anni nell'esercito. La vita militare gli insegna a frenare la sua natura imperiosa, ma si lascia andare alla dissolutezza. Se un amico propone: «Andiamo a far bisboccia», esclama: «Non andiamoci, corriamoci!» Dopo aver ottenuto il congedo militare, inizia una carriera letteraria. Si entusiasma per la natura, soprattutto per la foresta, e si indirizza inizialmente verso il panteismo (sistema che identifica Dio con il mondo).
Risparmi dilapidati
«Me ne sarei voluto a morte»
Comincia allora per Adolfo un periodo di fluttuazioni, alla ricerca di una convinzione che possa calmare l'inquietudine del cuore. Già in gioventù era stato attirato dall'anarchia: «Abbattiamo tutto, Dio, famiglia, proprietà, leggi, tradizioni. Allora gli uomini cadranno nelle braccia l'uno dell'altro e, dividendo secondo le necessità di ciascuno tutti i beni della terra, vivranno in una festa perpetua, assolutamente liberi e solidali!» Ma, dopo una più ampia riflessione, scrive: «Chi non ha la fede, può lasciarsi attirare, per un certo tempo, dai tratti generosi e dalle illusioni poetiche della dottrina anarchica... Ma non si sta molto ad accorgersi che la società, quale auspicata dagli anarchici, potrebbe sussistere solo se tutte le facoltà umane conservassero un equilibrio costante fra di loro». Ora, l'esperienza insegna che è difficile resistere alla schiavitù della collera, della lussuria e dell'orgoglio.
Per un certo tempo, si avvicina a Clemenceau ed ai Radicali, di cui condivide la passione antireligiosa. È l'epoca della sua vita in cui bestemmia di più. Prova un'oscura gioia nel ridicolizzare la vita di Gesù, che chiama sempre e soltanto il «Galileo». Paradossalmente, in fondo a se stesso, si indigna della persecuzione contro le Congregazioni religiose, le espulsioni, le vessazioni di ogni specie inflitte alla Chiesa. Ma la sua ripulsione per il cristianesimo è talmente grande, che non vuol manifestare i suoi veri sentimenti. Alla fine, deluso, si ritira nella solitudine. La cara foresta di Fontainebleau lo calma un po'. In casa, si mostra cupo, lugubre e agitato: la donna con cui vive lo esaspera con le sue menzogne proferite per il solo gusto di mentire, e con gli incessanti litigi. Quando, in certi istanti, guarda la propria anima, la trova sozza quanto una fogna. Prova il bisogno di un ideale elevato. Si rivolge a Kant; ma la morale del filosofo lo delude. Si interessa al buddismo: la prospettiva di un Nirvana in cui la personalità è annientata, e quella di un'ascesi che dovrebbe praticare per arrivarvi, lo spingono ben presto a chiudere i libri.
«Che fortuna per me, se Dio esistesse!»
Il giorno dopo, durante una passeggiata, passa in rassegna tutti gli errori in cui aveva creduto. Crollano l'uno dopo l'altro ed egli esclama: «E adesso, che mi rimane?» Una voce interiore gli risponde: «Dio». Si addossa al tronco di una quercia e continua la sua riflessione: «Perchè veniamo al mondo? Cento religioni hanno tentato di risolvere il problema. Hanno variato secondo le circostanze e soprattutto secondo i capricci dello spirito umano. Fra tale perpetua incostanza, la Chiesa cattolica rimane immutabile. E questo dura da diciannove secoli... Dunque, non avendo la Chiesa mai variato, la sua unità, la sua costanza devono avere una causa più che umana, poichè l'umanità, abbandonata a se stessa, è soltanto cambiamento. Inoltre, i precetti della sua morale sono salutari ed è certo che se li applicassimo, saremmo migliori. La Chiesa deve detenere la verità consolante e salvifica... e dunque Dio esiste...!» Cadendo allora in ginocchio, per la prima volta da quando aveva quindici anni, Adolfo prega: «Dio mio, poichè esisti, soccorrimi!»
Dovrebbe adesso andar a trovare un sacerdote, ma la prospettiva lo spaventa. Ora, ecco che un vecchio sacerdote si trova a passare sul sentiero, non lontano da lui, recitando il breviario. Retté lo sente mormorare le parole che l'evangelista Giovanni applica a Cristo: Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (1, 14). «Reverendo, la prego, gli dice. Cosa desidera? La supplico, preghi per me. Sì, pregherò per lei, e lo farò immediatamente». Adolfo lo lascia andare senza aggiungere nulla, ripetendo senza posa fra sè e sè: E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. La Santa Trinità ha impresso nel suo spirito l'adorabile mistero dell'Incarnazione. «Cominciavo a pregare il Buon Dio in tutte le circostanze in cui ero afflitto da pene morali e da noie materiali, scrive. Posso attestarlo, non avvenne mai che non fossi esaudito. Non era sempre nel modo che mi aspettavo; ma era sempre per il mio massimo bene».
«Il libero arbitrio esiste...»
I suggerimenti che vengono dal demonio producono nell'anima le tenebre, il turbamento, varie agitazioni e tentazioni che la portano alla diffidenza, la lasciano senza speranza e senza amore, triste, tiepida, pigra e come separata dal suo Creatore e Signore (ved. Esercizi spirituali di sant'Ignazio, n. 317). Il demonio suggerisce ad Adolfo: «Se Dio permette che tu sia murato nella disperazione, è per mostrarti chiaramente che non hai più nulla da sperare da Lui... Peccatori della tua risma non si possono riscattare... Riprendi le tue abitudini... Poichè Dio ti respinge, poichè la tua esistenza è diventata un continuo tormento, quel che ti rimane di meglio da fare è annientarti nella morte. Prendi dunque un partito virile; ammetti che per te tutto è finito: salta nel buio...» Al contrario, l'angelo buono lo consola, gli dà coraggio e forza, gli invia ispirazioni buone (ved. Ibid. 315): «La misericordia di Dio è infinita nei riguardi di colui che si pente. Spera e prega... accetta con costanza questa prova, è necessaria... Va', umiliati, non temere nulla, sarai esaudito». Sotto tale influsso benefico, Retté sente tornare la fiducia: «In quei momenti lì, una grande pace si faceva in me; pensavo a Dio in un modo molto dolce e mi mettevo a pregare».
«Non posso, ho paura...»
Verso la stessa epoca, Adolfo si separa dalla sua concubina. Ma, ben presto, il demonio lo investe con violenza e, per portarlo alla disperazione, gli ricorda tanti libri ed articoli in cui ha seminato copiosamente la bestemmia. Una sera, spossato dagli assalti dello spirito malvagio, Adolfo si corica, ma non riesce a trovare il sonno. Una nuova lotta accanita contro il demonio lo inzuppa di sudore. «Improvvisamente, scriverà, sentii, sì sentii lo affermo sulla mia salvezza eterna sentii la voce celeste e ben nota che mi gridava: «Dio! Dio è presente!» Fulminato dalla grazia, caddi in gnocchio, e, nello stesso momento, credetti di vedere dentro di me l'immagine di Nostro Signore Gesù Cristo in croce che mi sorrideva con un'espressione d'ineffabile misericordia. Un'immensa pace penetrò nella mia anima... Rimasi lì, estasiato, stupefatto, traboccante di riconoscenza, senza cessar di ripetere: «Grazie, Dio mio, mi hai salvato!»» All'alba del giorno dopo, torna presso la statua della Santa Vergine, per ringraziarla.
Un sorriso confortante
Il sacerdote gli dà un catechismo, chiedendogli di imparare prima di tutto gli atti di fede, di speranza e di carità, il «Padrenostro», l' «Avemaria», il «Credo», poi aggiunge: «Sa fare il segno della croce? Purtroppo, non. Adesso glielo insegno...» Finito il colloquio, il sacerdote congeda il penitente: «Vada in pace, caro figlio. Fiducia e preghiera: è tutto». Adolfo rimane pensoso e felice di aver scelto il partito buono: «Chi avrebbe detto, pensavo, che sarebbe stato tanto facile? Poi, ammiravo la bontà della Provvidenza che mi aveva condotto, come tenendomi per mano, al sacerdote che mi ci voleva... Ora, conclusi coricandomi, non ho più che da lasciarmi guidare...Uff, che liberazione!... O Madre del mio Dio, mi rimetto interamente a te... Allora, dopo aver fatto il segno della croce, mi addormentai di un sonno tranquillo, quale non avevo conosciuto da giorni e giorni».
Un raccolto rigoglioso
Nel giorno stabilito per la confessione, Adolfo si presenta davanti al sacerdote che lo aveva istruito. «A mano a mano che confessavo i miei peccati, scrive, mi sembrava che Nostro Signore stesso fosse presente. Mi pareva che, con mano dolce ed imperiosa insieme, cogliesse i peccati nella mia anima e li sparpagliasse come polvere davanti ai propri piedi adorabili. In pari tempo, sentivo la mia povera anima, tutta piegata sotto il peso del male, raddrizzarsi a poco a poco, riprendere finalmente la sua rettitudine, poi espandersi in torrenti d'amore e di riconoscenza. Quando ebbi finito, quando il sacerdote ebbe pronunciato sul mio capo la sublime formula dell'assoluzione, mi rialzai. Mi aprì le braccia e mi vi precipitai piangendo a calde lacrime. Certo, eravamo entrambi altrettanto commossi... Parlammo poi per qualche minuto, quindi mi ritirai... Per la strada, camminavo tutto allegro. Mi dicevo: «Sono stato perdonato, che gioia!» Mi sembrava di essere ringiovanito di dieci anni... La mattina dopo, mi preparai alla Comunione... Provavo una gioia serena ed ammiravo a che punto tutti gli ostacoli si fossero appianati... A mano a mano che si avvicinava il momento della Comunione, mi sentivo trasportato da slanci di adorazione... Nè i più raffinati piaceri dei sensi, e neppure le ebbrezze cerebrali che procurano l'arte e la poesia si avvicinano all'estasi in cui l'anima, che si unisce a Dio, fonde integralmente. Nel corso dell'azione di grazia, assaporai pienamente la pace radiosa che regnava in me». Siamo nel 1906; Adolfo ha 43 anni.
Mostrare Dio
Poco dopo la prima Comunione, Adolfo si ritira nella solitudine, dividendo il suo tempo fra la preghiera e la redazione del libro Dal diavolo a Dio, punto di partenza di una nuova attività che così definisce: «Mostrare Dio ai miei contemporanei». Dal 1907 alla morte, nel 1930, scrive una ventina di volumi in cui invita i lettori a vivere sotto lo sguardo di Dio, in una generosa unione a Cristo nella Passione. Lui stesso attinge la propria forza in Gesù-Ostia: «Santa Eucaristia, quanto sono da compiangere gli ignoranti e coloro che, smarriti, misconoscono le tue virtù! scrive. Quanto a me, so che sei la sorgente di ogni bene, la fonte di speranza e di energia in cui, nei giorni di tristezza e di scoraggiamento, l'anima attinge il conforto e la gioia». Trova, per esprimere il suo amore per la Vergine ed il suo attaccamento alla Chiesa, parole semplici che toccano i cuori. Le sue opere gli procurano un'abbondante corrispondenza. Sotto la sua influenza, perfino sua madre, che viveva nell'indifferenza, torna a praticare la religione; parecchi medici, professori della pubblica istruzione, e numerose altre persone si rimettono sulla via del Cielo. Rende ferventi, cristiani tiepidi, e suscita vocazioni. Lungi dall'essere solo un passo personale di purificazione, la sua conversione ha un carattere apostolico, tanto è vero che la salvezza si compie dedicandosi anche a quella degli altri.
Tuttavia, dopo una vita tanto tormentata, uno sforzo costante di mortificazione è necessario per rimanere fedeli al Vangelo. Adolfo resta debole e soffre molto. «A sessantun anni, scrive nel 1924, sono un uomo stanco che, avendo sofferto molto e studiato moltissimo, comincia a cedere; inoltre, pago equamente gli eccessi della mia folle gioventù». Avrebbe desiderato ritirarsi in un monastero per finirvi i suoi giorni, ma tale non era la volontà di Dio.
Muore a Beaune l'8 dicembre 1930, il giorno della festa dell'Immacolata Concezione della Santissima Vergine Maria. La sua lapide porta l'iscrizione: In te Domine speravi... In te, Signore, ho posto la mia speranza... Tale speranza non fu delusa. Chiediamo a san Giuseppe che una simile speranza ci sostenga tutti, in mezzo ai flutti tempestosi di questa vita, fino al porto della beata eternità.