|
[Cette lettre en français] |
28 ottobre 1998 Santi Simoni e Taddeo, ap. |
«Eppure, oggi molti si interrogano: la missione presso i non cristiani è ancora d'attualità? Non è sostituita dal dialogo interreligioso? La promozione umana non è un obiettivo sufficiente? Non si può ottenere la salvezza seguendo una qualsiasi religione?... L'appello alla conversione che i missionari rivolgono ai non cristiani è messo in questione o passato sotto silenzio. Vi si vede un atto di «proselitismo»; si dice che basta aiutare gli uomini ad essere più uomini o più fedeli alla loro religione, che basta costituire comunità capaci di operare in favore della giustizia, della libertà, della pace, della solidarietà» (Giovanni Paolo II, Redemptoris Missio, RM, 7 dicembre 1990, n. 4, 46).
La porta del battesimo
Quest'unica vera religione, noi crediamo che sussista nella Chiesa cattolica ed apostolica, cui il Signore Gesù ha affidato il compito di farla conoscere a tutti gli uomini, quando dice agli apostoli: Andate dunque, e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato (Matt. 28, 19-20). D'altra parte, tutti gli uomini sono tenuti a cercare la verità, specialmente in ciò che concerne Dio e la sua Chiesa; e, una volta conosciuta, ad abbracciarla e ad esserle fedeli» (Dignitatis humanæ, 1).
Per questo, il Concilio può aggiungere, peraltro: «La ragione dell'attività missionaria nasce dalla volontà di Dio, che vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità. Non vi è, infatti, che un Dio solo, e un solo mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Gesù Cristo, che ha dato se stesso in riscatto per tutti (1 Tim. 2, 4-5), e non vi è in nessun altro salvezza (Atti 4, 12). Bisogna quindi che tutti si convertano a Cristo, che hanno conosciuto per mezzo della predicazione della Chiesa, che è il suo Corpo. Perchè Cristo stesso, inculcando in termini formali la necessità della fede e del battesimo, ha, nello stesso tempo, confermato la necessità della Chiesa in cui gli uomini entrano attraverso il battesimo, come attraverso una porta» (Ad gentes, 7).
Dono radicale
Nato a Château-du-Loir ( Sarthe, Francia), il 14 maggio 1814, prete diocesano nel 1837, entrato in seguito nelle Missioni Straniere di Parigi nel 1839, Padre Berneux parte, il 13 gennaio 1840, per l'Estremo Oriente. A Manila, incontra Monsignor Retord, vicario apostolico del Tonchino (Vietnam). I due missionari simpatizzano fin dal primo incontro. Ardono entrambi della stessa fiamma per la salvezza delle anime!
Il 17 gennaio 1841, Monsignor Retord ed i Padri Berneux, Galy e Taillandier arrivano nel Tonchino. Dopo qualche peripezia, i missionari partono in ordine sparso. Padre Berneux si fissa a Yen Moi, vicino ad un piccolo convento di suore «Amanti della Croce», e lì studia la lingua annamita. «Benchè non possa fare più di sei passi, che riceva la luce del sole soltanto da una piccola apertura a quindici centimetri dal suolo, e che, per scrivere, sia costretto a stendermi completamente sulla stuoia, sono il più felice degli uomini», scrive. Tuttavia, la minaccia incombe sul giovane missionario, che, ben presto, deve passare da un nascondiglio all'altro. Monsignor Retord se ne preoccupa e chiede ai Padri Berneux e Galy di raggiungere Padre Masson nella provincia di Nghe An.
L'uomo propone e Dio dispone
All'alba del giorno di Pasqua, celebra la Messa come sempre. Ha appena finito, quando i soldati invadono la capanna e lo catturano. «Provai una grande gioia, scrisse più tardi, quando mi vidi trascinato, come fu trascinato un tempo il nostro adorabile Salvatore, dall'Orto degli Ulivi a Gerusalemme». Viene subito portato via assieme a Padre Galy, lui pure fatto prigioniero. Chiusi in gabbie, e carichi della tradizionale catena, partono alla volta di Nam Dinh, lieti di manifestare la loro fede in Gesù Cristo: «Qui, dicono i pagani, quando si porta la catena, si è tristi, ma voi, perchè sembrate tanto contenti? È che, risponde Padre Berneux, noi che seguiamo la Religione vera, che è quella di Gesù, possediamo un segreto che voi non conoscete. Questo segreto cambia il dolore in gioia. È perchè vi amiamo che veniamo ad insegnarvelo». Il «segreto» evocato dal missionario è la luce della fede, fonte di speranza e di letizia. «La caratteristica di ogni vita missionaria autentica è la gioia interiore che viene dalla fede. In un mondo angosciato ed oppresso da tanti problemi, portato al pessimismo, colui che annuncia la Buona Novella deve essere un uomo che ha trovato in Cristo la vera speranza» (RM, 91).
Per un mese!
«Tutti gli uomini, dotati di un'anima ragionevole e creati ad immagine e somiglianza di Dio, hanno la medesima natura e la medesima origine; tutti, riscattati da Cristo, beneficiano della medesima vocazione e del medesimo destino divino... Quando riconosce in sè un'anima spirituale ed immortale, l'uomo... raggiunge il fondo stesso della realtà» (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 29, 14). Quest'anima è chiamata a contemplare in eterno «chiaramente, tale quale Egli è, il Dio uno e Trino» (Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 49), purchè l'abbia meritato quaggiù. Poichè, come dice San Benedetto, per abitare nel regno dei Cieli, «bisogna corrervi attraverso le opere buone, senza le quali non vi si giunge... Bisogna dunque che prepariamo i nostri cuori ed i nostri corpi a combattere, con la santa obbedienza ai comandamenti di Dio... se vogliamo scampare le pene dell'inferno e giungere alla vita eterna, mentre siamo ancora in tempo» (Regola, Prologo).
Che gioia!
L'8 ottobre, i Padri Berneux e Galy apprendono con gioia la loro condanna a morte. Il 3 dicembre 1842, la firma regale sanziona la sentenza del tribunale. Improvvisamente, colpo di scena: il 7 marzo 1843, avendo un comandante di corvetta francese appreso che, da due anni, cinque suoi compatrioti marciscono nelle prigioni di Hué, ne esige la liberazione. Il 12 marzo, le loro catene vengono spezzate ed essi sono consegnati al comandante. Tale liberazione li priva del martirio cui erano prossimi, e della speranza di tornare nella regione di Annam, per rispettare la parola data su questo punto dall'ufficiale francese.
Ingresso vietato
Nell'ottobre del 1843, Padre Berneux viene inviato in Manciuria, provincia della Cina del Nord. Vi lavora per dieci anni, malgrado gravi problemi di salute (tifo, colera). Il 5 agosto 1854, Pio IX lo promuove a vescovo della Corea. «La Corea, scrive il nuovo vescovo, terra di martiri, come rifiutare di andarvi!» Accompagnato da due sacerdoti missionari, Monsignor Berneux si imbarca a Shanghai, il 4 gennaio 1856, su una giunca cinese. Fino al 4 marzo, devono vivere nascosti in una stretta stiva. Arrivati in un piccola isola, vi attendono per sei giorni la barca dei cristiani. Riprendono allora il mare e, in capo ad una settimana, arrivano finalmente, di notte, a qualche chilometro dalla capitale, in una residenza segreta, soddisfatti d'aver eluso la vigilanza dei guardacoste. Infatti, l'ingresso in Corea è vietato agli stranieri, pena la morte.
Il motore della missione
Il vescovo si mette subito all'opera: impara prima di tutto la lingua coreana. Poi, intraprende la visita ai cristiani, tanto a Seul, quanto nelle campagne e sulle montagne, quindi la fondazione di un seminario, l'apertura di scuole per giovani, l'installazione di una tipografia, ecc. «La Chiesa ha sempre saputo suscitare, nelle popolazioni che ha evangelizzato, scrive Papa Giovanni Paolo II, uno slancio verso il progresso... i missionari, con la loro presenza affettuosa ed il loro umile servizio, agiscono in vista dello sviluppo integrale della persona e della società, grazie alle scuole, ai centri sanitari, ai
lebbrosari, alle case di raccolta per le persone handicappate e quelle anziane, alle iniziative per l'emancipazione della donna... Sono queste opere che testimoniano l'anima di tutta l'attività missionaria, vale a dire l'amore che è e rimane il motore della missione» (RM, 58, 60).
Monsignor Berneux provvede anche all'avvenire della Missione, scegliendosi come successore, con l'assenso della Santa Sede, Monsignr Daveluy, ordinato vescovo il 25 marzo 1857, a Seul. Malgrado condizioni di apostolato molto dure (clandestinità, estrema povertà, periodiche persecuzioni locali, ecc.), sotto la direzione di Monsignor Berneux, il numero dei battezzati, che ammontava a 16.700 nel 1859, raggiunge i 25.000 nel 1862. La predicazione del vescovo missionario portava i suoi frutti. Infatti, «l'annuncio della Parola di Dio è volta alla conversione cristiana, vale a dire all'adesione piena e sincera a Cristo ed al suo Vangelo per mezzo della fede. La conversione è un dono di Dio, un'azione della Trinità: è lo Spirito che apre le porte dei cuori affinchè gli uomini possano credere nel Signore e confessarlo (1 Cor. 12, 3)... La conversione si esprime, fin dall'inizio, con una fede totale e radicale che non mette nè limiti nè termini al dono di Dio... Significa che si accetta, con una decisione personale, l'autorità salvifica di Cristo e che si diventa suoi discepoli. La Chiesa chiama tutti a questa conversione...» (RM, 46).
La conversione a Cristo ed alla sua Chiesa conduce al battesimo. Attraverso questo sacramento, «la salvezza che GESÙ ha portato penetra nel più profondo della persona, liberandola dalla dominazione del Maligno, del peccato e della morte eterna» (Giovanni Paolo II, 18 maggio 1997). Il Battesimo è la porta degli altri sacramenti che danno agli uomini un aiuto soprannaturale particolarmente efficace, e addirittura necessario, per giungere in Cielo.
Tutto ciò è falso!
Dal 3 al 7 marzo, Monsignor Berneux subisce, ogni giorno, un interrogatorio nel cortile della Prigione dei Nobili. Al centro del cortile, viene legato ad un'alta sedia di legno. Il «Giornale della Corte» menziona che la «tortura» viene inflitta al vescovo ad ogni interrogatorio; per lui, «la tortura è stata fermata al decimo, o all'undicesimo colpo», il che significa che dieci o undici volte, gli sono stati assennati dei colpi, con tutta la forza, sul davanti delle gambe, con un bastone a sezione triangolare, della grossezza della gamba di un tavolo. Il vescovo rimane silenzioso, manda soltanto, ad ogni colpo, un lungo sospiro. Incapace di muoversi da solo, lo si deve riportare nella sua cella, dove, come rimedio, gli si coprono con una carta oleata le gambe senza più carne.
Nel frattempo, sono stati arrestati i Padri Just de Bretenière, Doric e Beaulieu: tutti e tre hanno la loro parte di interrogatori e di torture. Il 7 marzo, il «Giornale della Corte» pubblica: «Quanto ai quattro individui europei, che siano consegnati all'autorità militare per essere decapitati, e che le loro teste rimangano sospese, affinchè ciò serva di lezione alla moltitudine».
Il cielo a portata di mano
Il vescovo approfitta di ogni sosta per parlare del Cielo ai suoi compagni di supplizio. Il luogo scelto per il martirio è una vasta spiaggia sabbiosa, lungo il fiume Han. I quattrocento soldati formano un cerchio e piantano un palo nel centro. Il mandarino ordina che i condannati gli siano portati davanti.
Si preparano allora i suppliziandi. Si strappano loro di dosso i vestiti; gli orecchi, piegati in due, vengono bucati con una freccia; il volto è spruzzato d'acqua, poi di calce viva, per accecare le vittime. Dopo di che, si introducono sotto le spalle, fra le braccia legate ed il torso dei sacrificandi, dei bastoni, di cui ciascuna delle estremità appoggia sulla spalla di un soldato.
La marcia del Hpal-Pang
Non tutti i cristiani sono chiamati a dare la suprema testimonianza del martirio, e neppure a partire in missione. Ma «si può essere apostoli autentici, e nel modo più fruttuoso, anche fra le pareti domestiche, sul luogo di lavoro, in un letto d'ospedale, nella clausura di un convento...: quel che conta, è che il cuore arda di quella carità divina che sola può trasformare in luce, in fuoco e in vita nuova per tutto il Corpo Mistico, fino all'estremità della terra, non solo le sofferenze fisiche e morali, ma anche le stesse difficoltà del trantran quotidiano» (Giovanni Paolo II, 18 maggio 1997).
Rivolgendosi a Nostra Signora delle Vittorie, Santa Teresa di Gesù Bambino canta:
Alle opere di un Missionario
Ah! per il Conquistatore delle anime
Mi hai unita per sempre,
Voglio immolarmi in Convento
Con i legami della preghiera
E attraverso Lui diffondere le fiamme
Della sofferenza e dell'amore...
Che Gesù recò dal Cielo.
Che ci sia dato, seguendo il suo esempio, di ardere dal desiderio di salvare anime, attraverso il dovere quotidiano richiesto dalla nostra condizione! È la grazia che chiediamo per Lei alla Regina degli Apostoli ed al glorioso San Giuseppe. Preghiamo pure per tutti i Suoi defunti.