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11 de octubre de 2018 san Giovanni XXIII, Papa |
Giovane vescovo nella Nuova Francia (Canada), mons. Francesco de Laval si accontenta di un cibo povero e senza raffinatezze ; rifiutando ogni comodità nel suo mobilio, dorme sul pavimento e non risparmia né la propria persona né i propri beni, di cui è prodigo nei confronti dei poveri. Non disdegna i ministeri più umili, felice, per esempio, di andare ad amministrare egli stesso l’Estrema Unzione agli indiani. Quando, nel 1659, la nave Saint-André, proveniente dalla Francia, sulla quale ha imperversato la peste, attracca a Québec, il prelato si reca immediatamente al capezzale dei sopravvissuti. La superiora delle Orsoline della città, madre Maria dell’Incarnazione, commenta : « Facciamo il possibile per impedirglielo e proteggere la sua persona, ma non c’è eloquenza che riesca a distoglierlo da questi atti di umiltà. »
Hugues de Laval, signore di Montigny-sur-Avre (diocesi di Chartres, Francia), e sua moglie, Michelle de Péricard, sebbene discendenti da famiglie di alta e antica nobiltà, non sono ricchi. Il 30 aprile 1623, nasce François, il loro terzo figlio maschio, che essi mettono sotto la protezione di san Francesco Saverio, canonizzato l’anno prima. Avranno otto figli, tre dei quali si consacreranno al Signore. Come è consuetudine nelle famiglie nobili di quel tempo, i genitori destinano questo terzo figlio maschio allo stato ecclesiastico. All’età di otto anni, Francesco viene quindi tonsurato e indossa la tonaca ; la sua educazione è affidata ai gesuiti del collegio di La Flèche (nel dipartimento della Sarthe). Ha solo tredici anni quando gli muore il padre ; la famiglia si trova allora in una situazione economica precaria. Tuttavia, l’anno seguente, 1637, suo zio materno, François de Péricard, vescovo di Evreux, nomina il giovane nipote canonico della sua cattedrale, il che gli garantisce un beneficio (reddito ecclesiastico fisso) e, di conseguenza, delle risorse per la sua famiglia. Egli può quindi proseguire i suoi studi letterari e filosofici. A La Flèche, entra nella Congregazione Mariana, diretta da un professore, padre Bagot, che esercita una profonda influenza sugli allievi. È all’interno di questo gruppo fervente che si conferma la vocazione sacerdotale di Francesco. All’età di diciotto anni, parte quindi per studiare teologia a Parigi, al collegio di Clermont, anch’esso tenuto dai gesuiti.
Essendo morti i suoi due figli maggiori nel 1644 e nel 1645 nell’esercito di Turenne e Condé, la signora de Laval richiama Francesco a Montigny e lo supplica di rinunciare al sacerdozio, per poteri sposare e assumere il ruolo di capo famiglia, che gli spetta di diritto. Fedele alla chiamata di Dio, Francesco rifiuta. Incoraggiato dallo zio vescovo, mette buon ordine negli affari della sua casa e riparte per completare gli studi a Parigi. Riceve l’ordinazione sacerdotale il 1°maggio 1647.
Fervore missionario
Nella capitale, ha ritrovato padre Bagot, che prosegue la sua opera di formazione spirituale presso alcuni ex allievi di La Flèche, raggruppati in una “Società dei Buoni Amici”. Tutti questi giovani sono presi dal fervore missionario che, in quella prima metà del XVII secolo, infiamma molti ferventi cristiani, tanto più che, dal 1622, esiste a Roma una Congregazione per la propagazione della fede (De Propaganda Fide), incaricata dal Papa di organizzare l’evangelizzazione dei paesi lontani, indipendentemente dalle potenze politiche europee. Francesco ha in animo di diventare egli stesso missionario, ma aspetta che Dio gli dia indicazioni. Dopo la sua ordinazione, rimane un anno a Parigi, istruendo i bambini abbandonati e prendendosi cura dei malati. Nel 1648, rinuncia al suo incarico onorifico di canonico di Évreux, poiché lo zio lo ha nominato arcidiacono della sua diocesi. Il giovane prete adempie con diligenza a questo incarico per circa sei anni, visitando le parrocchie, ristabilendo la disciplina, recando sollievo ai poveri.
Continua tuttavia a frequentare la “Società dei Buoni Amici” a Parigi. Nel 1653, il gruppo riceve la visita di padre Alexandre de Rhodes, missionario gesuita in Estremo Oriente, che viene a cercare volontari per evangelizzare quelle regioni. Venti gesuiti si sono già dichiarati pronti a seguirlo, ma il Padre cerca anche preti secolari. Francesco de Laval e alcuni amici si offrono per le missioni in Asia. Padre Pallu ed egli stesso vengono contattati per gli incarichi di vicari apostolici di Cocincina e Tonchino (Vietnam). Tuttavia, questo progetto non si realizza, soprattutto perché il governo portoghese rivendica l’esclusività delle missioni cattoliche in Asia e si oppone fermamente all’invio di francesi in Estremo Oriente.
Cristianizzare il tessuto sociale
Nel 1654, Francesco de Laval si dimette dal suo incarico di arcidiacono di Évreux e cede il proprio diritto di primogenitura al fratello cadetto, per vivere liberamente il suo sacerdozio. A tal fine, si pone sotto la direzione di Jean de Bernières. Questo laico ha fondato alcuni anni prima l’Ermitage, una piccola comunità di sacerdoti e laici dediti alla preghiera e alle opere di misericordia ; è anche membro attivo della Compagnia del Santissimo Sacramento, fondata e diretta dal suo amico Gaston de Renty. Questa società di laici cerca di cristianizzare il tessuto sociale e di far avanzare in ogni occasione il regno di Cristo. Le sue relazioni hanno consentito a Jean de Bernières di contribuire efficacemente, quindici anni prima, alla partenza delle prime Orsoline per il Canada ; c’era tra di loro madre Maria dell’Incarnazione, una donna mistica e intraprendente che le Orsoline avevano scelta come loro superiora e che verrà canonizzata.
L’attività di questi laici, poco numerosi ma decisi a servire Cristo, trasformava la società della loro epoca e portava frutti fino ai confini del mondo. « I cambiamenti nell’ordine dello spirito e quindi della vita, sottolineava papa Francesco, non sono legati ai grandi numeri… Non occorre essere in molti per cambiare la nostra vita : basta che il sale e il lievito non si snaturino. Il grande lavoro da svolgere è cercare di non perdere il “principio attivo” che li anima : il sale non fa il suo mestiere crescendo in quantità, anzi, troppo sale rende la pasta salata, ma salvando la sua “anima”, cioè la sua qualità » (ai Focolari, il 4 febbraio 2017).
All’Ermitage, dove prega, confessa e si occupa degli ammalati, Francesco diventa molto presto amico stretto del suo ospite, che si sforza di guidarlo nelle vie della povertà spirituale e della rinuncia dove Cristo stesso ha camminato. Quando verrà a sapere dell’elevazione di Francesco all’episcopato, Jean de Bernières lo esorterà a imitare gli Apostoli, che predicarono Gesù crocifisso fino al sacrificio della loro propria vita ; a rimanere umile e ad accontentarsi di poco ; a guardarsi infine da una mondanità troppo preoccupata degli onori, che gli impedirebbe di essere un perfetto cristiano.
Luigi XIV desiderava, in effetti, dotare il Canada di un prelato. Nel 1658, Roma decide quindi l’erezione di un vicariato apostolico e sceglie come vescovo Francesco de Laval, a scapito di padre de Queylus, gran vicario dell’arcivescovo di Rouen, la cui giurisdizione si estendeva fino a quel tempo alla Nuova Francia. Malcontento, quest’ultimo suscita una levata di scudi tra i vescovi di Francia, che si oppongono a questa nomina. Il nunzio procede tuttavia alla consacrazione episcopale di Francesco de Laval l’8 dicembre 1658. I Parlamenti di Parigi e di Rouen reagiscono proibendo a chiunque di riconoscere il nuovo vescovo come vicario apostolico e prescrivendo a tutti gli ufficiali del regno di impedirgli di esercitare qualsiasi funzione episcopale. In questa vicenda, Francesco de Laval mantiene il silenzio e si abbandona nelle mani di Dio. Ma a partire dall’anno successivo, il 1659, al governatore della Nuova Francia viene intimato a nome del re di riconoscere la giurisdizione del neo nominato vicario apostolico, e quest’ultimo può imbarcarsi il 13 aprile. Arriva a Québec il 16 giugno di sera. Lì, constata che la sua autorità non è accettata all’unanimità. L’ostinata disobbedienza di padre de Queylus lo costringe a dichiarare quest’ultimo « sospeso a divinis » ; poco dopo, il re richiama questo prete nella metropoli. Tuttavia, il vicario apostolico non nutre personalmente rancore nei confronti di padre de Queylus per i suoi intrighi : riuscirà a riconciliarsi con lui, lo autorizzerà a ritornare a Montréal nel 1668, e ne farà il suo gran vicario.
« Nel Vangelo, Pietro chiede al Signore : Se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli ? Fino a sette volte ?. Il Signore risponde : Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette (Mt 18, 21-22). Queste parole, commenta papa Francesco, vanno al cuore del messaggio di riconciliazione e di pace indicato da Gesù. In obbedienza al suo comando, chiediamo quotidianamente al nostro Padre celeste di perdonare i nostri peccati, come noi li rimettiamo ai nostri debitori… Gesù ci chiede di credere che il perdono è la porta che conduce alla riconciliazione. Nel comandare a noi di perdonare i nostri fratelli senza alcuna riserva, Egli ci chiede di fare qualcosa di totalmente radicale, ma ci dona anche la grazia per farlo. Quanto, da una prospettiva umana, sembra essere impossibile, impercorribile e perfino talvolta ripugnante, Gesù lo rende possibile e fruttuoso attraverso l’infinita potenza della sua Croce. La Croce di Cristo rivela il potere di Dio di colmare ogni divisione, di sanare ogni ferita e di ristabilire gli originali legami di amore fraterno » (Seoul, 18 agosto 2014).
Visioni diverse
Superiora del convento delle Orsoline, madre Maria dell’Incarnazione accetta con difficoltà il modo di procedere del giovane vescovo ; all’inizio, le loro relazioni sono piuttosto tese. Tuttavia, la suora è esperta in fatto di anime ; ammira dal primo istante la devozione e la virtù di Francesco de Laval, sapendo bene per giunta chi l’avesse formato : « Non c’è da stupirsi, scrive, se, avendo frequentato quella scuola (di padre de Bernières), è arrivato al sublime grado di orazione a cui lo vediamo. » Ella deplora però la sua mancanza di diplomazia : « Lui non si farà certo degli amici per farsi avanti e per aumentare le sue entrate. È morto a tutto questo. Forse, se non lo fosse così tanto, tutto andrebbe meglio, perché non si può far nulla qui senza l’aiuto temporale. » Il progetto del vescovo di fondere le due comunità di suore ospedaliere in una sola e di unire la congregazione di Notre-Dame a quella delle Orsoline non va a genio alla Madre. Ma la tensione raggiunse il suo apice nel 1660, quando, in seguito a una visita canonica, egli tenta di rivedere le costituzioni delle Orsoline. Maria dell’Incarnazione vi si oppone risolutamente, ritenendo che i regolamenti che il prelato cerca di imporre siano più adatti a delle Carmelitane che a suore dedite all’educazione. « Non lo accetteremo, dichiara, se non all’estremo dell’obbedienza. » Senza ostinarsi, il vescovo sceglie di aspettare « quello che una più lunga esperienza potrebbe mostrarci a questo riguardo per la gloria di Dio e il maggior bene della vostra comunità ». Non cesserà in seguito a mostrare la sua benevolenza nei confronti delle Orsoline, visitando più volte Maria dell’Incarnazione malata, posando la prima pietra della loro cappella e poi celebrandone la dedicazione.
Il distacco è essenziale
Già nel 1660, Francesco de Laval termina una prima visita pastorale del suo vicariato. Fondato nel 1608 da Champlain, il Canada francese conta allora poco più di 2500 coloni, contadini ma anche mercanti legati al commercio delle pellicce, raggruppati principalmente intorno a Québec, Trois-Rivières e Montréal. Gli indigeni, quanto a loro, sono soggetti a una terribile mortalità dovuta alla fame, allo scorbuto e alle guerre. Il prelato fonda nel 1663 il seminario di Québec, destinato a formare « i giovani chierici al servizio di Dio insegnando loro il modo di amministrare bene i sacramenti, catechizzare e predicare, nonché le cerimonie e il canto gregoriano ». Questo centro diventa anche la casa del clero, il cui ruolo è tanto più importante per il fatto che è necessario rinunciare per il momento a istituire delle parrocchie, a causa della dispersione dei centri abitati su vaste estensioni e della mancanza di redditi : molti coloni non sono ancora disposti ad aiutare finanziariamente la Chiesa. Tutte le “parrocchie” sono quindi unite al seminario, che ne riscuote le entrate e provvede al mantenimento dei parroci. In cambio, i sacerdoti mettono i loro beni in comune. Questa disappropriazione è anche valorizzata dal punto di vista spirituale : « Il distacco è essenziale, spiega il vescovo ; è in questo che consiste lo spirito di grazia che sostiene il seminario. » Si fornisce tutto il necessario ai sacerdoti che vanno a fare una permanenza più o meno lunga in una parrocchia. Quando questi ultimi ritornano al seminario, sfiniti dal ministero – che richiede marce forzate e una penosa navigazione sui fiumi – vi ricevono le cure richieste dal loro stato di salute. Dopo l’erezione del vicariato di Québec a diocesi, nel 1674, mons. de Laval erigerà parrocchie fisse, dotate di parroci residenti. Quando si dimetterà, nel 1688, il vescovo avrà istituito 35 parrocchie. Ma il suo merito più grande sarà stato quello di preservare la sua giovane Chiesa dai mali che, alla fine del XVII secolo e durante il XVIII, corromperanno la Chiesa di Francia : gallicanesimo, giansenismo, quietismo, influenza della filosofia illuminista… La fede inculcata dai pionieri dell’evangelizzazione nella fedeltà alla Chiesa di Roma si manterrà retta e pura.
Una bevanda che uccide
Ben presto, tuttavia, il prelato si trova in conflitto con il potere civile. Mons. de Laval cerca infatti di difendere i poveri, e in particolare gli Indiani. Al contrario, il governatore Davaugour favorisce il traffico dell’acquavite : per ottenere da loro pellicce a buon mercato, i mercanti offrono agli Indiani bevande alcoliche, che non conoscevano prima dell’arrivo dei coloni. Gli indigeni, scrive Maria dell’Incarnazione, « le trovano molto di loro gusto, ma basta loro assumerne una volta per renderli pazzi e furiosi. Questa bevanda li uccide. » Il vescovo non esita a scomunicare coloro che si danno alla « tratta dell’acquavite ». Informato, il re richiama Davaugour in Francia e si accorda con il vescovo sulla scelta di un nuovo governatore. Viene anche istituito un Consiglio sovrano del Canada, nel quale il prelato occupa, di diritto, il secondo posto. Nel mese di novembre del 1668, tuttavia, questo Consiglio sovrano, pur vietando ipocritamente agli Indiani di ubriacarsi, autorizza di nuovo la « tratta dell’acquavite ». Con coraggio, il vescovo riprende la lotta ; viene allora accusato di immischiarsi negli affari civili e commerciali. Luigi XIV alla fine adotta un compromesso : il 24 maggio 1679, vieta il traffico degli alcolici al di fuori delle abitazioni francesi.
Ai giorni nostri, papa Francesco denuncia anch’egli certi atteggiamenti economici dietro i quali si nasconde il rifiuto dell’etica, il rifiuto di Dio. « L’etica, dice, è considerata controproducente : come troppo umana, perché relativizza il denaro e il potere ; come una minaccia, perché rifiuta la manipolazione e la sottomissione della persona. Perché l’etica conduce a Dio, il quale si pone al di fuori delle categorie del mercato. Dio è considerato da questi finanzieri, economisti e politici, come… pericoloso perché chiama l’uomo alla sua piena realizzazione e all’indipendenza da ogni genere di schiavitù » (16 maggio 2013). In realtà, il Catechismo della Chiesa Cattolica (nn. 1718-1721) ricorda che Dio solo può colmare il nostro desiderio di felicità e che « Egli ci chiama alla sua beatitudine… E quale altro fine abbiamo, se non di giungere al regno che non avrà fine ? Dio infatti ci ha creati per conoscerlo, servirlo e amarlo, e così giungere in paradiso. »
Nel 1681, molto malato, mons. de Laval presenta al re le sue dimissioni. Luigi XIV gli chiede di occupare il suo seggio fino all’arrivo del successore. Occorrerà attendere sette anni : mons. de Saint-Vallier verrà ordinato vescovo nel gennaio del 1688. Viene permesso allora a Francesco de Laval di finire i suoi giorni in Canada, con la promessa di non procurare difficoltà al nuovo vescovo. « Mgr l’Ancien », come viene ormai chiamato, si trasferisce nel seminario, non immischiandosi per nulla negli affari della diocesi. Tutto occupato a pregare e a fare penitenza nella solitudine e nello spogliamento, distribuisce ai poveri tutto ciò che possiede, riservando loro anche la parte migliore dei suoi pasti. Soffre tuttavia del governo di mons. de Saint-Vallier. Sotto la pressione di ambienti politici francesi, il nuovo vescovo di Québec rimaneggia senza discernimento l’organizzazione delle parrocchie e cerca di porre fine al loro sistema di finanziamento attraverso il seminario. Si è riservato la distribuzione delle gratifiche reali e rifiuta a certi parroci la quota che è loro dovuta ; inoltre, lascia a carico del seminario la cura e il mantenimento dei preti esauriti e malati, senza alcun compenso. Il clero è indignato.
Una mano più potente
Nonostante i servizi resi alla città dal seminario e l’eroismo del vecchio vescovo in occasione dell’attacco degli inglesi nel 1690, mons. de Saint-Vallier ingiunge al suo predecessore di ritirarsi sulle sue terre di Saint-Joachim (al Cap Tourmente). Mons. de Laval obbedisce in silenzio, abbandonandosi ancora una volta alle vie della Provvidenza. La sua corrispondenza e persino dei pacchi che gli inviano i suoi amici gli arrivano aperti… A forza di manovre, il vescovo di Québec ottiene dal Tribunale un decreto che distacca tutte le parrocchie di Nuova Francia dal seminario ; la croce è amara per il vescovo emerito. « Ma, egli scrive a un suo amico, non dobbiamo abbatterci. Se gli uomini hanno potere per distruggere, la mano di Nostro Signore è infinitamente più potente per costruire. Dobbiamo solo essergli fedeli e lasciarlo fare. E si sforza di consolare i sacerdoti, li invita alla sottomissione, predicando la riconciliazione e la pace.
Alla fine del mese di settembre del 1694, mons. de Saint-Vallier è in guerra con tutti. Mgr l’Ancien ritiene allora suo dovere scrivergli una lunga lettera, in cui esprime senza mezzi termini tutto ciò che un padre ferito può dire a un figlio che ha superato certi limiti. Contro ogni attesa, avviene nel vescovo di Québec un cambiamento repentino. Grazie a un soggiorno in Francia, percepisce tutta la saggezza del governo di mons. de Laval per quanto riguarda le grette mire finanziarie degli ufficiali della Corte. Nel 1700, si assenta nuovamente, ma tornerà solo tredici anni dopo, al termine di una lunga prigionia in Inghilterra e di un esilio in Francia. In sua assenza, il suo predecessore lo supplisce per le funzioni liturgiche. Il vescovo emerito intraprende una visita pastorale, che conduce a buon fine nonostante condizioni di spostamento difficili : l’immobilità forzata nei lunghi viaggi in battello gli provoca forti dolori alle gambe. Prosegue nondimeno il suo stile di vita austero : un letto, un tavolo, una poltrona, un crocifisso, un’immagine della Santa Vergine e della Sacra Famiglia costituiscono tutti gli ornamenti della sua camera. La sua fede, le sue preghiere e la sua pazienza nelle prove ne fanno il consigliere spirituale più ricercato della diocesi ; dopo essere stati da lui, ci si sente consolati, illuminati, confortati. Nel 1701 e nel 1705, ha il dolore di vedere gli edifici del seminario, pilastro della sua opera, divorati da incendi ; ma non perde per questo la sua pace, la sua gioia, né la sua tranquillità d’animo, ritenendo con San Paolo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura (Rm 8, 18), perché quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano (1Cor 2, 9).
Nonostante il freddo e le sue infermità, continua a partecipare a tutte le funzioni della cattedrale, facendovisi portare se necessario. Ma durante la Settimana Santa del 1708, contrae un gelone al tallone, che s’infetta e finisce per causare la sua morte il 6 maggio. Aveva 85 anni e viveva in Canada da 49 anni.
La vita di san Francesco de Laval testimonia la fedeltà di Dio nei confronti di coloro che operano per estendere il suo regno. Accogliamo questa testimonianza con gioia, come ci esortava a farlo papa Francesco durante la Messa di ringraziamento per la canonizzazione di questo santo e di santa Maria dell’Incarnazione, il 12 ottobre 2014 : « Rendere omaggio a chi ha sofferto per portarci il Vangelo significa portare avanti anche noi la buona battaglia della fede, con umiltà, mitezza e misericordia, nella vita di ogni giorno. E questo porta frutto. »