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23 de octubre de 2008 Nostra Signora della santa Speranza |
Iwene Tansi nasce nel 1903 in un piccolo villaggio della Nigeria. I suoi genitori sono pagani ma profondamente religiosi. Egli è ancora molto giovane quando muore suo padre. In occasione della nascita di Iwene, suo padre gli ha fabbricato un gri-gri (portafortuna) personale: il bambino ci tiene molto. Ma, un giorno, rientrando dalla scuola cristiana Saint Joseph di Aguleri, dove ha iniziato a frequentare le lezioni, Iwene, di nove anni, distrugge tremando il suo gri-gri. Padre Rubino, che prepara il bambino al battesimo, gli ha chiesto di distruggere questo oggetto di superstizione prima di ricevere il sacramento. Poco dopo, Iwene viene battezzato con il nome di Michele. Nel corso della sua adolescenza, Michele si rende conto di vedere con un occhio solo, malattia che gli rimarrà per tutta la vita. Tuttavia, lavora molto e riesce nei suoi studi. L'ultimo anno, quando ha solo sedici anni, gli si chiede se vuole rimanere a scuola come insegnante. Potrebbe stabilirsi altrove e ottenere un impiego migliore, ma il denaro non lo attira e preferisce accettare. Nel 1922, Michele perde sua madre in circostanze tragiche che lo sconvolgono. Nel loro villaggio, la mortalità infantile era aumentata improvvisamente. Si chiese allo stregone di stabilire con la magia chi fosse il colpevole di questa cattiva sorte. Egli designò la madre di Michele, che accusò di preservarsi magicamente dalla morte alle spese dei bambini del paese. Ella dovette sottomettersi alla sanzione: bere del veleno. Il dolore di Michele è immenso, ma lo spinge a lavorare alla conversione dei suoi tre fratelli al cristianesimo. Questi si convertono effettivamente; quanto a sua sorella, verrà battezzata subito prima di morire.
Un'apertura che libera
Il giovane sacerdote viene dapprima inviato a Nnewi dove viene in aiuto al Padre Jean Anyogu. Entrambi si spostano spesso per raggiungere i cristiani dei villaggi lontani; vi trovano centinaia di fedeli ai quali amministrano i sacramenti della Penitenza e dell'Eucaristia. «Padre Tansi sapeva che in ogni essere umano c'è qualcosa del figliuol prodigo, affermava Papa Giovanni Paolo II, in occasione della beatificazione del Padre, in Nigeria. Sapeva che tutti gli uomini e tutte le donne subiscono la tentazione di separarsi da Dio, per condurre un'esistenza indipendente ed improntata all'egoismo. Sapeva che poi sarebbero rimasti delusi dalla vacuità dell'illusione che li aveva affascinati e che alla fine avrebbero trovato in fondo al proprio cuore la strada che li avrebbe riportati alla casa del Padre. Incoraggiò le persone a confessare i propri peccati e a ricevere il perdono di Dio nel Sacramento della Riconciliazione. Le supplicò di perdonarsi reciprocamente come Dio perdona noi, di trasmettere il dono della riconciliazione, concretizzandolo a tutti i livelli della vita nigeriana. Padre Tansi ha cercato di imitare il padre della parabola: era sempre disponibile per coloro che cercavano la riconciliazione. Diffondeva la gioia della comunione ritrovata con Dio. Esortava le persone ad accogliere la pace di Cristo e le incoraggiava ad alimentare la vita di grazia con la Parola di Dio e con la Santa Comunione» (22 marzo 1998).
Due anni dopo, nel 1940, Padre Michele viene nominato nella parrocchia di Dunkofia. Egli mette tutta la sua intelligenza pratica al servizio del suo zelo sacerdotale. Molteplici progetti fervono nel suo spirito. È preoccupato del fatto che, conformemente al costume del paese, poche ragazze arrivino vergini al matrimonio. Per rimediare a questa situazione, fa costruire dei collegi dove queste potranno ricevere un'educazione religiosa veramente cristiana nonché una formazione pratica per diventare delle buone mogli e madri di famiglia. Questo incontra opposizioni da parte di molti giovanotti che credono sia un loro diritto avere rapporti prematrimoniali. Tuttavia, Padre Tansi rimane fermo, ben consapevole del fatto che «l'atto sessuale deve avere posto esclusivamente nel matrimonio; al di fuori di esso costituisce sempre un peccato grave ed esclude dalla comunione sacramentale» (Catechismo della Chiesa Cattolica, CCC 2390).
La bellezza di una vita casta
Padre Michele attira molte persone di buona volontà per aiutarlo nelle sue varie costruzioni e nei suoi vari lavori, ma lui stesso vi si impegna con tutta la sua persona. Attento alle esigenze dei suoi parrocchiani, mostra interesse per ciascuno e prende in considerazione tutti i problemi incontrati, grandi o piccoli. Desidera soprattutto avvicinare i suoi fedeli a Dio. Trascorre molto tempo in preghiera e si mortifica spesso. Un giovane seminarista, tentato di abbandonare la sua vocazione in un momento di pesanti prove, si reca alla chiesa e vi trova il Padre Tansi immerso nella preghiera, a un'ora molto tarda della notte; ne è sconvolto e attinge da questo esempio la forza per perseverare sulla via del sacerdozio. In seguito, diventerà vescovo.
La scoperta di un'altra via
Nel 1949, Padre Tansi viene nominato parroco di Aguleri. In meno di un anno, sistema i problemi finanziari che ha trovato al suo arrivo. Con il suo vice parroco, Padre Clemente, evangelizza i propri parrocchiani, conducendo lo stesso genere di vita che conduceva nelle sue missioni precedenti. La sua carità lo porta un giorno a sotterrare con le proprie mani un parrocchiano morto di colera, che nessuno vuole toccare per paura del contagio. Forte della sua missione pastorale, non teme di denunciare il male e di tener duro contro il consiglio parrocchiale se questo non intraprende una buona via. Certi parrocchiani si lamentano di lui con il vescovo, rimproverandogli di occuparsi troppo delle cose di Dio e di non agire secondo i loro desideri.
In questo periodo, Mons. Heery, vescovo di Onitsha, diocesi di Padre Tansi, concepisce il desiderio d'introdurre in Nigeria la vita monastica, inviando degli aspiranti a formarsi in Europa. Contatta diverse Abbazie e riceve una risposta favorevole dall'Abbazia cistercense di Mount Saint Bernard, in Inghilterra. All'inizio dell'anno 1950, visita Aguleri e scopre che Padre Michele e Padre Clemente desiderano diventare monaci. Nonostante la carenza di sacerdoti per la sua diocesi, il prelato dà la priorità all'introduzione della vita contemplativa e invia prima Padre Michele a Mount Saint Bernard. Entrato il 3 luglio 1950 nel Monastero, questi vi è accolto da una comunità di settantun monaci di cui trenta preti. Vi riceve il nome di Padre Cipriano. Sette volte al giorno, i monaci si riuniscono nella chiesa per cantare le lodi di Dio. All'Abbazia di Mount Saint Bernard, il primo Ufficio è quello delle Vigilie alle due e un quarto della mattina. Il resto della giornata è scandito dai diversi Uffici, attorno alla Messa Solenne della comunità. Altri due aspetti importanti della vita monastica sono la lectio e il lavoro manuale. Quest'ultimo va dai grossi lavori della fattoria alla pulizia e alla manutenzione del monastero. L'ospitalità, attraverso l'accoglienza nella foresteria, occupa anch'essa il suo posto nella vita monastica secondo la Regola di san Benedetto. La lettura e lo studio, in un'Abbazia di Trappisti, si svolgono in una sala comune chiamata Scriptorium. Di notte, i monaci dormono ciascuno in uno dei box ricavati in un grande dormitorio. I monaci di Mount Saint Bernard non mangiano mai carne né pesce. Le giornate trascorrono nel silenzio.
Un altro clima
Padre Clemente è venuto a raggiungere Padre Cipriano a Mount Saint Bernard dove ha ricevuto il nome di Padre Marco. Entrambi desiderano ritornare un giorno nel loro paese per instaurarvi la vita contemplativa. Il loro vescovo prende in considerazione con il Padre Abate la possibilità di creare una fondazione in Nigeria, ma questo progetto fallisce. I due preti decidono allora, con il consenso esplicito del loro vescovo, di rimanere a Mount Saint Bernard; vi fanno la loro prima professione l'8 dicembre 1953. Quindi entrano per tre anni allo scolasticato dell'Abbazia, dove approfondiscono lo studio della teologia.
La vita in comunità non è sempre facile per Padre Cipriano. Ha un complesso d'inferiorità da cui non arriverà a liberarsi completamente. Per otto anni, lavora al laboratorio di rilegatura. Deve soprattutto mantenere in buono stato i libri del coro con un lavoro ripetitivo e noioso che consiste nell'incollare delle strisce di nastro adesivo nei punti strappati. Per la maggior parte del tempo svolge questo compito in uno stanzino freddo, al di sopra della tromba delle scale. Non si ribella, ma riconosce che questo lavoro non ha alcuna attrattiva per lui. Un monaco incaricato di controllare la sua opera talvolta si lamenta di lui e disfa il suo lavoro che ritiene sbagliato. Padre Cipriano è profondamente ferito dalla rudezza e dall'arroganza di questo monaco; ma offre volentieri a Dio tutte le proprie difficoltà.
«Il sudore e la fatica, che il lavoro necessariamente comporta nella condizione presente dell'umanità, offrono al cristiano e ad ogni uomo, che è chiamato a seguire Cristo, la possibilità di partecipare nell'amore all'opera che il Cristo è venuto a compiere. Quest'opera di salvezza è avvenuta per mezzo della sofferenza e della morte di croce. Sopportando la fatica del lavoro in unione con Cristo crocifisso per noi, l'uomo collabora in qualche modo col Figlio di Dio alla redenzione dell'umanità. Egli si dimostra vero discepolo di Gesù, portando a sua volta la croce ogni giorno nell'attività che è chiamato a compiere» (Giovanni Paolo II, Laborem exercens, n. 26; 14 settembre 1981).
Una vita di fede
L'autorità di Dio che rivela e che non può né ingannare se stesso né ingannare noi è il motivo della nostra fede. Questa è certa, più certa di qualsiasi conoscenza umana, perché si fonda sulla Parola stessa di Dio, che non può mentire. Qui su questa terra, camminiamo nella fede, non nella chiara visione (2Co 5,7), e conosciamo Dio come in uno specchio, in maniera confusa«, imperfetta (1Co 13,12). Luminosa per merito di Colui in cui essa crede, la fede viene spesso vissuta nell'oscurità. Essa può venir messa alla prova. Il mondo nel quale viviamo sembra spesso ben lontano da ciò che la fede ci assicura; l'esperienza che facciamo del male e della sofferenza, delle ingiustizie e della morte pare contraddire la Buona Novella; questa esperienza può far vacillare la fede e diventare per essa una tentazione. È allora che dobbiamo volgerci verso i testimoni della fede: Abramo, che credette, sperando contro ogni speranza (Rm 4,18); la Vergine Maria che è penetrata fin nella notte della fede comunicando alla sofferenza di suo Figlio e alla notte della sua tomba (cfr. CCC 156-157, 164-165).
Padre Cipriano mantiene il cuore rivolto verso la sua terra natale da cui gli giungono numerose lettere. Accoglie con il viso illuminato di gioia i visitatori africani, soprattutto quelli che vengono dalla Nigeria. Nel luglio 1961, i monaci si pongono di nuovo la questione di un'eventuale fondazione. Hanno luogo numerose discussioni in riunioni di comunità sull'opportunità e il luogo per l'esecuzione di questo progetto. Il vescovo da cui dipendevano precedentemente i Padri Cipriano e Marco viene a parlare alla comunità di una possibilità di realizzare questa fondazione nell'est della Nigeria. Padre Cipriano preferisce mantenere il silenzio durante le discussioni, anche se il progetto gli sta molto a cuore. Si affida totalmente a Dio e si dedica alla preghiera fervente. Alla fine, l'intervento del vescovo raccoglie quasi tutti i suffragi e iniziano i preparativi per la fondazione.
Nel gennaio 1962, si scopre che Padre Cipriano ha un tumore al collo; viene operato senza indugio. È una forma benigna di tubercolosi. Questo non gli impedisce di darsi da fare nel giardino. Mostra anzi un grande interesse per il giardinaggio e si rallegra del risultato del suo lavoro. Lungi dal sottrarsi alle corvée di diserbo o di dissodamento, vi si dedica con predilezione. Il 19 dicembre 1962, la comunità organizza una festa per il giubileo d'argento sacerdotale di Padre Cipriano. In questa occasione, riceve un gran numero di lettere provenienti dal mondo intero nonché una benedizione del Papa.
L'Africa o il Cielo?
In occasione della beatificazione di Padre Tansi, il 22 marzo 1998, Papa Giovanni Paolo II diceva di lui: «Era soprattutto uomo di Dio: le lunghe ore trascorse davanti al Santissimo Sacramento riempivano il suo cuore di amore generoso e coraggioso. Coloro che lo hanno conosciuto testimoniano il suo grande amore per Dio. Quanti lo hanno incontrato sono rimasti colpiti dalla sua bontà personale. È stato poi uomo del popolo: ha messo sempre gli altri prima di se stesso ed è stato particolarmente attento alle necessità pastorali delle famiglie. Si è adoperato molto affinché le coppie venissero ben preparate al Santo Matrimonio e ha predicato l'importanza della castità. Ha cercato in tutti i modi di promuovere la dignità delle donne. In particolare, considerava preziosa l'educazione delle giovani».
Chiediamo al beato padre Michele Tansi di guidarci nelle vie della vita interiore e dell'apostolato.